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Il punto forte di Louis de Wohl sono indubbiamente le biografie. Ne La liberazione del gigante, il protagonista è Tommaso d’Aquino, anche se per consolidare l’unità del romanzo l’Autore crea un secondo protagonista, l’inglese Pier Rudde, candido e generoso soldato che mette la sua prodezza al servizio della fede partecipando alle varie vicende e fungendo da secondo centro di gravità. Il retroscena su cui è costruita la vicenda sono l’Italia e la Francia del 1200, epoca della corte siciliana di Federico II di Svevia (che de Wohl, nonostante tutto, in ultimo salva) e al cattolicissimo re Luigi. Naturalmente attorno a questi centri politici ruotano le varie casate – compresa l’influente famiglia d’Aquino –, sempre attente a non violare le consuetudini e ad ingraziarsi il potere regio, e i vari ordini religiosi: Francescani, Benedettini, Ordine dei Predicatori, rappresentati da padre Bonaventura, San Alberto Magno, fra Giovanni e naturalmente San Tommaso d’Aquino.
Quest’ultimo, il più piccolo di sei figli di una nobile casata, fin dalla più tenera età viene affidato al convento dei Benedettini di Montecassino affinché studi in vista della sua, già decisa, nomina ad Abate. Quando il monastero viene incendiato in una spedizione del conte di Caserta, Tommaso ha quindici o sedici anni e si salva grazie all’intervento di Pier, provvidenzialmente mandato dal fratello poeta del Santo affinché scorti il giovane fraticello “piuttosto grasso, o almeno rotondetto, dal bel viso pallido, il cranio raso circondato da una corona di lucidi capelli castani” (La liberazione del gigante, Milano, BUR 2007, pag. 40) a Roccasecca dalla madre, una donna rigida e totalmente assorbita nei giochi di potere dell’epoca.
In seguito, il nostro oblato benedettino, ancora vestito con il saio di San Benedetto, va a studiare all’Università di Napoli. Qui è considerato dai più uno stolto, perché parla pochissimo e durante le lezioni non prende appunti, salvo poi stupire tutti riassumendo in meno di un quarto d’ora e in modo limpido e acuto un’intera lezione del maestro Pignatelli durata più di un’ora. E’ nella città campana che Tommaso decide di abbandonare il saio benedettino a favore di quello domenicano, subito concessogli da fra Giovanni, generale dell’Ordine dei Predicatori. La madre non accoglie per nulla bene la decisione del figlio minore perché “i d’Aquino non sono mendicanti neanche sotto il saio” (op.cit pag. 81) e fa rapire il figlio mentre si sta trasferendo a Parigi, per poi rinchiuderlo in uno dei castelli di famiglia a Monte San Giovanni.
Frate Tommaso però è irremovibile e, nonostante le varie minacce, tentazioni e persuasioni, rimane fermo sulla propria scelta. Le tre sorelle cercano ogni pretesto per entrare nella sua stanza e osservarlo, benché il più delle volte egli non si accorgesse nemmeno della loro presenza, tanto era assorto nelle sue letture. Totalmente catturate della gaiezza fraterna, saranno esse ad organizzare la fuga notturna di Tommaso e, quando la contessa lo viene a sapere in tarda mattinata, non riesce a decidersi a farlo inseguire. Comincia così, per il novello frate dell’Ordine dei predicatori, un periodo di peregrinazioni – naturalmente rigorosamente a piedi – per l’Europa: Parigi, Colonia, Anagni, Napoli, Lione… . Luoghi molto importanti per il Sapere e per la Chiesa: tutte sedi delle Università più prestigiose e città ospitanti Concili e Santi. E’ in Germania, infatti, che Tommaso entra in contatto con Alberto Magno, il quale trova in lui l’uomo che da tempo cercava: una persona in grado di liberare il filosofo Stagirita – il gigante –, e di affermare pubblicamente e senza timore che “Aristotele non sempre ha ragione”. Così, due delle menti più fini di tutti i tempi, cominciano un’opera di immensa portata che li metterà contro i loro stessi amici. Ma essi agiscono affinché i cristiani possano dire: “per grazia di Dio, io credo. Molte cose della mia fede trascendono la ragione, ma nulla le contraddice” (op.cit., pag.208).
E’ così che si compie il compito di San Tommaso in terra: uomo di una serenità immensa, sempre pronto a donare un sorriso a tutti, costantemente immerso negli studi, nella preghiera e timoroso solo del Signore sull’altare.
Alla domanda su dove sia Dio e perché permetta la sofferenza, d’Aquino risponde pacatamente che “non è necessario che esista io, non è necessario che esistiate voi. Dio invece deve esistere, perché altrimenti null’altro potrebbe esistere. […] Ora, se l’Universo intero è un sistema di ricevitori d’esistenza, ci dev’essere anche un datore […] e deve possedere un’esistenza autonoma. Dev’essere esistenza. Questo datore noi chiamiamo Dio. […] Che cosa significa soffrire? Qual è la causa del soffrire, quale la sua conseguenza? Quando le parti che dovrebbero essere unite vengono separate e ostacolate nella loro tendenza a riunirsi, abbiamo la sofferenza dalla quale deriva il dolore. […] Tutto il dolore umano risale al dolore primitivo, alla separazione dell’uomo da Dio” (op.cit., pagg. 272-3).
Mentre, quando gli viene posta la domanda su come facciamo a sapere che la verità esiste veramente, Tommaso dice semplicemente che “verità è a concordanza fra cosa e intelletto: errore è la loro non concordanza” (op.cit., pag.283), ma solo Dio può conoscere l’intera verità su una cosa.
Di ritorno da un viaggio in Inghilterra, il Santo Padre lo convoca per farlo cardinale per tutti i suoi meriti, ma Tommaso rifiuta e afferma: “voglio molto di più del cappello cardinalizio […]. Vorrei che della festa del Corpus Domini faceste una festa per tutta la Chiesa, da ora e per tutti i secoli”(op.cit., pag. 308) e, ottiene il consenso a patto di scrivere lui stesso la liturgia della festa: cosa che ovviamente fa molto volentieri.
Tommaso si adopera anche per combattere l’eresia averroista, la quale afferma che il mondo è eterno, che la Provvidenza divina non esiste e che Dio non può conferire l’immortalità personale, affermando che Dio ci ha dato la ragione affinché la usassimo, ovviamente nel modo corretto. Per tutta la vita, infatti, Tommaso ha tenuto costantemente la sua ragione attiva: anche nel bel mezzo di un banchetto di re Luigi, egli era capace di estraniarsi per continuare le sue dispute intellettuali, compiendo strani gesti con le dita… e nella vecchiaia queste sue abitudini peggiorano pure!
Sulla soglia del ricongiungimento con il Padre, Tommaso confessa i suoi peccati a frate Reginaldo, il quale esce poco dopo dalla sua cella in lacrime e mormorando: “i peccati di un bambino di cinque anni. […] in tutta la sua vita, i peccati d’un bimbo…” (op.cit., pag. 370).
Questa la vita di San Tommaso d’Aquino: filosofo, teologo, metafisico… ma soprattutto un uomo di Dio.