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Recensione: Ottavio Rossani, Stato società e briganti nel Risorgimento italiano, Pianetalibroduemila, Possidente, 2002, € 10.
Ottavio Rossani, inviato speciale del Corriere della Sera, già autore di saggi di storia politica e opere di narrativa, poesia e teatro, arricchisce con questo volume la fiorente storiografia revisionista sul Risorgimento italiano.
Questa storiografia è quasi esclusivamente di ambito non accademico ed è animata da un’impostazione dottrinale cattolica contro-rivoluzionaria e/o da un militante spirito nostalgico, particolarmente diffuso nel Mezzogiorno continentale, per l’epoca borbonica.
L’opera di Rossani si distingue per un atteggiamento meno dottrinalmente marcato ed alieno da nostalgie, pur condividendo larga parte delle tesi della polemica filo-borbonica ed antiunitaria, tanto da scrivere: “Che cosa fu quindi lo scontro tra briganti e soldati piemontesi? Fu il tentativo controrivoluzionario di far ritornare sul trono dell’ex Regno delle Due Sicilie Francesco II, considerato legittimo Re, non deposto, ma costretto all’esilio”.
Del resto, nella sua ricostruzione, l’autore fa largo uso proprio della letteratura contro-rivoluzionaria coeva agli avvenimenti o dei nostri giorni, a cominciare dalla famosa serie di articoli del padre Curci su La Civiltà Cattolica, il primo dei quali definì “guerra civile” la lotta in corso nelle province meridionali, che con precisione denunciarono la politica del governo di Torino e ne confutarono le versioni ufficiali.
L’autore utilizza però utilmente testimonianze e documenti anche di parte piemontese, come la Relazione Massari (appena ripubblicata, come le memorie del brigante Carmine Donatelli, dallo stesso editore di questo volume) e l’opera sul brigantaggio, scritta sulla base dell’esperienza personale, dal capitano dell’Esercito Italiano (la denominazione Regio Esercito sarà introdotta solo nel 1879) Alessandro Bianco di Saint-Jorioz. Da tali fonti risultano giudizi e ammissioni importanti, come quella sul vasto consenso che i combattenti anti-unitari ricevevano in ampi settori della popolazione.
Il volume si sofferma anche sulle fasi storiche precedenti e seguenti al brigantaggio. Il capitolo 3, Il contesto socioeconomico, presenta il quadro della situazione del Regno delle Due Sicilie alla vigilia della conquista piemontese, sottolineandone la solida situazione finanziaria e quegli “aspetti che lo mettevano addirittura all’avanguardia in Europa”.
Il capitolo 9, La questione meridionale, si proietta sui decenni successivi, indicando nella politica seguita dai governi italiani al momento e all’indomani dell’unificazione le radici di una situazione, ancora in parte irrisolta, di arretratezza economica e di diversa coscienza civile del Mezzogiorno rispetto al resto dell’Italia.
Completa il volume una rassegna della storiografia sul brigantaggio, che, per quanto riguarda l’ambito accademico, non si è mai emancipata dal drastico giudizio espresso da Benedetto Croce, che lo liquidò come una forma di ribellismo motivato da gretti motivi di interessi o di malaffare, definendo “lurida commedia” e “atroce drammaccio da arena” il paragone tra esso e la Vandea.
Qualche tempo fa, interrogato a proposito del valore della storiografia revisionista, riferita sia al Risorgimento sia alla Resistenza (due eventi storici la cui ricostruzione è sempre stata fortemente condizionata da spinte politiche), un illustre storico rispondeva con sufficienza che era disposto a prendere in considerazione solo opere basate su nuove fonti, meglio se d’archivio.
Da questo punto di vista molte opere pubblicate negli ultimi anni, compresa quella di Rossani, proprio perché non utilizzano nuovi documenti, dovrebbero essere considerate non degne di attenzione o inutili. Chi scrive rivendica con orgoglio, contro le denigrazioni di stampo montanelliano, la propria qualifica di storico universitario ed in particolare, come cultore della storia diplomatica, ben conosce l’importanza primaria dei documenti; però non condivide la posizione liquidatoria appena ricordata.
La lettura delle fonti, soprattutto nella storia politica, spesso non è ideologicamente neutra; le fonti possono essere censurate o lette in maniera distorta e devono essere talvolta riscoperte. In questo senso il volume di Rossani è utile, non perché scopra fatti nuovi, ma perché infrange miti consolidati e riporta alla luce verità a lungo occultate. (Massimo De Leonardis)