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Il notevole successo delle vulgate su Cristo di Corrado Augias, mi ha costretto ad affrontare letture che avrei preferito risparmiarmi.
Premetto subito, infatti, che non appartengo al novero di coloro che per equazione automatica ritengono che un presentatore televisivo sia ipso facto il più adatto a parlare sempre di tutto e di tutti. Forse anche per i passati studi classici e filologici, vedere un giornalista cimentarsi dilettantisticamente, come lui stesso ammette definendosi “profano incuriosito ma non competente”, in argomenti che richiederebbero quantomeno nozioni di filologia e di lingue antiche, mi lascia un po’ perplesso.
Eppure l’abitudine a condurre programmi televisivi, coram universo populo, genera in alcuni un fortissimo senso di sicurezza e di autostima, che in Augias si concilia con una avversione a Dio, e soprattutto al Dio dei cattolici e alla sua Chiesa, tale da ispirare in breve tempo ben tre libri sullo stesso tema. Povero Gesù! Dopo essere stato processato da Caifa e Pilato, e crocifisso, gli tocca oggi venire deriso e umiliato da un giornalista, il quale, per giunta, se potesse, vorrebbe spiegare ai suoi discepoli, morti martiri per il loro maestro, che in verità del Cristo storico, cioè di quello vero, non avevano capito nulla. Data la brevità dello spazio, affronterò solo alcune delle perle di Augias, non senza aver prima premesso che in tutti i suoi scritti egli tende a presentare la Chiesa come una congrega di assassini, assetati di “potere”, sempre e solamente, come “un vero e potente partito politico avido soprattutto di denaro”. Del partito comunista, cinese o coreano, per stare all’attualità, nessun parola: la sua bontà sarebbe certificata, credo, dal suo ateismo. Nessuna parola neppure sugli stermini del Novecento. Augias accenna solo e soltanto ad Inquisizione ed Illuminismo, con uno schematismo che lascia sbalorditi.
Eppure, mentre immagino Benedetto XVI, e come lui Pietro, crocifisso a testa in giù, intenti a contare moderni euro e antiche monete d’oro, non posso dimenticare che lo stesso Augias, all’inizio della sua ultima fatica, racconta che il padre partigiano lo “aveva fatto rifugiare per prudenza in un collegio cattolico”, dove poi aveva scoperto che altri perseguitati venivano accolti e protetti. Una simile esperienza personale avrebbe potuto quantomeno far riconoscere al buon Corrado che la storia della Chiesa è, anche, la storia della creazione degli ospedali, delle scuole per tutti, delle infinite associazione di carità e volontariato, sino, per arrivare all’oggi, delle comunità di recupero per tossicodipendenti.
Per il vero Augias ricorda anche il “tentativo di seduzione da parte di un sacerdote” nei suoi confronti: tentativo che però non si capisce se sia stato veramente tale, come lui stesso ammette. Anzi, a leggere il proseguio, quando Augias fa capire di aver paura che in Vaticano tramino contro di lui, non si può fare a meno di sospettare che si tratti dell’ennesima, infondata calunnia. L’ennesima, dico, perché ci vorrebbe un libro intero per controbattere alle banalità, ai fraintendimenti, alla fiera del pressappoco, e agli errori marchiani del giornalista-divulgatore, notati persino dal suo amichevole interlocutore Mancuso, quando ad esempio gli fa presente con garbo che gli scritti di Darwin non sono mai stati messi all’indice, come invece Augias aveva appena sostenuto con estrema convinzione.
Inizio dunque con “Inchiesta sul cristianesimo”, testo in cui persino il professor Cacitti, scelto ad hoc come interlocutore affidabile e amico, è costretto a correggere Augias in più occasioni, addirittura nel testo ufficiale: “Ciò è vero fino ad un certo punto…”; “Anche in questo ciò che dice è vero solo in parte…”.
