Il sociologo Edgar Morin ha recentemente affermato che c'è il rischio di nuovi, terribili totalitarismi, in cui le biotecnologie, di per sé, in molti aspetti, anche buone, potranno diventare lo strumento principale dei nuovi dittatori! Occorrono esempi concreti? Ne farò qualcuno, rifacendomi ad un testo scritto da alcuni giuristi e scienziati, intitolato "I giudici davanti alla genetica" (Ibis, Pavia, 2002). Non prima, però, di aver ricordato, a titolo esemplificativo, lo strano fatto per cui oggi in Cina, cioè in un paese ancora dittatoriale, "esistono già circa 40 cliniche di fecondazione in vitro, spesso costruite con l'assistenza dell'esercito, che, unitamente a influenti segmenti governativi, sembra profondere grande impegno a favore dello sviluppo di queste tecnologie" (Gregory Stock, "Riprogettare gli esseri umani", Orme). Non si può non chiedersi: perché tanta attenzione alla sterilità, in un paese sovrappopolato e con la politica del figlio unico, come la Cina? Cosa importa la fecondazione artificiale all'esercito e al governo?
Lascio a voi la risposta, e ritorno al libro citato. Nel primo intervento il magistrato Amedeo Santosuosso ricorda alcuni rischi connessi alla "discriminazione su base genetica": senza parlare della folle abitudine di scegliere i figli su misura, attraverso l'utilizzo di test genetici, della Fiv e dell'aborto selettivo, allude a questioni concernenti gli adulti. In particolare, ad esempio, cita il caso di Theresa Morelli, avvocatessa dell'Ohio: costei "si rivolge ad una compagnia di assicurazione per stipulare una polizza sanitaria, ma il contratto le viene rifiutato. Il motivo: è noto che il padre è affetto da Corea di Hungtington, malattia ereditaria che la giovane donna ha il 50% di probabilità di aver ereditato come predisposizione…Milioni di americani, al pari di Theresa, corrono il rischio di perdere la copertura assicurativa in quanto portatori di geni che sono associati ad una malattia". Un rischio analogo può avvenire nel campo del lavoro: "la discriminazione genetica da parte dei datori di lavoro è una sorta di effetto collaterale della discriminazione genetica da parte di assicurazioni sanitarie: i datori di lavoro, infatti, sono interessati a discriminare geneticamente i dipendenti o gli aspiranti al posto di lavoro nella prospettiva di contenere i costi delle assicurazioni sanitarie, per malattie, infortuni, assenze". Potrebbero bastare queste brevi considerazioni per comprendere che il pericolo non è tanto un nuovo "oscurantismo", quanto, semmai, un nuovo liberismo assoluto nel campo scientifico-tecnologico! Ma il Santosuosso ci fornisce altre interessanti notizie: "il 17 dicembre 1998 il Parlamento Islandese…approva una legge che autorizza la raccolta e l'elaborazione dei dati sanitari e genetici dell'intera popolazione dell'isola da parte di imprese private a scopo di profitto". Succede cioè che la società "deCode Genetics", con interessi nel campo farmaceutico, viene autorizzata a accumulare "i dati che i medici raccolgono dai loro pazienti, i dati già raccolti sulla popolazione deceduta, i dettagliati alberi genealogici conservati da molto tempo presso le chiese sparse nel paese e i dati su campioni di sangue e tessuti". La "deCode Genetics" "acquista il diritto di usare, per dodici anni, e a scopo di profitto economico" tutti questi dati! La cosa incredibile sta dunque nel fatto che uno Stato possa vendere tutte le informazioni più riservate (genetic privacy) del suo popolo ad una azienda privata, fondata con capitali americani, e quindi stranieri, che, a sua volta, senza neppure consenso informato, può elaborarli e utilizzarli "a scopo di profitto, con un pressoché totale diritto di esclusiva"! L'acceso poi, anche dello Stato, a tali "dati legati alla predizione di malattie" potrebbe aprire al strada anche alle tentazioni eugenetiche: "non bisogna mai dimenticare che tutta la legislazione eugenica di inizio Novecento, e poi quella della Germania, avevano come obiettivo dichiarato il miglioramento della società". Il caso