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Un anno e dieci giorni fa, il 3 agosto 2008, moriva Aleksandr Solzenicyn, l'uomo che ha fatto conoscere al mondo l'esistenza dei gulag. Lo ricordiamo con una lezione sulla libertà, che vale ancora oggi, scritta da un uomo che non si fece incantare nè dal comunismo nè dal nichilismo occidentale.
Testo tradotto del discorso che Solzenicyn pronunciò il 1 giugno 1976 presso la Hoover Institution (Stanford University, California) in occasione del conferimento dell’American Friendship Award, riconoscimento promosso dalla Liberty Foundation.
Sono profondamente commosso dalla vostra decisione di conferirmi il premio da voi tradizionalmente assegnato. Lo accetto con gratitudine e con il sentimento di aver contratto un impegno nei confronti dell’altissimo ideale che vive nel nome della vostra organizzazione e che rappresenta il simbolo che ci vede oggi qui riuniti. Di tale simbolo mi occuperò nel discorso di replica alla concessione del premio. Nella situazione attuale è assai facile dare libero corso alla retorica contro i foschi abissi del totalitarismo e cantare le lodi delle splendenti fortezze della libertà occidentale. I
nvece, è molto più difficile, ma anche più produttivo, sottoporre noi stessi ad un acuto esame. Nel mondo, il numero dei sistemi socialmente liberi diventa sempre più esiguo e, soltanto negli ultimi tempi, grandi continenti che hanno raggiunto la libertà, si vedono trascinati ai margini della tirannia. La colpa di tutto ciò non è solo dei totalitarismi, che impediscono alla libertà di svilupparsi, ma anche, con tutta evidenza, degli stessi sistemi libertari, che hanno perduto, nell’intimo, parte del loro vigore e della loro stabilità. I vostri e i miei giudizi riguardo a fatti e avvenimenti si basano su esperienze di vita diverse. Questo è il motivo per cui possono divergere profondamente tra loro. Ma proprio la differenza dei punti di vista potrebbe aiutarci a conoscere il tema nelle sue più ampie dimensioni.
Vorrei vantarmi di essere riuscito ad attrarre la vostra attenzione su certi aspetti della libertà che pur non appartenendo alle conversazioni di moda, non per questo cessano di avere importanza ed influenza. L’idea della libertà è difettosamente concepita se non diamo valore alle mete vitali della nostra esistenza terrena. Credo che gratificarci in modo illimitato con beni materiali non può rappresentare l’obiettivo della nostra vita; dobbiamo lasciare questo mondo purificati, migliori di quanto siamo a causa del retaggio dei nostri istinti. Dovremmo orientare il corso della vita lungo il cammino dell’arricchimento e del perfezionamento dello spirito. Solo il sommarsi di questi passi spirituali può essere definito progresso spirituale dell’umanità.
Partendo da questi presupposti, la libertà esterna non è la meta finale dei popoli e delle società, ma solo un mezzo che favorisce l’autentico sviluppo. Non è altro che la possibilità di vivere un’esistenza umana e non animale, la cornice entro la quale l’uomo può svolgere meglio la propria missione terrena. Ma per arrivare a questo, la libertà non è l’unica condizione necessaria. Non meno che della libertà esterna, l’uomo ha bisogno di uno spazio in cui potersi concentrare intellettualmente e moralmente e dove il suo spirito possa svilupparsi. Purtroppo, l’attuale forma civilizzata di libertà ci concede un tale spazio solo a costo di un grande impegno. E’ deplorevole che, rispetto a epoche anteriori, negli ultimi decenni l’idea di libertà sia stata così tanto demolita e svuotata. Il concetto si è quasi esclusivamente ridotto a libertà dalle pressioni esterne e dalla costrizione statale.