Augias le spara grosse. Sostiene ad esempio che Cristo non avrebbe mai fondato una Chiesa: così la frase in cui dice a Pietro, “tu sei Pietro e su questa pietra fonderò la mia chiesa” (Mt 16,18), viene interpretata, da Augias e dal Cacitti, non si sa perché, come la fondazione di una “comunità messianica”, di una “realtà escatologica”, per il “giorno del giudizio”. Cristo nomina Pietro capo della sua Chiesa, ma per la fine dei tempi? E cosa dovrebbe fare Pietro, alla fine dei tempi? Che significato avrebbe poi il dialogo riportato da Giovanni, in cui Cristo chiede tre volte a Pietro se lo ama, e ogni volta, alla sua risposta affermativa, gli intima: “Pasci le mie pecorelle”?
Delle due l’una: o è Gesù che si prende gioco di noi, o lo fanno Augias e Cacitti! In verità l’intento è chiaro: scindere Gesù dalla sua Chiesa, per rendere insignificante, nella storia, Cristo stesso. E come conciliare questa interpretazione risibile sulla fine dei tempi e la fondazione, comunque, di una chiesa escatologica, con l’altra, sempre di Augias e Cacitti, secondo cui Cristo non si sarebbe proclamato Dio? Non si proclama Dio ma fonda una Chiesa per la fine dei tempi? Che senso ha ? E poi come omettere di confutare, filologicamente, passi chiarissimi come i seguenti: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv10,30); “Chi vede me vede il Padre” (Gv, 14,9)?
In un testo appena ripubblicato, “Il Nazareno” (san Paolo), il rabbino Israel Zolli notava addirittura che accanto alle numerosissime affermazioni sulla sua identità col Padre, di immediata comprensione, Cristo ne fece molte altre, più implicite, per noi, oggi, ma che si potevano ben comprendere, allora, alla luce dell’Antico Testamento. La volta prossima un’altra puntata della “corrida” (il cui motto era “dilettanti allo sbaraglio”), di Corrado (Augias): la sua lettura, del tutto infondata storicamente, della figura di Costantino. Il Foglio, 7/5/2009(Continua)
Nella foto Corrado Augias, giornalista, cvd, di Repubblica.
Per chi volesse approfondire maggiormente gli aspetti filologici, aggiungo quanto scritto per Libertà e Persona da Marco Fasol, autore de I vangeli di Giuda (Fede & Cultura).
Recensione critica del testo
INCHIESTA SUL CRISTIANESIMO
Di Corrado Augias e Remo Cacitti
Cominciamo bene !
Dopo il successo dell’opera Inchiesta su Gesù, Corrado Augias ci ha immerso, con questo suo nuovo lavoro, nel prosieguo naturale della sua inchiesta, soffermandosi con l’aiuto di un altro esperto, sui primi secoli del cristianesimo. Ne è venuta fuori un’opera di complessa valutazione, in cui si alternano interessanti informazioni storiche e culturali, attinte dalla competente autorevolezza del prof. Remo Cacitti, intercalate da considerazioni personali del giornalista. Queste ultime talora rivelano pregiudizi assolutamente incompatibili con l’analisi oggettiva delle fonti storiche. Per rendersi conto del diverso spessore culturale degli autori e dell’intento polemico e demolitorio di Augias è sufficiente leggere la prima pagina.
Le prime dodici righe del testo sono un florilegio delle precomprensioni di Augias che risultano assolutamente incompatibili con i documenti storici. L’autore è riuscito in poche righe a concentrare proprio il contrario di quanto affermano i vangeli e di quanto è attestato da duemila anni di cristianesimo. E’ difficile leggere queste prime righe senza domandarsi come un giornalista abbia potuto scrivere, in Italia, paese di tradizione cattolica bimillenaria, affermazioni così antistoriche e facilmente falsificabili. E’ comunque utile, per qualsiasi lettore, il fatto che Augias abbia scritto proprio all’inizio del suo libro il suo programma e le sue tesi preconfezionate. Ci risparmia la fatica di ricostruire le sue intenzioni. Gli era già accaduto qualcosa di analogo nel suo precedente testo Inchiesta su Gesù. Le prime pagine erano una professione aperta del suo scetticismo. Una dichiarazione dei propri pregiudizi laicisti.
