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Scientismo, natura umana e legge morale.
Di Francesco Agnoli - 10/09/2009 - Filosofia - 1822 visite - 0 commenti

Lo scientismo è, anzitutto, un’ideologia, nel senso che pretende, a priori, di essere capace di comprendere tutta la realtà, anche ciò che è sempre stato considerato inattingibile, non certo perché in se stesso inintelleggibile, ma perché superiore alla capacità umana. Inintelleggibile, cioè, per la ragione, pur sempre limitata, con la r minuscola, dell’uomo.

Scientismo è, come sostiene John Duprè, filosofo della scienza e direttore del Centre for Genomics in Society, affermare che la verità sulla materia fisica sia la verità su tutto; credere, e il verbo non è utilizzato a sproposito, che ad esempio l’evoluzionismo sia in grado di spiegare qualsiasi cosa; affermare di poter “applicare un’idea scientifica di successo ben oltre il suo dominio originario, e in genere con sempre minor successo man mano che la sua applicazione viene estesa” (J. Duprè, Natura umana. Perché la scienza non basta, Laterza, 2007).

Come ogni ideologia lo scientismo parte da un dato vero, inconfutabile, ma parziale, della realtà: l’esistenza della materia, la corporeità dell’uomo.

Da qui sono scaturite, a ben vedere, anche le ideologie totalitarie del Novecento: il nazismo, definibile come una “biologia applicata”, perché fondato sull’idea che l’uomo è esaurito da sangue e suolo”, cioè dalla sua materialità, corporeità, salute fisica, appartenenza etnica ecc, e il comunismo, che altro non è che la riduzione della vita dell’uomo all’interesse economico, alla materia, al lavoro. Non per nulla sia i gulag che i lager portavano all’entrata analoga scritta: “Tramite il lavoro, la libertà”, i primi; “Il lavoro rende liberi”, i secondi. Sarebbe bello indagare il perché il primo articolo della nostra costituzione italiana si apre con l’idea di una comunità di uomini, gli italiani, che sarebbe fondata sul “lavoro”.

Ma non è questo che ci interessa. Quello che è importante è sottolineare che lo scientismo parte dallo stesso presupposto: dovendo, per statuto, spiegare ogni cosa, riduce la complessità della realtà a ciò che è meno complesso. Cosa è più difficile: studiare gli ormoni maschili, o capire la psicologia del maschio? Studiare i circuiti neurologici, o capire il perché del pensiero, della libertà, dell’originalità dell’uomo? Di qui il fondamento dello scientismo: l’uomo, se è solo materia e genetica, è studiabile esattamente come un sasso, una mosca, una formica, uno scimpanzé. Così è più facile, così è esauribile, così è completamente comprensibile!

Sfugge, agli scientisti, il fatto che il solo tentativo di spiegare l’uomo, lo differenzia dalle altre forme di vita o di non vita, più facilmente comprensibili, dalla pietra alla pianta al gatto, che non cercano né di comprendere nel profondo ciò che le circonda, né tanto meno di spiegare se stessi, la propria origine e il proprio fine. Fatto sta che stabilito l’assioma di base, l’uomo è solo un animale, la comprensione dell’uomo stesso diventa, sembra, più semplice e agevole.

Ecco che sociobiologi e psicologi evoluzionisti vivono perennemente alla caccia di geni che determinino la tendenza al suicidio, al furto, all’omosessualità, all’alcoolismo, a dipingere, a filosofare…cioè a tutto ciò che ci distingue dal resto del creato, e che non è ancora spiegabile in termini empirici. Caccia che però non ha dato per ora alcun risultato. Da questo approccio deriva un’idea di “natura umana” che è assolutamente infondata, ma che rende impossibile il dialogo, tra scientisti e non scientisti, sulla “legge naturale” e sulle peculiarità, “naturali”, dell’uomo.

Mi spiego meglio. Quando si discute della “natura umana”, su ciò che i cattolici e non solo, definiscono “morale naturale universale”, per indicare di contro che vi sono scelte non “naturali”, cioè non giuste per l’uomo, la reazione immediata di chi è ben nutrito di evoluzionismo materialista, è: ma anche l’educazione è innaturale; anche l’uso del cellulare, o curare il cancro sono operazioni innaturali!

Mettere il pigiama e credere in Dio, ha scritto lo zoologo Magnus Inquist, sono due cose “innaturali”, ben più dell’omosessualità: infatti, secondo questo ragionamento, l’omosessualità esiste tra gli animali, quindi sarebbe “naturale” anche per l’uomo; d’altro canto nessun animale crede in Dio e si mette il pigiama, per cui queste ultime sarebbero le vere operazioni innaturali, artificiali, benché universali nel tempo e nello spazio. Una simile affermazione, considerata ormai da molti come “evidente”, nasconde un’assoluta incomprensione della “natura umana”, la quale, come dimostra la semplice osservazione, non coincide con quella animale tout court. Infatti la “natura umana”, come si diceva prima, è anfibia: solo questo appartenere e non appartenere, nel contempo, alla natura animale, le permette di essere così speciale, diversa, originale.