Islandese ci permette di toccare brevemente un altro aspetto legato alle biotecnologie. Quello degli interessi economici connessi ai brevetti. Scriveva Jacques Testart, pioniere della fecondazione in vitro, nel suo "La vita in vendita": "la vita sta per essere integralmente trasformata in capitale e in merce, ovvero in fonte di profitto e in oggetto di scambio. Negli USA la terapia genica fa parte della nuova economia ed è quotata in Borsa…Nel 1980 la Corte Suprema Americana ha dichiarato brevettabile un batterio transgenico, mangiatore di idrocarburi, manipolato da un ricercatore. Per motivi di sicurezza il microbo non è mai uscito dal laboratorio per combattere una marea nera. Ma è entrato nella storia come il primo organismo vivente brevettato. Poiché il suo genoma era stato modificato da una mano d'uomo, era passato dal mondo dei prodotti naturali (non brevettabili), a quello delle invenzioni (brevettabili). Qualche anno fa, l'ufficio americano dei brevetti aveva concesso a Incyte un brevetto su 44 geni umani. L'unico lavoro dell'azienda era consistito nello scoprire un frammento di ciascuno dei 44 geni, senza nemmeno che la loro funzione precisa fosse identificata. Ma questi geni sono ormai una sua proprietà esclusiva: nessuno potrà sfruttarli senza l'accordo, vale a dire royalties che immaginiamo alte, di Incyte…L'appropriazione dell'oggetto scoperto, che sopprime il limite tra scoperta e invenzione, è qualcosa di nuovo nella scienza. Riusciamo a immaginare Cuvier che reclama i diritti sui fossili, o Marie Curie che fa brevettare l'uranio?". Il problema dei brevetti (per esempio sulle staminali embrionali) è dunque assai serio, anche se nella recente campagna contro la legge 40 non se ne è quasi mai discusso, forse per fingere che il denaro non c'entrasse nulla! Ne parla anche la giurista Mariachiara Tallacchini nel saggio della Ibis già citato, sottolineando come, mentre la "disciplina statunitense sui brevetti considera come fenomeni non distinguibili scoperta e invenzione", "la Direttiva europea 98/44/EEC sulle invenzioni biotecnologiche non definisce il termine invenzione, ma indica in novità, inventività e applicabilità industriale i requisiti delle invenzioni biotecnologiche, la cui brevettabilità è ammissibile anche se esse riguardino un prodotto consistente in, o contenente, un materiale biologico o un processo in cui sia prodotto, processato o utilizzato un materiale biologico (art.3)". A tal riguardo il già citato Santosuosso specifica: "un elemento isolato dal corpo o prodotto con un processo tecnico, ivi compresa la sequenza parziale o totale di un gene, può rappresentare una invenzione brevettabile, anche se la struttura dell'elemento riprodotto è identica a quella naturale". E' evidente come, anche nel caso dei brevetti, ci si trovi di fronte a qualcosa di epocale. Lo scriveva anche l'europarlamentare verde Alex Langer: "finora quello che è terapia medica era sempre stato escluso dalla brevettabilità. Come ovviamente era escluso il corpo umano. Domani saremo nelle mani di chi ha la titolarità di questi brevetti" (Il Foglio, 2/7/2005). Se così è non possiamo non gettarci a capofitto, ancora una volta, nella battaglia per impedire che il progresso divenga fonte di asservimento e di perdita della libertà, "il bene più prezioso che i cieli abbiano dato agli uomini". In nome di questa libertà, e del diritto naturale, occorrerebbe forse stipulare una inedita alleanza, che veda coinvolte anche quelle forze ambientaliste e no global sincere, che in parte hanno colto l'estremo inganno in cui i loro leaders li hanno portati: perché non si può essere per la natura, e poi schierarsi, come i Verdi italiani, contro la legge 40 (pessima, ma per le troppe aperture, non, come dicono, per limiti, pochissimi, che impone)! E non si può essere critici verso le multinazionali e lo strapotere dell'economia, e non contrastare l'estrema commercializzazione del corpo umano e della sua salute! (Da: "Controriforme", Fede & Cultura)
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