Anche in questa nuova fatica, come dicevo, le sue intenzioni sono chiare fin dall’inizio. vuole sostenere proprio il contrario di quanto è scritto nei vangeli e nel Nuovo Testamento relativamente alla prima evangelizzazione ed alla sua diffusione in tutto il mondo antico. Con la differenza che i vangeli e gli scritti neotestamentari sono il testo di gran lunga più documentato dell’antichità, con migliaia e migliaia di manoscritti antichissimi, risalenti ai primissimi secoli dell’era cristiana, mentre le affermazioni di Corrado Augias hanno la credibilità dell’autore e nulla più e sono formulate a duemila anni di distanza.
Andiamo con ordine, presentando le “incontestabili verità”, come vengono definite da Augias, appunto nella prima pagina della sua premessa.
Prima “incontestabile verità” di Augias: “Gesù non ha mai detto di voler fondare una religione, una Chiesa, che portassero il suo nome”.
Eppure la conclusione del vangelo di Matteo è chiara: “Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,19-20). Parole che confermano quanto era già stato anticipato nel discorso a Simon Pietro: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa.” (Mt 16,18). E tutte le parabole sul chicco di senape che è destinato a diventare un grande albero, sul piccolo gregge che confida nella protezione celeste, sul lievito che fa fermentare la pasta, sulla città costruita sul monte, sul sale della terra, sono chiare dimostrazioni della consapevolezza della novità che Gesù era venuto a portare e della nuova comunità che intendeva fondare. Ormai tutti gli esegeti sono concordi poi nel riconoscere che il nucleo della predicazione iniziale di Gesù riguardava proprio il fatto che il Regno di Dio era finalmente giunto in mezzo al suo popolo. Anche nel momento solenne della preghiera sacerdotale dell’ultima cena, così come ci viene riassunta nel vangelo di Giovanni, troviamo una decisiva conferma del fermento di novità che Gesù ha inteso portare nel mondo. Del resto, se non vi fosse stata questa forza innovativa e dirompente nei confronti della tradizione antica non si potrebbe certo capire lo scontro con il ceto dirigente, il processo e la condanna a morte del maestro venuto dalla Galilea. Tutto questo si riferisce al testo dei vangeli. Se poi allarghiamo lo sguardo agli Atti degli Apostoli, alle lettere di Paolo ed agli altri scritti del nuovo Testamento, troviamo un continuo riferimento alla realtà delle chiese che si andavano diffondendo in tutto il mondo antico. Non riesco proprio a capire come sia difendibile storicamente questa prima incontestabile verità!
Seconda “incontestabile verità” di Augias: “(Gesù) mai ha detto di dover morire per sanare con il suo sangue il peccato di Adamo ed Eva, per ristabilire cioè l’alleanza tra Dio e gli uomini”.
Eppure i vangeli ci riferiscono le parole di Gesù: “il Figlio dell’uomo è venuto per dare la vita in riscatto per molti” (Mc 10,54). E prima di morire, durante l’ultima cena, anticipa il significato del suo sacrificio dicendo: “questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti in remissione dei peccati” (Mt 26,8). Parole che realizzano un’antica profezia messianica: “Ecco verranno giorni nei quali con la casa d’Israele e con la casa di Giuda concluderò un’alleanza nuova. Non come l’alleanza che ho concluso con i loro padri, … porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore… io perdonerò la loro ingiustizia, e non mi ricorderò più del loro peccato” (Ger 31,31-34). Augias, negando il discorso sulla nuova alleanza tra Dio e gli uomini, nega proprio un aspetto essenziale del cristianesimo che viene presentato nei vangeli e nelle lettere di Paolo come una riconciliazione tra l’uomo e Dio.
