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Trentino: insegnanti sempre più vecchi, frustrati e sottopagati
Di Giulia Tanel - 10/07/2009 - Scuola educazione - 1910 visite - 0 commenti
Secondo una nuova indagine condotta dall’istituto Iard e dell’Iprase su un campione di 1300 docenti trentini (che in totale sono poco meno di 7000), gli insegnanti tridentini sono “sempre più vecchi, frustrati e sottopagati”. La scuola è un mondo in continuo mutamento, regolarmente soggetta a riforme e critiche. Quello che la ricerca evidenzia è che la professione dell’insegnamento è un lavoro sempre più al femminile e che l’età media degli insegnanti è di 46 anni: nel 1999 si stanziava, invece, sui 39 anni. Inoltre, il 62% degli intervistati si è dichiarato convinto che negli ultimi dieci anni il prestigio sociale e la considerazione di cui gode chi lavora nella scuola è diminuita, e che continuerà a farlo anche negli anni venturi. Un altro punto dolente riguarda la retribuzione mensile: gli insegnanti si ritengono sottopagati per l’importantissimo lavoro che sono chiamati a svolgere. “Da noi si sta meglio rispetto al resto d’Italia, ma le paghe restano comunque tra le più basse d’Europa. 1200 o 1400 euro al mese sono paghe da fame”, dichiara la presidente del Consiglio scolastico Provinciale Lucia Coppola in un’intervista rilasciata al Trentino. Bonmassar, segretario della Uil Scuola Trentino, si dichiara insoddisfatto della ricerca svolta e dichiara che, a livello di retribuzione, “alcuni settori del lavoro privato stanno molto peggio” (Trentino, 4 luglio 2009 pag.15). Da ultimo la ricerca rivela che il 70% dei docenti sarebbe favorevole ad una loro valutazione secondo criteri uguali per tutti.

Indubbiamente lo studio svolto rivela dati interessanti, ma tralascia alcuni punti fondamentali. Ciò che va sottolineato, a mio parere, è che – per dirla con Luigi Giussani – “la vera sfida è l’educazione”. La società odierna sembra aver abolito tale vocabolo dal lessico comune: è quasi diventato un tabù. Quello che conta è garantire a tutti un giusto stipendio, una formazione il più possibile aperta allo scenario europeo e che segua i dettami delle famose tre “i”, o tre “e” a seconda di quale governo ha la maggioranza. Il ministro dell’istruzione Gelmini sta cercando di arginare, tramite rigidi (e criticatissimi) provvedimenti, quelli che sono problemi dettati dal fatto che i ragazzi non sono più educati, e di certo non per colpa loro. Gli studenti di oggi hanno spesso alle spalle storie difficili, famiglie segnate dal dramma del divorzio, un bagaglio di valori praticamente inesistente e una società che li induce a pensare che l’unica cosa che conta è essere “IN”, guardare il “GF”, uscire a “sballarsi” il sabato sera e…e poco altro, purtroppo. Ripeto: la colpa non è dei ragazzi di oggi, è dell’establishment culturale che li circonda. Ecco perché la scuola ha un ruolo centrale: essendo questo il luogo dove i giovani passano gran parte del loro tempo, è da qui che devono giungere gli stimoli. La gioventù non chiede altro che di essere affascinata, appassionata, considerata e valorizzata. Come scriveva Francesco Alberoni, “la nostra vita dipende, come fossa sospesa a un filo, dalle occasioni che ci sono offerte e dalle persone che incontriamo: un insegnante, un amico, colui di cui siamo innamorati. (…) L’educazione vera parte sempre da un maestro, sia esso un filosofo, uno scienziato, un musicista, un grande artigiano, che raccoglie attorno a sé dei giovani che ardono dal desiderio di imparare, di fare. Li seleziona, li guida, li stimola. (…) Il cuore dell’insegnamento è sempre una relazione diretta fra allievo e maestro, ed è sempre anche una comunità in cui gli allievi vivono, studiano, lavorano, ricercano, creano assieme ai maestri. (…) il tipo di educazione più vera, più importante, resta ancora oggi affidata quasi solo all’iniziativa dei singoli, alla loro fede, al loro coraggio, alla loro testardaggine.” (Corriere della Sera, 23 luglio 2007) Gli insegnanti, quindi, non sono semplicemente delle persone che lavorano all’interno della scuola: quella della docenza è una vocazione. Se la passione per la materia che si insegna non sprizza da tutti i pori, i ragazzi lo percepiscono e di conseguenza assumono atteggiamenti svogliati. Proviamo a chiederci quali erano le nostre materie preferite quando eravamo sui banchi di scuola: nella quasi totalità dei casi la risposta ci rivelerà che dietro allo studio c’era una persona che riusciva ad affascinarci, a catturarci…che suscitava in noi ammirazione e che costituiva un modello: un “maestro” nel più profondo senso del termine.
 
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