Nessuno può dirsi giudice
La vicenda di Saddam, il macabro rito della sua impiccagione, rivela una serie di elementi che non possono che inquietarci. La preparazione dell’esecuzione e gli ultimi istanti di vita raccontati attraverso le immagini rappresentano quanto di più lontano si possa immaginare rispetto alla pietà cristiana. Tutto ciò esprime un sentire primitivo: l’idea di una rappresentazione che funga da elemento sinistramente pedagogico, un monito, un avvertimento. Perché quelle immagini sono distillate con maestria, non sono casuali e non riflettono neppure la realtà ma soltanto una porzione di essa, quella che fa comodo ai vincitori. Quei fotogrammi ci riportano indietro di cento anni quando sulle piazze si poteva assistere alla fine del delinquente esposto al pubblico supplizio.
Niente, oggi, legittima la pena di morte, il suo allestimento, la sua calcolata e rituale esecuzione.
Questo è il disagio che ha ferito molti occidentali davanti al tiranno sull’orlo del baratro.
Saddam fu condannato a morte oramai molti anni orsono, quando si decise di identificare in lui il male, o meglio una forma del male assoluto. Come si fece dopo la morte di Hitler quando la coscienza dei vincitori si trovò costretta a fare i conti con l’immane tragedia dell’olocausto. I Sovietici furono tra i primi ad avanzare l’ipotesi che il Hitler fosse un depravato, un folle, che il suo cervello presentasse un strana inconsistenza, che fosse afflitto dalla sifilide. Nell’autopsia sul corpo carbonizzato di Hitler essi andarono a cercare la conferma delle loro ipotesi, si spinsero persino ad affermare che il leader nazista non trovò neppure la forza di spararsi, rivelando con questo la propria estrema codardia. Ma le cose non andarono così. Certo, l’ipotesi che il male fosse causato da un singolo individuo capace di attrarre a sé, grazie ad un carisma demoniaco, l’intero popolo tedesco seducendolo e trascinandolo verso il baratro, fu assai comoda.
Come ha fatto comodo fare di Saddam l’istigatore del terrorismo internazionale e il tiranno smanioso di possedere la bomba atomica. Per alcuni anni da parte di stampa e televisione si è taciuto delle molte dittature, dei molti tiranni presenti sul pianeta, dipingendo il solo Saddam come la quintessenza del male.
Questa procedura ha evitato a ciascuno noi di fare i conti con la reale natura del male, con il fatto che esso non sia mai espressione della follia, del cortocircuito di un singolo individuo, ma sia piuttosto una forza oscura, potente, capace di sedurre ogni individuo solo che le condizioni si presentino. L’idea “dell’uomo malvagio” ci deresponsabilizza, ci fa sentire buoni, saggi, equilibrati, eludendo il mistero del male, la sua presenza sempre si rinnova, mai vinta. Recentemente una strage che ha visto la soppressione di quattro persone, fra cui un bambino, ci ancora una volta messo di fronte alla possibilità che il male possa primo o poi germinare anche nella nostra vita.
Tutta l’antropologia Paolina evidenzia proprio questa divisione dentro l’uomo, questo nostro essere contemporaneamente angeli e demoni. E’ questa la misteriosa presenza del male di cui parlo, la forza del maligno, piaccia o non piaccia a certa teologia progressista.
E’ difficile per l’uomo occidentale accettare il fatto che le grandi promesse di cui furono portatori l’illuminismo e l’ottimismo razionalistico potessero naufragare sugli scogli di un ventesimo secolo che ha visto consumarsi le più atroci carneficine dell’intera storia dell’umanità.
E’ difficile per l’uomo occidentale accettare che persino la speranza riposta nella tecno-scienza si rivelasse fallace, illusoria, così come tutti i progetti volti ad educare il cittadino alla consapevolezza, all’equilibrio, ai valori dell’obbiettività e del buon senso di cui la scienza si diceva portatrice per bocca dei suoi anfitrioni.
Quello cui assistiamo è in realtà il sorgere di un mondo senza orizzonte, senza speranza, in cui le promesse di pace e di benessere tradite generano frustrazione ed inquietudine.
L’uomo non è diventato più buono o più capace d’amare, anzi, l’amore stesso è in crisi tanto è assillato dal desiderio della felicità , del piacere, della soddisfazione immediata e durevole.
L’uomo-in una parola- ha dimenticato il male in quanto realtà personale costantemente presente, ha creduto di averlo vinto una volta per sempre, nell’orgogliosa affermazione della propria autonomia dal divino. Ma dimenticando il male l’essere umano si è precluso la possibilità di conoscere il vero bene.
Così quando sulla scena della vita si affacciano le sinistre figure dei dittatori e dei pluriomicidi con essi cresce la fretta, la voglia di spiegarli per ridurli a deviazioni, a mostri, ad escrescenze impreviste. Dimenticando che ogni uomo, ogni colpevole è frutto di un ambiente, di un’epoca, di un mondo, di determinate relazioni, di soprusi, di viltà , di cinismi, di calcoli economici e politici.
Il colpevole non è mai solo, egli è con noi. Questo non per scagionare chi si macchia di orrendi delitti, ma per comprenderlo realmente.
Il cristianesimo sa, da sempre, che in ogni uomo alberga il male, che le relazioni umane sono segnate dallo stigma del male. L’uomo è ferito dal peccato ed è ferito d’amore. La ferita d’amore è il lascito di Gesù Cristo, il frutto del suo sacrificio e del suo sangue versato.
Così, quando questa consapevolezza si fa presente in noi, nel nostro cuore di peccatori germina la possibilità del perdono. Soltanto la consapevolezza della comune figliolanza nel male ci rende tolleranti, capaci di comprendere, rendendoci immuni dal pericolo della ricerca del capro espiatorio.
Il cristiano sa, che l’unico “capro espiatorio”, l’unico essere degno di donare il perdono è Gesù, perché soltanto lui è privo del peccato.
Per questo, chi non crede nel mistero della redenzione difficilmente sarà capace di un perdono che vinca la voglia di vendetta, che vinca la legge del taglione.
L’uomo non ha il diritto di chiedere una vita, di sacrificarla per restaurare un ordine leso; lo avrebbe se fosse irresponsabile, se fosse puro, senza peccato.
Ma ciascuno di noi sa bene che una forza oscura preme dentro il quotidiano di ciascuno ed essa assume molteplici forme e nomi. Questa forza si chiama interesse, volontà di affermazione, di dominio, sfruttamento dei deboli, passione erotica incontrollata, ricerca smodata del denaro e del piacere, voglia di un figlio a qualsiasi costo, aborto, sperimentazione su esseri indifesi. Essa è il cinismo della politica, il sacrificio delle guerre per ragioni di dominio sulle risorse energetiche, essa è la volontà di imporre un unico stile di vita, di affamare alcuni popoli per compiacere il proprio tenore di vita ecc…
Questo è il male, semplice, elementare, capace di trasformarsi, di farsi ideologia di un piccolo gruppo, di un popolo, forza che muove gli eserciti, nebbia che acceca le menti dei dittatori.
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