Terza “incontestabile verità” di Augias “(Gesù) mai ha detto di essere unica e indistinta sostanza con suo padre, Dio in persona” .
Eppure l’evangelista Giovanni ci riferisce le parole di Gesù: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30), “chi vede Me vede il Padre” (Gv 14,9). E’ vero che il concetto filosofico di sostanza è di derivazione greca o ellenistica più che biblica ed ebraica. Ma questo non toglie nulla alla fede del primissimo annuncio nella divinità del Risorto. “Gesù è il Signore” (Fil. 2,11) è una delle prime formule efficaci dell’annuncio originario dei primi cristiani, incastonata come gemma preziosissima in uno dei più antichi inni cristologici.
Quarta “incontestabile verità” di Augias: “(Gesù) non ha mai dato al battesimo un particolare valore”.
Eppure nella conclusione del vangelo di Matteo, appena citata, e anche nel vangelo di Giovanni, Gesù afferma proprio il contrario: “se uno non è generato da acqua e da spirito, non può entrare nel regno di Dio” (Gv 3,5). Ancora più decisive le parole conclusive del vangelo di Marco: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato” (Mc 16,15).
Quinta “incontestabile verità” di Augias: “(Gesù) mai ha parlato di precetti, norme …” .
Eppure proprio nel solenne discorso della montagna, Gesù afferma: “chiunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, sarà considerato minimo nel regno dei cieli” (Mt 5,17). E poi mi sembra ridicolo prendere sul serio questa affermazione di Augias dal momento che uno dei motivi conduttori della predicazione di Gesù riguarda proprio la novità del suo messaggio morale: “Vi è stato detto: amerai il tuo prossimo ed odierai il tuo nemico … ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per coloro che vi odiano…” Si potrà forse sostenere che Gesù si è allontanato dalla precettistica e dalla casistica elaborata dai rabbini della sua epoca, riconducendo tutta la legge ed i profeti al primato del precetto dell’amore. Ma l’espressione di Augias suona per un lettore comune come una negazione dell’intera etica evangelica.
A questo punto abbiamo già capito tutto sugli obiettivi di questa inchiesta. Nella prima pagina è riassunta tutta l’interpretazione del giornalista Augias. Se il libro fosse uno sviluppo coerente di queste “incontestabili verità” potremmo chiuderlo subito, perché non avremmo certo niente da imparare. Fortunatamente l’apporto del prof. Cacitti ha il pregio di ridimensionare queste iniziali proposizioni così drastiche ed infondate. Vedremo nel seguito dell’opera che un’analisi storica più attenta e dettagliata permette di rivedere e di smentire un inizio così scoraggiante per qualsiasi storico. E così potremo arricchire le nostre conoscenze con interessanti nozioni storiche.
Il “clamoroso incidente”
che ha causato la crocifissione
Nelle pagine successive Augias informa il lettore sulle vicende essenziali della vita di Gesù. Il suo inquadramento storico si profila come sufficientemente documentato, anche se approssimativo dal momento che ogni sintesi è lacunosa e incompleta. C’è però una lacuna che spicca tra le altre; ess riguarda i motivi della condanna a morte. Sembra ad Augias che la causa della crocifissione si riduca ad un “clamoroso incidente”, alla cacciata dei venditori e commercianti del Tempio. Il ceto dirigente avrebbe temuto i romani e la loro repressione. Evidentemente Augias ignora tutta la questione teologica e politica che aveva radici ben più profonde rispetto all’episodio della cacciata dei venditori del Tempio.
