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Dimessa la veste di filologo, Augias, si propone come storico, e afferma che quella dell’imperatore Costantino non fu una vera conversione religiosa, ma una mossa politica, per servirsi del cristianesimo come “strumento di governo”.
“Egli intuisce che, in un’epoca di crisi, il cristianesimo può assolvere il ruolo che ha avuto la religione classica”, scrive in “Inchiesta sul cristianesimo”. E in “Disputa su Dio” ribadisce che “la sua fu una operazione politica, non una conversione religiosa come la vulgata cristiana tende a far credere”.
E ancora: “come dicono gli storici della materia (quali?, ndr)…non fu Costantino a convertirsi al cristianesimo, ma il cristianesimo a trasformarsi in religione imperiale”.
Con simili affermazioni, sempre lapidarie, mai ombreggiate dal dubbio, mai sostenute da citazioni e fonti autorevoli, Augias vuole dire in sostanza che la Chiesa è sempre stata una associazione interessata anzitutto al potere e pronta ad allearsi con esso, senza remora alcuna. In verità, checchè ne dica Augias, gli storici oggi hanno una visione di Costantino del tutto diversa. Perché partono dai dati di fatto e non dall’odio ideologico.
La sincerità della sua conversione, del suo progressivo cammino di fede, è dimostrabile analizzando alcuni fatti storici innegabili. Anzitutto appare anacronistico immaginare un uomo del IV secolo che ragiona machiavellicamente con gli dei e che si serve cinicamente della religione solamente a fini temporali. In secondo luogo sappiamo con certezza che quando Costantino divenne imperatore, i cristiani rappresentavano appena il 10% dei sudditi dell’impero, quindi una forza per nulla appetibile; inoltre i soldati di Costantino, che lo portarono al potere, erano essi stessi in maggioranza pagani e ciononostante egli fece ugualmente apporre sui loro scudi un segno che “apparteneva certamente alla simbologia cristiana”; Roma stessa e l’aristocrazia romana, il senato, erano ancora per la gran parte pagani, e non volevano certo abbandonare dei e tradizioni secolari.
Queste considerazioni le traggo dai lavori del più grande sociologo delle religioni, Rodney Stark, nel suo “La scoperta di Dio” (Lindau); da Guido Clemente, titolare della cattedra di storia romana all’università di Firenze, autore di una “Guida alla storia romana” (Mondadori); da Augusto Fraschetti, docente di storia economica e sociale del mondo antico a La sapienza di Roma, autore di “La conversione” (Laterza); da Arnaldo Marcone docente di Storia romana all’università di Udine e autore di “Pagano e cristiano. Vita e morte di Costantino” (Laterza); da Robin Lane Fox, docente di storia antica al New College di Oxford, autore di “Pagani e cristiani” (Laterza), e da tanti altri famosi e titolati studiosi del mondo antico, come Andrea Afoldi, Franchi de’ Cavalieri, Norman Baynes, Marta Sordi…tutti sostenitori dell’autenticità e della sincerità della conversione di Costantino.
Alla fine dell’opera citata, Aldo Marcone riporta il parere dello storico tedesco Klaus Bringmann, che gli sembra possa valere come “sintesi dell’opinione oggi prevalente tra gli studiosi dell’età costantiniana”: “Secondo quest’ultimo, se da una parte non si può mettere in discussione la piena adesione di Costantino al cristianesimo già nel 312, dall’altra la sua iniziale riluttanza nel prendere le distanze dal paganesimo si spiega con la situazione politica che, almeno sino al 324, gli imponeva una linea d’azione prudente”, visto appunto che i cristiani costituivano nell’impero una esigua minoranza.
Ricorda infatti anche Lane Fox: “Dopo il 312 Costantino continuò a vivere e a regnare in mezzo a una schiacciante maggioranza pagana. Le sue truppe erano quasi interamente pagane, come pure la classe dominante e i consiglieri che aveva ereditato” (Lane Fox a pag. 681)
Augusto Fraschetti, poi, ha dedicato un intero lavoro per dimostrare che Costantino fu il primo Augusto che rifiutò già nel 312 di ascendere al Campidoglio - dove molti cristiani erano stati “trascinati per indurli al sacrificio e all’abiura”-, per deporre l’alloro in grembo a Giove Ottimo Massimo e presentarsi ai romani, secondo la tradizione, come “deus praesens”. Anche in seguito, il suo rifiuto, sino ad allora inconcepibile, a partecipare alle cerimonie, ai sacrifici, ai ludi, ai circenses pagani, sollevò contro di lui le ire del senato e tumulti popolari.
Agli storici citati si aggiunga Paul Veyne, celebre studioso comunista e anticattolico, considerato tra i massimi esperti di Roma antica, autore del recentissimo “Quando l’Europa è diventata cristiana” (Garzanti, 2008), dedicato proprio a Costantino. Veyne sostiene l’autenticità della sua conversione e afferma che il cristianesimo si impose “perché offriva qualcosa di diverso e nuovo”, perché era “religione dell’amore”, non certo grazie alla forza ed al potere.
Non bisogna dimenticare, scrive Veyne “che la rivoluzione di Costantino fu forse l'atto più audace mai commesso da un autocrate in spregio alla grande maggioranza dei suoi sudditi". Un atto audace e del tutto sincero.
Altrimenti come spiegare la legislazione di Costantino: la proibizione dei sacrifici cruenti, la lotta alla divinazione, le leggi contro l’infanticidio e a favore dei neonati; quelle sul matrimonio, per non discriminare più, come in passato, celibi, vedove e coppie senza figli; l’imposizione del riposo domenicale, la sua attenzione ai ceti più deboli; le largizioni alle chiese per il “sostentamento dei poveri, delle vedove e degli orfani” ; il bando alla pena della crocifissione, ai sanguinari giochi gladiatorii e all’usanza di marchiare sul viso gli schiavi? (Il Foglio, 14/5/2009)