Natura anfibia significa che siamo composti di anima e di corpo, ma non secondo una visione dualistica, cartesiana, completamente anti-filosofica e anti-scientifica, bensì secondo l’idea che proposero già Aristotele e Tommaso. Secondo costoro anima e corpo non sono due entità separate, unite quasi per uno scherzo del demiurgo malvagio, come ad esempio nell’idea di reincarnazione, ma un sinolo, una profonda unità inscindibile. “Sebbene l’anima abbia una operazione tutta sua, in cui non entra il corpo, cioè il pensare, tuttavia ci sono altre operazioni comuni ad essa e al corpo, come il temere, l’adirarsi, il sentire e simili; queste avvengono con una certa trasmutazione di una determinata parte del corpo, da cui risulta che sono insieme operazioni dell’anima e del corpo. Occorre pertanto ammettere che l’anima e il corpo fanno una cosa sola e che non sono diversi quanto all’essere” (Somma contro i gentili, II, c.57) .

L’essere umano, come chiosa Paola Premoli De Marchi, è il suo corpo ed ha il suo corpo, nel senso che ha un “certo dominio su di esso e se ne serve per entrare in relazione col mondo”. Una simile idea di anima e di corpo, è sufficiente da sola a far crollare il castello delle invenzioni fantasiose proposte da quegli evoluzionisti che cercano solo basi biologiche per giustificare la eccezione, la specificità umana, e che quindi ritengono ad esempio che l’amore sia riducibile a reazioni ormonali.

Dicono costoro: dal momento che ogni innamoramento comporta movimenti fisici scientificamente rilevabili, ciò significa che l’amore coincide e si esaurisce in emissioni di ormoni! Non capiscono, essendo a priori negatori dell’anima, e quindi della libertà e della specificità umana, che non essendoci alcuna frattura cartesiana o induista tra anima è corpo, è la cosa più naturale del mondo che ciò che avviene a livello spirituale, avvenga anche a livello fisico e viceversa, data la profonda connessione, ripeto, tra anima e corpo! Aggiungono: poiché ogni pensiero si traduce anche in impulsi cerebrali elettrici, ne deriva che il pensiero e gli impulsi elettrici coincidono, sono la medesima cosa! Naturalmente, però, sono poi costretti ad ammettere che questa è una loro ipotesi oggi per nulla dimostrata.

 Tutto ciò che avviene nell’uomo, dunque, per chi non ne ha compreso la natura anfibia, è per forza di cose scientificamente comprensibile, e per forza di cose determinato. Siamo, come si diceva all’inizio, di fronte ad una ideologia, il “materialismo monastico”: la complessità dell’uomo viene ridotta alla sola materia e ne vengono tratte leggi universali per l’uomo che dovrebbero essere ineludibili. Un uomo si sacrifica per un ideale? Non è vero, lo ha fatto per un interesse materiale, per essere visto, per essere elogiato, e solo per quello! Un soldato va volontario in guerra per difendere la patria? In verità non può trattarsi di un ideale “spirituale”, sono i suoi geni ad averlo spinto ad andare, per salvare persone con lui biologicamente imparentate. Gesù predicava l’amore anche per coloro che non sono né parenti, né connazionali, né amici, cioè l’amore gratuito e totalmente disinteressato? Non è vero si tratta di una lettura ingenua. Predicava l’amore verso i suoi connazionali ebrei e null’altro…Ci sono uomini che stuprano? Ciò è dovuto ad un particolare “modulo cerebrale innato”: “ il motivo per cui gli uomini sono capaci di stuprare è che esercitando questa capacità i nostri antenati aumentavano la loro fitness riproduttiva” (Duprè p. 29). Ci sono uomini che stanno tutta la vita con la stessa moglie? Avranno determinati geni della fedeltà. Altri uomini vanno con numerose donne: è l’ impulso dell’uomo, che è “per natura” poligamico come la scimmia bonobo e lo scimpanzé, perché la natura vuole che producano più discendenza. Un uomo è omicida? Vi è lo studio dello psicologo evoluzionista di turno che afferma che “la maggior parte degli omicidi sono il risultato di impulsi geneticamente installati” (Tom Wolfe, La bestia umana, Mondadori).