Nel seguito del racconto, Augias afferma che “nessuno dei redattori dei vangeli è stato testimone diretto degli eventi narrati” (p. 13). Come faccia a saperlo Augias, Dio solo lo sa! Evidentemente Augias era presente al momento della redazione ed ha saputo in esclusiva che Matteo, Marco, Luca e Giovanni sono stati estromessi dai redattori e sono stati addirittura ignorati pur avendo vissuto e testimoniato sin dall’inizio tutta la vita pubblica di Gesù.
La difficile ricerca della verità storica
Dopo questa breve premessa di inquadramento storico, Augias inizia l’intervista o meglio il colloquio con il professor Cacitti. Interessante la prima domanda che riguarda il metodo dello storico, i criteri degli storici. La risposta del docente universitario è molto importante: “I testi antichi non sono usciti a stampa, erano manoscritti. Per di più, nel caso specifico della Bibbia … i manoscritti sono innumerevoli. C’è una scienza apposita, la critica testuale, fondata soprattutto dai grandi filologi tedeschi dell’Ottocento, che si occupa di stabilire nella maniera il più possibile certa l’attendibilità di un testo. Questa è la base. Alla quale si aggiungono vari criteri e strumenti che vanno dalla critica letteraria all’ermeneutica, all’esegesi, cioè i mezzi che la scienza attuale ritiene validi per la valutazione di un testo e la comprensione del suo contenuto.” (p. 19-20). Osservazioni ineccepibili e di grande importanza. Peccato che non venga precisato subito che i manoscritti del Nuovo Testamento sono di gran lunga i più numerosi ed i più antichi della storia. Si pensi che mentre per Platone abbiamo poco più di dieci manoscritti, per Tacito solo un paio, per il Nuovo Testamento ne abbiamo più di cinquemila in greco, più di ottomila in latino, alcune migliaia in armeno, siriaco, copto, georgiano ed altre lingue antiche. Insomma, se applichiamo ai vangeli gli stessi criteri di critica testuale che applichiamo agli altri testi dell’antichità, dobbiamo concludere che la sicurezza della trasmissione fedele dei testi evangelici è incomparabilmente superiore a quella di qualsiasi altro testo dell’antichità, da Aristotele, a Cicerone, a Virgilio, ad Omero. Infatti le migliaia di manoscritti antichi conservati oggi in tutte le principali biblioteche del mondo, ci permette di confrontare e verificare la concordanza dei testi. E tutti i filologi e papirologi rimangono stupiti di fronte alla fedeltà di trasmissione dei testi evangelici lungo i secoli. E’ vero che ci sono errori di copiatura, ma questi non intaccano la sostanza dei racconti che risultano dunque confermati nella loro attendibilità da circa quindicimila manoscritti. Per avere una possibilità di paragone, si pensi che l’Iliade e l’Odissea, che sono i testi antichi con il maggior numero di manoscritti, hanno solo seicento manoscritti.
Cristo della fede e Gesù della storia
La grande accusa alla storicità del cristianesimo inizia ad affiorare nella distinzione bultmaniana tra Cristo della fede e Gesù della storia. “L’intera vita dell’apostolo (Cacitti si riferisce a Paolo, definito come il primo annunciatore del vangelo della risurrezione) viene stravolta in forza di un’esperienza traumatica. Essa può comprendersi esclusivamente all’interno del linguaggio della fede, che ha altre regole, un’altra sintassi rispetto a quello della storia.” (p. 33) E’ una maniera ingannevole per dire che la risurrezione non è un fatto storico, non è accaduta realmente. E’ il prodotto di un’illusione, di allucinazioni, di esperienze mistiche soggettive che dipendono appunto dalla fede personale dei primi cristiani e non da fatti reali, storicamente accaduti. Le parole sono diverse, ma la sostanza è sempre la solita critica che ci sentiamo ripetere da due secoli: la religione è un mito, una leggenda, partorita dalla fantasia e dai sentimenti soggettivi dei discepoli. E’ la stessa critica del vecchio Karl Marx: “la religione è l’oppio dei popoli”. Il solito discorso degli incompetenti che scambiano la storia per leggenda e che deformano i documenti con i loro pregiudizi. Qualcuno ci dovrà pur spiegare perché tutti gli altri documenti “seguono le regole e la sintassi della storia”, come dice Cacitti, e invece i vangeli no. Chi è che stabilisce questa sintassi della storia? In base a quale criterio? E perché i racconti evangelici dovrebbero sottrarsi a queste regole? Perché raccontano miracoli, evidentemente. Ma allora questi maestri della storia devono spiegarci perché escludono i miracoli dalla sintassi della storia.
