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Da una ricognizione nella galassia eutanasica italiana, risulta che esistono non poche associazioni che da molto ormai hanno iniziato un lavoro culturale a sostegno del testamento biologico e della legalizzazione dell’eutanasia.
Una galassia che svela un fitto intreccio di personaggi, felici di mettere i propri volti e le proprie idee al servizio della “buona morte” e che affiancano l’opera costante di realtà quali Consulta di bioetica, Associazione Luca Coscioni e Radicali italiani. Si parte da Exit Italia, associazione nata nel 1996 e che da allora persegue precisi obiettivi: “sospensione di quegli articoli di legge già esistenti nella giurisprudenza italiana che non consentono il trattamento eutanasico” e “legalizzazione del testamento biologico”. Exit Italia è in stretto collegamento con Dignitas, l’associazione che promuove ed attua il suicidio assistito in Svizzera e sul cui operato alcuni parlamentari elvetici sollevarono perplessità nel giugno 2008.
Dell’organigramma dell’associazione fa parte, in veste di consigliere, Silvio Viale, medico noto per le sue battaglie in favore della pillola abortiva Ru486 e membro della direzione della Luca Coscioni. Sulla stessa linea si muove Libera Uscita, “associazione per la depenalizzazione dell’eutanasia”, che nel documento finale della terza assemblea nazionale datato gennaio 2008 plaude alla sentenza della Magistratura relativa all’assoluzione di Mario Riccio, l’anestesista coinvolto nel caso Welby e membro della Consulta e della Coscioni, e a quella della Cassazione sul caso Englaro che avrebbe sancito “la validità legale del testamento biologico”.
Tra i soci onorari di Libera Uscita compaiono, oltre allo stesso Riccio, Margherita Hack e Valerio Pocar. Questi ultimi, in compagnia di personaggi del calibro di Piergiorgio Odifreddi e Carlo Flamigni, consigliere della Coscioni, figurano tra i presidenti onorari della Uaar, l’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti. Proprio l’Uaar non si risparmia nella constante lotta a favore della legalizzazione dell’eutanasia in Italia: la rivista dell’associazione, L’Ateo, più volte ha affrontato l’argomento, al quale fu dedicato il numero 2 del 2003. In tema di testamento biologico, l’Uaar dà notizia del successo dell’iniziativa di un proprio socio, grazie al quale, nel 2007, per la prima volta un ospedale ha accettato clausole relative a direttive anticipate nell’ambito del consenso informato. Ultima, non per importanza, merita una citazione la Fondazione Veronesi, fondata da Umberto Veronesi, anch’egli socio onorario di Libera Uscita.
Dal sito della fondazione si può scaricare il modulo per redigere il testamento biologico, col quale chiedere espressamente di “non essere sottoposto ad alcun trattamento terapeutico o di sostegno (alimentazione ed idratazione forzata)”. Tra le iniziative editoriali, la fondazione ha intrapreso la pubblicazione di tre volumi interamente dedicati al testamento biologico. Il primo di essi raccoglie le riflessioni di dieci giuristi, tra cui Rossana Cecchi, del direttivo di Libera Uscita. Ricorrenti intersezioni tra associazioni con un unico obiettivo: amplificare a dismisura il volume della lobby pro eutanasia.(di Lorenzo Schoepflin)
Crescono in Olanda le richieste ufficiali di eutanasia, la cui legalizzazione risale al 2002.
Nel 2008 le richieste sono state 2331, con un incremento netto del 10% rispetto all’anno precedente (2120 i casi del 2007). E’ quanto emerge dal rapporto annuale elaborato e reso pubblico dalle cinque commissioni regionali che hanno il compito di monitorare la pratica dell’eutanasia e le sue modalità.
Le cifre sono vivisezionate, distinguendo tra eutanasia vera e propria (2146 casi), suicidio assistito (152 casi) e combinazione di entrambi i metodi (33 casi). E’ possibile anche risalire al luogo in cui è sopraggiunta la morte: 1851 persone sono decedute tra le mura domestiche, 145 all’ospedale,
Statistiche la cui freddezza è impressionante se si pensa che stiamo parlando di morte procurata per esseri umani che si trovano in stato di sofferenza, in maggioranza malati di cancro, sempre secondo quanto riportato nel rapporto annuale. La relazione illustra anche due casi in cui il paziente soffriva di disturbi psichiatrici, per i quali tutto si è svolto nel rispetto delle norme vigenti in Olanda.
I dati assumono ancor più significato osservando l’andamento negli anni: anche il 2007 aveva fatto registrare un aumento del 10% rispetto al 2006, confermando la continua crescita dopo il 2003 (1815 casi) con i 1886 casi del 2004 e i 1933 del 2005. Il presidente della commissione olandese che verifica la corretta applicazione della legge sull’eutanasia, Jan Suyver, ha inoltre parlato di previsioni di una crescita per l’anno in corso che potrebbe sfiorare il 20%.
Non si deve neppure dimenticare, come ha sottolineato Wesley J. Smith sul proprio blog collegato alla rivista First Things, che sono molti gli studi che dimostrano che circa il 40% dei casi non sono riportati nei rapporti ufficiali. In molti di essi accade ad esempio che i medici aumentino intenzionalmente le dosi di morfina per ottenere la morte del paziente, e che dunque non si configuri un caso di eutanasia “ufficiale” tramite somministrazione di barbiturici. O, ancora, che si verifichino episodi di cosiddetta “autoeutanasia”, in cui il medico si limita a fornire indicazioni per il suicidio senza parteciparvi direttamente.
Il giorno seguente alla pubblicazione dei numeri relativi all’eutanasia, nella stessa Olanda ha destato scalpore il caso che ha visto protagonista il presidente, mai citato per nome, di un’associazione per la promozione dell’eutanasia, incarcerato con l’accusa di aver collaborato al suicidio assistito di una ottantenne malata di Parkinson. Alla donna sarebbe stata somministrata una dose letale di pentobarbital, dopo che il medico incaricato si era rifiutato di farlo perché non aveva riscontrato sofferenze insopportabili o condizioni senza speranza. Proprio per questo è scattata l’indagine: in Olanda solo i medici possono occuparsi delle pratiche legate ad eutanasia e suicidio assistito. L’associazione in questione risponde al nome di Stichting Vrijwillig Leven (SVL, fondazione per la vita volontaria) ed opera in Olanda sin dal 1996, ovvero da ben prima della legalizzazione dell’eutanasia. Tra i suoi obiettivi, l’associazione si propone quello di rendere la legge olandese ancor più permissiva, soprattutto in tema di suicidio assistito, garantendo maggiore assistenza per coloro che lo richiedono.
Prendendo spunto da questa notizia e dal sempre crescente numero di richieste di eutanasia, il quotidiano de Volkskrant, il 3 giugno scorso, ha pubblicato un editoriale in cui si puntualizzava come, in Olanda, la decisione del medico non sempre viene rispettata, nonostante la legge sia molto chiara a tal proposito. “L’eutanasia in Olanda sembra diventare sempre più accettata”, proseguiva l’articolo. Effetti di una pericolosa tendenza. (Lorenzo Schoepflin)