Amore, libertà, volontà, senso morale, idea di Dio, sono quindi in tal maniera estromessi, e l’eccezionalità umana negata, senza, ovviamene, alcuna prova. Eppure proprio il pigiama di cui sopra, o l’idea di Dio o anche la pillola contraccettiva, cioè la nostra capacità di dominare la natura corporale, sono la dimostrazione che tutto questo riduzionismo è ridicolo. L’uomo veste da sempre, altrimenti sarebbe morto subito: è nella sua propria natura. Ha sempre creduto in Dio o negli dei: ciò significa che è nella sua natura. Può andare contro gli impulsi naturali animali che lo caratterizzano, unendosi senza procreare, o addirittura suicidandosi, tutte cose che nessuna natura solo animale farà mai: è nella sua natura umana, trascendere ed anche contrastare la propria natura animale. L’uomo è dunque l’unica creatura culturale, “artificiale”, per natura: “per natura” costruisce utensili vari, progredendo e arrivando a costruire anche, col tempo, cellulari!

Per natura vive in società ed educa i suoi figli. Per natura, essendo capace di dominare la natura, cercherà di curare le malattie e di sconfiggerle, come di coltivare e di domare gli animali! Inoltre la sua è una natura aperta, incompiuta: diviene, si fa, progetta, sceglie tra bene e male, a differenza di qualsiasi altra creatura. E’ artefice del proprio destino. E’ nella sua natura, quindi, ricercare, non solo ciò che è inferiore a lui, ma anche la Verità, in ogni senso e la verità morale in particolare. Non fa come il sasso che farà sempre il sasso e ubbidirà sempre alle stesse leggi, senza mai violarle: l’uomo cerca il bene e il male, ciò che è bene e male per lui, per natura. Ma cos’è il bene e il male, chiedono allora i relativisti? In ogni tempo, continuano, l’uomo ha ucciso rubato, ferito, schiavizzato, ucciso i suoi figli con l’infanticidio, praticato la poligamia… Come si può allora dire che esiste una morale naturale universale? Per i pagani la schiavitù era naturale, per i cristiani no; per tutto il mondo antico, come ben evidenzia Peter Singer, l’infanticidio era lecito: perché, continua sempre Singer, dovrebbero avere ragione coloro che condannano tale pratica e non coloro che la hanno sempre praticata?

Per i nazisti, scriveva a suo tempo un avversario del diritto naturale come Gustavo Zagrebelsky (Repubblica, 4/4/2007), l’eliminazione dei deboli, tramite l’eugenetica e l’eutanasia, è la massima fedeltà alla natura, alla legge della “selezione naturale”, mentre per molti pensatori dell’ottocento la carità verso i deboli e i poveri è una manomissione della natura stessa.

Per questo, concludeva Zagrebelsky, fondare la morale sul diritto naturale come fa la Chiesa, è assolutamente impossibile, e stabilire cosa sia per natura e cosa sia contro, risulta addirittura operazione da fanatici, da estremisti. In verità Zagrabelsky non concepisce neppure l’idea che il nazismo, l’eugenismo, così come il comunismo, tre ideologie sedicenti “scientifiche”, ma in verità scientiste e riduzioniste, hanno fallito non perché hanno proposto una legge naturale, ma perché in partenza hanno mal definito la natura umana. Il nazismo fu un sistema perfettamente coerente: data una definizione, riduttiva, di natura umana, corrispondete in verità a quella animale, ne derivò una legislazione conseguente. Ogni ortodossia, infatti, genera una ortoprassi, e ogni eterodossia applicazioni pratiche errate. Ad esempio un medico che definisca erroneamente una malattia, attuerà una terapia sbagliata, nociva: ma la colpa non sta affatto nella convinzione che possa esistere una terapia giusta, bensì nella precedente concezione errata della malattia!

Noi, prosegue Zagrebelsky, condanniamo il nazismo in nome “della cultura, della civiltà, dell’umanità o della religione; tutte cose che non hanno a che vedere con la natura…appartengono al campo della libertà, non a quello della necessità”!

Ma come? Non fanno parte la cultura e la religione, della natura umana, della sua natura anche spirituale? E la libertà, non è forse un attributo che distingue l’uomo, la sua natura, dalle altre bestie e dai sassi, dalla loro natura? Come si è visto, la definizione di Zagrebelsky di natura umana, come se essa fosse in contrasto con la cultura e il senso religioso, non sta i piedi. Anche perché, se veramente condanniamo il nazismo per tali motivi, e non perché violano una legge oggettiva universale, allora come facciamo a dire che la nostra cultura che condanna è superiore alla cultura tedesca degli anni trenta? In nome di quale religione deploriamo il nazismo, essendo le religioni così diverse, ed esistendo ad esempio, religioni che permettono la schiavitù, ed altre, come l’induismo, che dividono l’umanità in caste analogamente al nazismo? In nome di quale umanità, se come diceva precedentemente Zagrebelsky per l’uomo Aristotele la schiavitù era un istituto naturale?

