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«Più che di per sé [...], il caso Eluana è importante per il suo significato simbolico». È questo il distillato di anni di battaglia giudiziaria che Maurizio Mori presenta nel suo libro Il caso Eluana Englaro. La Porta Pia del vitalismo ippocratico, ovvero perché è moralmente giusto sospendere ogni intervento , edito da Pendragon, finito di stampare tre mesi prima della morte di Eluana.
Un significato simbolico di una portata tale da poter dare il via, secondo Mori, a una vera rivoluzione culturale e filosofica. Se infatti l’introduzione del libro è dedicata ai fatti che hanno visto protagonisti Beppino Englaro, Carlo Alberto Defanti, Amedeo Santosuosso e lo stesso Mori a partire dal 1995, le pagine successive conducono a teorizzare un vero e proprio sovvertimento morale. E’ difficile non essere sfiorati dall’idea che la vicenda Englaro sia stato ciò che serviva alla Consulta di bioetica, oggi presieduta da Mori e fin dal 1990 impegnata per la legalizzazione dell’eutanasia, per passare dalle parole ai fatti e far sì che sui media italiani cominciassero a circolare le idee che animano l’attività della stessa Consulta.
Operazione in atto da molto tempo, se si considera che già nel 1993, il 27 febbraio, il Corriere della Sera dava risalto alla tesi dell’«organismo di estrazione laica» secondo il quale «è un’azione moralmente lecita quella del medico che procura una morte senza dolore a una persona che ne fa richiesta, ripetutamente e senza incertezze, per porre fine a un’infermità inguaribile e a una situazione degradante per la propria dignità ». Detto meno elegantemente, eutanasia. Ma è con il susseguirsi delle sentenze sul caso Englaro che gli organi di informazione hanno dato sempre più ampio spazio a questo tipo di considerazioni: il Manifesto del 17 ottobre 2007 pubblicò un’intervista a Stefano Rodotà, dove l’ex garante della privacy commentava la sentenza del giorno precedente con la quale la Cassazione sosteneva la possibilità per il giudice di autorizzare il distacco del sondino, rinviano la decisione ultima alla Corte d’Appello. Secondo Rodotà la sentenza sanciva il «riconoscimento pieno del testamento biologico», recependo «correttamente l’indicazione costituzionale dell’articolo 32».
E’ interessante notare come, a supporto di queste tesi, Rodotà citasse il parere della Commissione Oleari, l’organo voluto nel 2001 dall’allora ministro della Sanità Umberto Veronesi per occuparsi di «nutrizione e idratazione nei soggetti in stato di irreversibile perdita della coscienza». Lo stesso Mori, nel suo recente libro, menziona la Commissione, respingendo le accuse di chi sostiene che siano stati proprio i testi elaborati da quel gruppo a preparare il terreno per le successive evoluzioni del caso Englaro. Tesi sostenuta anche da Defanti che, sul Corriere della Sera del 3 agosto 2008, prendeva le parti della Commissione. Indubbiamente tra le conclusioni dei lavori di quest’ultima alcune sembrano cucite su misura per il caso Englaro, come ad esempio quella che stabilisce che «l’idratazione e la nutrizione artificiali degli individui in Stato Vegetativo Permanente possono essere interrotte dopo che la Commissione medica abbia accertato la condizione di irreversibilità». E non si può fare a meno di notare che della Commissione Oleari faceva parte Santosuosso, mentre tra gli esperti consultati figurava Maria Cristina Morelli, primo avvocato di Beppino Englaro.
Proprio la Morelli ( Repubblica , 14 giugno 2000) spiegava che l’idea portante dell’iter giudiziario consisteva nell’affermazione che «una persona minorata non gode del diritto di esprimere il consenso informato alle cure che spetta a tutti i cittadini, e che tale sperequazione va colmata con la nomina, appunto, di un tutore», individuato in Beppino. In quello stesso articolo si affermava che per Eluana «non c’è speranza che torni tra noi» e che a Beppino la legge impediva di sublimare nel lutto la perdita «già avvenuta» della figlia. Concetti giunti fino a oggi, se è vero che Amato De Monte, l’anestesista che si è occupato di Eluana negli ultimi giorni a Udine, ha dichiarato che la donna era morta 17 anni prima. Forse De Monte si riferiva alla presunta fine della «vita biografica», la cui distinzione da quella «biologica» è concetto cardine delle tesi di Mori. La prima «è buona se e solo se il soggetto interessato ha esperienze positive», mentre la seconda «non ha alcun valore intrinseco». Del resto, sostiene Mori, la vita non è più un mistero. L’impressione è che la spiegazione della vita sia un’esclusiva della Consulta. Lorenzo Schoepflin