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L'ambasciatore Romano sull'Italia e il G8
Di Rassegna Stampa - 09/07/2009 - Attualitą - 1025 visite - 0 commenti

 Nelle battaglie italiane anche la politica estera finisce spesso, malauguratamente, nell’arena dove il governo e l’opposizione, per la maggiore gioia dei loro tifosi, preferiscono lanciarsi accuse reciproche piuttosto che accordarsi su linee comuni.

Non vorrei che accadesse anche in occasione del G8 dell’Aquila dove i giudici di gara e i segnalinee non sono italiani e potrebbero avere interesse, soprattutto in questo momento, a fischiare i nostri falli. Questa è l’occasione in cui gli italiani hanno interesse a ricordare che nei grandi incontri internazionali il governo, al di là di polemiche e vicende personali, piaccia o no, rappresenta l’intero Paese. Se ne esce a testa alta è una vittoria per tutti, se ne esce male siamo tutti sconfitti.

Non credo d’altro canto che l’Italia, in questo momento, debba vergognarsi della sua politica internazionale. Abbiamo alcune debolezze che sono il risultato di vecchi errori e di obiettive condizioni di bilancio. Spendiamo poco per le forze armate. Non siamo riusciti a mantenere gli impegni assunti verso i Paesi in via di sviluppo. Siamo più bravi a declamare i protocolli di Kyoto che a rispettarne gli obblighi.

Ma abbiamo sempre avuto, anche quando l’espressione non esisteva, un certo soft power che giova al nostro ruolo internazionale. Nelle zone di crisi dell’ultimo decennio, dalla Jugoslavia all’Afghanistan, siamo stati presenti con uomini e donne che hanno fatto scrupolosamente il loro dovere e creato sentimenti di simpatia per il loro Paese. In Libano, durante la guerra del 2006, il governo è riuscito a creare una forza internazionale che ha giovato, se giudichiamo dal risultato delle ultime elezioni, alla stabilità della regione. E’ facile ironizzare sull’Italia che gioca contemporaneamente su molti tavoli e riesce a essere amica di tutti.

Ma chiunque abbia occasione di andare in giro per il Mediterraneo e il Medio Oriente si accorge che abbiamo un credito e una simpatia che possono servire sia all’Unione mediterranea di Nicolas Sarkozy, sia alla nuova politica di Barack Obama verso l’Islam.

Gli accordi con la Libia, anche se momentaneamente appannati dallo stile operettistico di Gheddafi, sono utili per tutti, non soltanto per noi. Chi scrive ha molti dubbi sulla utilità della personalizzazione delle relazioni internazionali, ma deve riconoscere che i rapporti di Berlusconi con Putin e con Erdogan, negli anni in cui George W. Bush era poco amato in Russia e in Turchia, sono serviti a tenere aperti i canali di comunicazione e a raffreddare alcuni momenti di tensione.

Vi è poi un’altra carta che l’Italia può giocare sul tavolo della politica internazionale. Abbiamo un alto debito pubblico e facciamo fatica ad adottare le riforme di cui abbiamo bisogno. Ma nei momenti più gravi della crisi del credito abbiamo dimostrato di avere una società parsimoniosa e flessibile, un decoroso sistema bancario e un buon senso finanziario di cui altri Paesi sono stati privi.

Dopo una fase, nella prima metà del decennio, in cui il governo sembrava voltare le spalle all’Europa, siamo stati più europeisti di alcuni nostri partner. Al vertice dell’Aquila l’Italia e la Germania portano idee che meritano di essere ascoltate e discusse. Non sono sicuro che il G8 sia l’organizzazione più adatta ad affrontare i problemi dei prossimi anni. Ma se mi guardo attorno e confronto la politica italiana con quella di altri Paesi, non credo che siano soltanto sette quelli che hanno il diritto di farne parte. Sergio Romano , Corriere, 08 luglio 2009

 
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