Nella pagine successive è Cacitti che inizia un’aperta polemica con la “restaurazione cattolica”, alludendo a J. Ratzinger. Questa restaurazione “tenta di ignorare le distinzioni, accettate finora, tra il Gesù della storia e il Cristo della fede. La resurrezione … resta l’autentico diaframma fra quello che c’era prima e quello che c’è dopo, potremmo dire una ‘lente deformante’ che impedisce di vedere davvero la figura storica di Gesù… La storia di Gesù che i vangeli ci danno è, in senso etimologico, tendenziosa, tende cioè a dimostrarne la messianicità.” (p. 38). Cacitti ammette comunque che questa separazione tra fede e storia non è condivisa da tutti gli storici e teologi, e cita opportunamente Ernst Käsemann che nel
Il primo annuncio
Il racconto di Augias prosegue con la presentazione del primo annuncio cristiano. Qui sono importanti le affermazioni del Cacitti che riconosce la centralità del celebre passo di 1 Cor 15,1-8. Sentiamo le sue parole: “Questo testo è importantissimo, siamo allo stato aurorale del cristianesimo. .. questo è certamente il kerygma, ossia l’annuncio più arcaico, che precede lo stesso apostolo, il quale si limita a trasmetterlo ai suoi fedeli” (p. 52-53).
Poi Augias riprende il timone del discorso e racconta il cristianesimo delle origini ponendo bene in evidenza i contrasti ed i conflitti tra i vari cristianesimi, come dice lui. Insomma ci sarebbero le diverse comunità di Roma, Gerusalemme, Antiochia, Alessandria, Edessa … in profondi conflitti. Ora, che ci siano stati contrasti è innegabile ed umanamente comprensibile, ma da questo a sostenere che ci siano stati diversi cristianesimi il passo è molto lungo. In realtà tutte le comunità cristiane erano accomunate dalla fede nel Risorto, in Gesù di Nazareth vero uomo e vero Dio e questo è il nucleo essenziale e genetico della fede cristiana. Non si deve confondere la questione della circoncisione o degli animali puri ed impuri con la questione della fede in Cristo come salvatore. Uno storico deve sempre distinguere ciò che è essenziale da ciò che è di secondaria importanza.
Un altro passaggio fuorviante si trova nella descrizione del contrasto tra pensiero “ortodosso” ed “eresia”. Cacitti cita un libro di Walter Bauer, del
La formazione dei vangeli
In seguito la narrazione delle prime vicende del cristianesimo si snoda alla luce della competente ed equilibrata guida di Cacitti. Un momento cruciale riguarda la formazione dei vangeli. Augias propone una prevedibile domanda scettica: “Com’è possibile rivestire di autorità ed anzi di ascendenza divina dei testi che hanno origini così incerte, passati per tante mani, più volte corretti e manipolati?” (p. 126). E’ la solita tesi preconcetta delle manipolazioni che ben conosciamo dal testo precedente “Inchiesta su Gesù”. Evidentemente Augias equivoca sul lavoro di elaborazione e composizione che naturalmente ed ovviamente precede ed accompagna la formazione di qualsiasi testo storico. Per lui informarsi da più fonti sugli eventi accaduti, ricercare dalla voce dei testimoni diretti la versione autentica degli eventi, è “manipolare”, alterare la storia.
