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O lo si ama o lo si odia. Fin dal suo ingresso nella politica, nel lontano 1994, Silvio Berlusconi ha fatto capire che la sua sarebbe stata un'avventura rivoluzionaria, totale, destinata a cambiare il volto del Paese. E questo, oggi, glielo riconoscono tutti come un obbiettivo largamente raggiunto. Aspre contese, invece, sorgono ogni qual volta si tenti un bilancio sull'ormai decennale attività del Cavaliere, imbonitore prestato alla politica per alcuni, provvidenziale artefice del miracolo italiano per altri. Mai sopite voci giustizialiste, poi, lo vogliono addirittura interfaccia politica della criminalità organizzata.
Sia come sia, a Berlusconi si deve riconoscere il merito d'aver capovolto i ritmi d’una politica un tempo anestetizzata da ritualità polverose e ingessate e ora celere, immediata, a volte persino divertente. Vi immaginate cosa sarebbe successo se, quella volta, avesse vinto Occhetto? Saremmo ancora a ragionare in politichese, e i palazzi della politica, dopo le mitragliate di Mani Pulite, sarebbero nuovamente sigillati e formali: saremmo invecchiati tutti più velocemente. Berlusconi, in questo senso, è stato l'inventore della notizia, anche perché alle sue molteplici ascese alla presidenza del Consiglio è corrisposta, parallela, una crescita esponenziale dei media. Tra i tanti meriti del Cavaliere, segnaliamo inoltre lo stimolo straordinario ch’egli è stato ed è per l’editoria: il Catalogo unico delle biblioteche italiane segnala, per lui, 448 titoli, contro i 264 per Veltroni e i 55 per Fini, che pure molti indicano quale suo successore.
Diciamolo: l’antiberlusconismo a tanti ha dato un lavoro, e a qualcuno anche il successo. Sfido i più a ricordarsi l’autore di “Palle mondiali” e dello “Stupidario del calcio”, due libri che peraltro pubblicò la Mondadori. No, non stiamo parlando delle pubblicazioni di Aldo Biscardi ma di Marco Travaglio, che prima d’essere incoronato su Rai 2 da Luttazzi in una fin troppo famigerata trasmissione televisiva, scriveva di calcio, e forse avrebbe fatto meglio a continuare a farlo. Ma sarebbe eccessivo tributare al solo Travaglio la dichiarata antipatia verso il Cavaliere: nel lontano 1994 furono infatti molti, in ogni schieramento, a esprimere riserve verso Berlusconi. Franca Rame lo definì “faccia di plastica” (Il Venerdì, 11/2/94), Michele Serra “miliardario ridens” (L’Unità, 19/5/94), Vittorio Sgarbi invece lo apostrofò come “un prodotto Findus” (Rai Tv, 2/94), Bossi gli diede del “tubo vuoto, qualunquista” (L’Unità, 2/6/94), Fini dell’”inesperto” (La Repubblica, 8/4/1994), mentre “autoritario e sprovveduto” fu il commento di Bobbio (La Repubblica, 9/6/1994).
Merita poi attenzione, sul piano sociologico e non solo, l’odio che gravita attorno a Berlusconi. Trattasi di odio pubblico, dichiarato, tangibile anche sul piano cinematografico, come suffragato da innumerevoli esempi, dal “Caimano” di Moretti a “Shooting Silvio”, la pellicola che Sky, in barba al buon senso, ha pensato bene di mettere in onda il giorno di Pasquetta. Perché tanto odio verso Berlusconi? Occorre, per capirlo, distinguere i livelli. Esiste un primo livello di odio sociale e diffuso, in una parola politico, che probabilmente deriva dalla prima caratteristica visibile del Cavaliere: è un vincente nato, e laddove ha messo piede, nell’imprenditoria come nella politica, ha spazzato via la concorrenza. Su come lo abbia fatto – con metodi trasparenti o meno – si può discutere, ma nessuno può oggettivamente negare che Berlusconi faccia rima con successo.
Altro livello di odio, anche se qui il termine è forse eccessivo, è quello tra certi magistrati e Berlusconi; i primi si dicono mossi dall’esigenza di far giustizia a prescindere dal fatto che l’imputato sia eccellente, il secondo lamenta una persecuzione processuale. Anche qui, non ci interessa capire chi abbia o meno ragione. Ci limitiamo ad osservare un dato di fatto: nel biennio ’92 – ’93, col terremoto di Mani Pulite, la prima repubblica venne fatta a pezzi e tutti, senza eccezioni, erano pronti a scommettere sul successo politico dell’unico partito uscito relativamente indenne da quella tempesta giudiziaria: il PDS di Occhetto. Ebbene, con la sua discesa in campo, Berlusconi stravolse questo scenario, vanificando per molti versi un panorama parlamentare che la magistratura – magari inconsapevolmente, non sta a noi stabilirlo – aveva di fatto contribuito a preparare, silurando, come dicevamo, larga parte dei partiti storici del Paese, DC e PSI. C’è anche ci sostiene che l’astio della magistratura verso il Cavaliere nasca dal fatto che, iniziando l’avventura politica, costui avrebbe inteso sgattaiolare via da indagini pesantissime, che solo Palazzo Chigi avrebbe potuto scongiurargli, almeno in parte. In realtà, entrambe queste ipotesi potrebbero essere fondate: una non esclude l’altra.
Anche sulle gaffe di Berlusconi, si accavallano ipotesi ora differenti ora parallele. Sostanzialmente c’è un fronte di avversari del Cavaliere che lo giudica inesauribile miniera di figuracce, ma c’è anche un nutrito e trasversale gruppo di osservatori che vede nelle sue papere l’ultimo prodigio di Sua Emittenza, il grande comunicatore divenuto politico e capace, all’occorrenza, di scrollarsi di dosso vecchi rituali e di dare spettacolo. Facendosi, ancora una volta, pubblicità. Ultima ma non meno importante caratteristica di Berlusconi, è quella di essere in maggioranza pur essendo in minoranza. Mi spiego meglio. I verdetti elettorali, come dicevamo, hanno negli anni hanno dimostrato che Berlusconi vince (o perde di un niente), ma la sensazione, tra la gente, è sempre stata quella che gli elettori di Forza Italia si contassero sulle dita di umano. Che fossero, dunque, minoranza: pur essendo maggioranza. Questo dimostra due cose: che sono in pochi a vantarsi di votare il Cavaliere, e che tutti coloro che lo criticano, correggono e dileggiano hanno o pessimi argomenti e/o pessima capacità di comunicarli. Quale sarà il giudizio storico sulla statura politica di Berlusconi?
Difficile a dirsi. Non sappiamo ancora quali sorprese il Cavaliere ci riserverà e soprattutto, data la longevità di quest’ultimo, non è detto che siano i suoi detrattori a sopravvivergli. Anzi, è probabile il contrario.