E’ allora giocoforza riconoscere che la legge morale universale non è tale perché sia “universalmente riconosciuta”, ma perché, non abitando noi nel Regno della Perfezione, è potenzialmente, universalmente riconoscibile, e perché è l’unico criterio oggettivo che ci permetta di dire che il bene e il male differiscono, oggettivamente, sempre, in ogni tempo ed in ogni luogo, indipendentemente dal potere di turno o dagli errori umani! Un atto è buono quando è confacente alla natura razionale dell’uomo.

 Quindi è bene ciò che è razionale. Questa qualificazione svincola la scelta della condotta da assumere dall’arbitrio personale e dal soggettivismo, perché aggancia l’atto ad un criterio oggettivo, appunto perché razionale. Del resto, storicamente, è dalla definizione non puramente biologica, e cioè deficitaria, di natura umana, che è nato il concetto di diritti umani, distinti e differenti da quelli animali, che ha portato all’abolizione della schiavitù, dell’infanticidio, dei sacrifici umani…! Se la nostra civiltà avesse ragionato come fanno oggi i sociobiologi e gli psicologi evoluzionisti, le conseguenze sarebbero molteplici: eguaglianza tra diritti umani e diritti animali, il che significa che il concetto di diritti umani non sarebbe mai nato; equivalenza tra i vari comportamenti umani, dal momento che se tutto è determinato e genetico, e se non esiste la libertà, non vi può essere azione morale o immorale, colpa o merito, premio o castigo, e, coerentemente, occorrerebbe eliminare ogni tribunale ed ogni galera.

Se invece si fosse ragionato come Zagrebelsky, il quale in fondo compie la stessa operazione, perchè non riconosce all’uomo una sua natura originale, non esisterebbe alcun criterio oggettivo in base a cui giudicare dell’operato di un uomo: chi lo ha detto che la schiavitù non è cosa buona e giusta? Chi lo ha detto che uccidere, magari dietro un impulso ormonale assai perentorio è un delitto punibile dalla legge? Chi lo ha detto che, avendo clonato Dolly, non sia lecito clonare anche gli uomini? Spetta a Zagrebelsky, nel momento in cui nega il diritto naturale, fondare su qualcosa il bene e il male, la convivenza umana, e non può farlo invocando le convenzioni, a meno che non voglia ammettere che le convenzioni italiane e quelle cinesi di oggi, quelle naziste e quelle comuniste di ieri, sono egualmente valide solo perché riconosciute dal potere o da una maggioranza. Vale sempre il detto antico: veritas, non auctoritas facit legem.

 E la verità delle cose è la loro vera natura. Per chi crede all’uomo per natura corporale e spirituale e incompiuto, la soluzione è inevitabile: la sacralità dell’uomo si basa sulla sua specifica dignità; la sua erranza, il fatto che sempre si sia ucciso e rubato, non dice dell’equivalenza tra opposte scelte morali, ma della sua libertà e limitatezza, oltre che della natura umana decaduta. Nessun animale infatti, sbaglia, perché nessun animale sceglie; nessun animale sbaglia, perché nessun animale è giudicabile in base ad una verità superiore! Ne deriva che se anche la morale naturale universale non è sempre facile da scoprire, ciononostante essa c’è, e la dimostrazione è che ogni uomo la ricerca e, nel profondo, la sente. A chi nega la morale naturale, cioè che corrisponde alla natura dell’uomo, non rimane che negare, coerentemente, ogni concetto di bene e di male, oppure fondarlo sulla scelta soggettiva. Ma la semplice esistenza del rimorso, dicevano Chesterton o Dostoevsky, dopo un omicidio significa che nessun uomo ritiene veramente che ciò che ha fatto sia giusto, corrisponda alla sua natura.

Tanto è vero che persino Lenin, il creatore dei gulag, e Hitler, dovendo giustificare lo sterminio dei loro nemici dinanzi ai loro popoli, li definirono “insetti nocivi” da schiacciare, il primo, “sottouomini”, il secondo.

Un’ ultima considerazione: l’unità tra anima e corpo non toglie l’esistenza di un’ organizzazione gerarchica, di un ordine, che non significa affatto separazione o distinzione, tra anima e corpo. Quando questa gerarchia naturale viene rovesciata, quando l’uomo obbedisce prima agli istinti, al corpo, che alla ragione, va contro la sua natura umana, che è corporale e spirituale ad un tempo, ma con una superiorità naturale, nel senso di umana, dello spirito sul corpo. “Lotta dura contro natura”, scrivevano su muri, non per nulla, i sessantottini e gli hippies, mentre si davano all’amore orgiastico, all’autodistruzione morale e all’uso di droghe: avevano ben chiaro, allora, di essere consapevolmente nemici di un ordine naturale cui appartenevano e cui si erano ribellati. (Tratto da Francesco Agnoli, Scriti di un pro life. Dal divorzio a Eluana Englaro, Fede & Cultura)

 
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