La risposta di Cacitti è ben impostata: “non credo che le origini della tradizione evangelica siano più incerte di qualsiasi altra tradizione, … Anzi, alcuni risultati della ricerca scientifica sono ormai assodati” (p. 126). Delinea poi tre fasi nella composizione dei vangeli: la predicazione che procede fino ai primi anni Sessanta, da cui dice stranamente che non possiamo che ricavare “quasi nulla” sulla vita di Gesù. Affermazione assurda e contradditoria, perché Cacitti stesso aveva detto che le lettere di Paolo, scritte negli anni Cinquanta, attestano ripetutamente la risurrezione di Gesù al terzo giorno!
Poi ci sarebbe stata la stesura dei fatti principali e infine ci sarebbe stata l’opera di redazione definitiva, alla fine del primo secolo o meglio ancora all’inizio del secondo. Anche Cacitti cede alla tentazione di posticipare le testimonianze storiche. Si ha l’impressione che gli autori considerino quasi una colpa dire che la risurrezione è attestata con formule risalenti a meno di vent’anni di distanza dagli eventi! C’è probabilmente un tacito accordo tra giornalisti e docenti laici o laicisti! Si deve screditare sempre la storicità del cristianesimo! Posticipare sempre le testimonianze scritte, in modo da indurre il lettore a credere che il mito e la leggenda abbiano avuto il tempo necessario per prosperare.
Un altro paradigma del laicismo è un giudizio puramente immanentista sui motivi della diffusione e del successo del cristianesimo: l’idea di un Dio incarnato sarebbe la “carta vincente” del cristianesimo che gli ha garantito la vittoria sulla gnosi. Un ragionamento che potrebbe anche essere accettato come una parziale verità, ma che è assolutamente inaccettabile come “totale verità”. Tutti i documenti storici ci dicono che la diffusione del cristianesimo è dovuta a moltissimi altri fattori: miracoli, annuncio della risurrezione, messaggio morale di fratellanza universale, annuncio della paternità di Dio e molti altri segni straordinari.
Alcuni segni di laicismo
Il discorso prosegue nella descrizione dei primi secoli di cristianesimo, con divagazioni su Origene, sul misticismo di Santa Teresa d’Avila e San Giovanni della Croce, sulle visioni di Lourdes, Fatima e Medjugorje. L’atteggiamento di fondo è sempre piuttosto scettico e riduzionista. Augias ci lascia intuire da qualche frase questo pregiudizio, ad esempio quando scrive: “i segreti di Fatima si sono rivelati ben poca cosa. Il messaggio di altre apparizioni è ancora più banale, evanescente.” (p. 148) Veramente sconcertante leggere un giornalista che commenta con queste parole le apparizioni di Fatima che hanno avuto risonanza mondiale lungo tutto il corso del Novecento e che hanno svolto un ruolo così significativo nella vita di Giovanni Paolo II. Ma evidentemente è Augias che decide il valore delle notizie e dei messaggi e per lui tutto ciò che riguarda il Pontefice, le profezie sulla seconda guerra mondiale, sulla diffusione del comunismo sovietico, sono “ben poca cosa”.
“Tu es Petrus”
Nella seconda parte del testo, Augias riprende il discorso iniziale sul fatto che “Gesù non ha mai detto di voler fondare una nuova religione che avrebbe dovuto chiamarsi cristianesimo” (p. 150). Riconosce che l’affermazione resta impegnativa, anche se “almeno da un secolo a questa parte, è condivisa dalla larga maggioranza degli studiosi” (ivi). Evidentemente la larga maggioranza degli studiosi a cui si riferisce è costituita dalla ristretta cerchia delle sue letture. Tutti sanno che è universalmente riconosciuto proprio il contrario. Se un laico come Benedetto Croce ha scritto Perché non possiamo non dirci cristiani e se un laico come M. Pera ha affermato ancor più decisamente Perché dobbiamo dirci cristiani, ci sarà pure qualche motivo! Tutti sanno, almeno nella nostra cultura europea, che Gesù Cristo si è scontrato con il ceto dirigente del suo popolo proprio per i contenuti di novità del suo messaggio. Del resto il primo annuncio della sua predicazione riguarda la presenza del Regno di Dio in modo nuovo, nella sua persona. Non riesco proprio a comprendere come ci si possa arrampicare sugli specchi ed arrivare a sostenere che duemila anni di cristianesimo siano nati da equivoci, fraintendimenti, errori di interpretazione.