La libertà è ormai intesa come concetto meramente giuridico. Libertà, dunque, è la “libertà” di sporcare con rifiuti commerciali le cassette della posta, gli occhi, le orecchie, i cervelli degli uomini e le trasmissioni televisive, al punto che è impossibile vederne una dall’inizio alla fine senza interruzioni. “Libertà” di sputare pubblicità e propaganda sugli occhi e sulle orecchie dei pedone e degli automobilisti. “Libertà” degli editori di riviste e dei produttori di cinema di portare sulla strada sbagliata le nuove generazioni con immagini provocanti ed equivoche. “Libertà” dei giovani fra i quattordici ed i diciotto anni, che stanno crescendo, di abbandonarsi all’ozio e ai piaceri fatui, invece di imboccare la via del vero impegno e della crescita morale. “Libertà” delle persone giovani e sane di dedicarsi a nessun lavoro e di vivere alle spalle della società. “Libertà” degli scioperanti di usurpare diritti e di privare il resto dei cittadini di una vita normale, del lavoro, dei mezzi di trasporto e persino dell’acqua e degli alimenti. “Libertà” di presentare in tribunale testimoni di comodo anche quando l’avvocato sa che il proprio assistito è colpevole. “Libertà” di interpretare in modo così estremistico le regole assicurative da trasformare in usura persino l’azione di un samaritano. “Libertà” di volgari scrittorelli d’occasione, irresponsabilmente portati a trattare in modo superficiale i problemi, formando così l’opinione pubblica in modo frettoloso. “Libertà” del fabbricante di pettegolezzi, che riesce ad impedire al giornalista, per calcolo egoistico, di avere pietà del suo prossimo e della sua patria. “Libertà” di divulgare i segreti militari e di sicurezza del proprio paese al fine di perseguire fini politici personali.
“Libertà” dell’uomo d’affari nelle transazioni commerciali, insensibile al numero di esseri umani che potrebbero essere pregiudicati dalle stesse e al danno che potrebbe arrecare alla patria. “Libertà” del politico di parlare irriflessivamente di ciò che piace ai lettori di oggi, senza curarsi della loro sicurezza e del loro benessere futuri. “Libertà” dei terroristi che sfuggono alla pena, il che significa che la pietà nei loro confronti si trasforma in una sentenza di morte nei riguardi della società. “Libertà” di restare indifferenti dinnanzi ad una libertà lontana, straniera, che sia stata calpestata. “Libertà” di non difendere neppure la propria libertà: “che siano gli altri a rischiare la pelle!”.
Tutte queste libertà, spesso giuridicamente inattaccabili, sono tuttavia moralmente false. Gli esempi fatti permettono di osservare che la somma di tutti i diritti alla libertà è ancora molto lontana dalla libertà dell’uomo e della società. Quest’ultima potenzialmente si realizza solo in altre forme. Tutte quelle menzionate sono forme subordinate di libertà, affatto elevate, precarie e intrise di decadenza.
In fondo, la libertà è libertà interiore, quella che Dio ha dato all’uomo: libertà di decidere delle nostre azioni e omissioni, e di esserne moralmente responsabili. Ha capito veramente che cosa è la libertà, non colui che corre dietro ai suoi diritti legali e di essi si serve per ottenere vantaggi economici, ma chi ha una coscienza morale dalla quale si sente obbligato anche quando la legge sta dalla sua parte. La libertà non l’ha chi difende vittoriosamente un caso legale sicuro, ma chi è integro al punto da non curarsi dei suoi diritti e, rinunciando a questo, da non temere di mostrare i propri errori. Tutto ciò si designava con una parola molto antica e oggi dimenticata: onore.
Non mi sembra uno sproposito asserire che nel XX secolo, in alcuni paesi ben conosciuti del mondo occidentale, la parola libertà si sia distaccata dalle sue forme originali ed elevate. Oggigiorno non esiste in nessuna nazione del mondo questa forma elevata di libertà, propria degli uomini spirituali, i quali – pari ai nostri antenati – non svicolano fra le sinuosità serpentine delle leggi, ma si autolimitano liberamente e con la piena coscienza della loro responsabilità. E tuttavia credo profondamente nelle sane e vigorose radici della nazione nordamericana, importante e potente, e soprattutto nella probità e nel vigile senso morale della sua gioventù. Ho visto con i miei occhi la capacità innata dei nordamericani e per questo oggi vi ho parlato con i toni della più ferma speranza (da Ideazione 1-2002, gennaio-febbraio. Traduzione di Dianella Gambini )