Di fronte alle obiezioni più ovvie, Augias ribatte, in perfetto stile laicista, che le conclusioni del vangelo di Marco, il più antico e quindi l’unico autorevole – lo dice lui, Corrado Augias ! – sono aggiunte posticce e quindi sono falsificazioni! E’ la solita tecnica laicista: quando un passo, una frase, un brano è in contrasto con le proprie teorie preconcette, si dice che è un falso, che è stato aggiunto dopo, che è una creazione della comunità successiva. Invece le prime nozioni di esegesi scientifica si basano sul confronto con altri testi simili e da questo confronto emerge che il mandato agli apostoli è attestato anche negli altri vangeli. E per quanto riguarda il celebre passo del primato a Pietro (Mt 16,18), Augias ricorre all’aiuto “esegetico” del prof. Cacitti che dall’alto della sua riconosciuta competenza pontifica: “
Come ridicolizzare la storia
Nel corso dello stesso capitolo, Augias affronta il discorso sulla risurrezione e sulla sua storicità. Il solito Cacitti ripete per un’ennesima volta che la presenza del risorto in mezzo alla sua comunità ed in particolare davanti ai discepoli di Emmaus, si “colloca in una dimensione di fede” (p. 158). E quando Augias gli fa notare che questa prospettiva contraddice il canone cattolico, Cacitti risponde con queste stranissime parole: “Le racconto un aneddoto. Quando ero studente all’Università Cattolica, avevamo un manuale introduttivo alla teologia nel quale si affrontava anche il problema della risurrezione. Ricordo, anche se in modo vaghissimo, che vi si parlava di un secchio pieno di lumache, ma non so assolutamente più che cosa c’entrasse con la risurrezione di Gesù. Rammento però con nettezza l’impostazione positivista del ragionamento in base al quale si poteva suffragare la risurrezione con elementi razionali” (p. 158). Che cosa c’entri il secchio pieno di lumache nessuno lo capirà mai. Stranissimo che l’esimio professore ne parli a proposito del fatto centrale dell’annuncio cristiano. Mi pare plausibile una sola risposta: gli autori vogliono ridicolizzare proprio il primo annuncio cristiano. Inserire questo aneddoto che non ha nessun significato e nessun legame con
Subito dopo Cacitti dice che lo storico indaga questi elementi con i propri parametri, ma ci si chiede quali siano questi parametri, se non tiene conto di quello che dicono tutte le fonti concordemente! Evidentemente si tratta di parametri che stravolgono i testi e riducono a fantasia e leggenda tutto ciò che non rientra nelle vicende ripetibili del quotidiano, secondo il pregiudizio positivista dell’Ottocento.
A conclusione di questa breve analisi mi possa che si possa riconoscere all’opera in questione il pregio di offrirci numerose nozioni culturali sui primi secoli del cristianesimo. Ci viene offerta un’interessante panoramica delle controversie cristologiche iniziali, dell’interferenza costantiniana, dei dibattiti tra le diverse comunità cristiane dei primi secoli. Purtroppo affiorano spesso i pregiudizi laicisti e riduzionismi che squalificano tutti gli eventi soprannaturali come frutto della fede e come non storici. Esattamente il contrario di quello che è la fede. La fede può dirsi tale, infatti, solo quando ritiene che gli eventi soprannaturali raccontati nei vangeli siano eventi storici, realmente accaduti.
Marco Fasol