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Alcune notizie interessanti:
1La dolce morte in Australia
2 una lettera sul testamento biologico
3 i rischi della fecondazione artificiale secondo gli ultimi studi
4 Havard dà ragione al papa sul preservativo
1 Non aprite quella posta
In Australia la “dolce morte” arriva per posta. Basta ordinare via Internet il veleno giusto, farselo spedire e seguire le istruzioni del “Manuale della pillola della pace” del medico attivista pro-eutanasia Philip Nitschke. Non è esagerato dire che l’Australia sta diventando il paese al mondo dove è più facile togliersi la vita. Il governo di Canberra non consente né il suicidio assistito (come in Svizzera) né l’eutanasia (come in Belgio, Olanda e da poco in Lussemburgo). Questo però, ha rivelato il quotidiano The Australian, non ha impedito a Nitschke di continuare la sua attività mortale. Gli australiani che intendono smettere di vivere acquistano sul Web dal Messico, dove è legale, il Nembutal, il potente barbiturico veterinario preferito dal movimento pro-eutanasia di Nitschke.
Lo ricevono per posta, senza che le autorità di dogana lo scoprano perché il veleno è impachettato all’interno di confezioni di profumo. Gli ordini sono gestiti da Gerardo Aviles Navarro, che vive nel sud del Messico. Una bottiglia di Nembutal costa 350 dollari, mentre se ne vengono acquistate due il prezzo è di 450 dollari. “Ho fatto spedizioni in Australia con successo otto volte nelle ultime settimane e nessuna è stata fermata dalla dogana – ha detto l’uomo in un’intervista – Sono molto serio, se Exit International ha reso pubblico il mio servizio è perché conosce la mia serietà”. Una volta che il veleno è arrivato nelle mani degli aspiranti suicidi, questi non devono far altro che seguire le informazioni del “Peaceful Pill Handbook”, dove c’è un’apposita sezione sui “metodi più affidabili e pacifici usati per mettere fine alla propria vita”. La versione cartacea del libro è stata tolta dal mercato australiano e anche da quello della vicina Nuova Zelanda. La legge però si può aggirare scaricandolo dalla rete. Il Nembutal è il farmaco più utilizzato da Nitschke per togliere la vita. La prima volta risale al 1997, quando nella regione del Territorio del Nord (dove allora l’eutanasia era legale) il medico aiutò quattro persone a suicidarsi. Quello stesso anno il governo, guidato dal conservatore John Howard, mise al bando la “dolce morte”.
E fu sempre il governo di Howard a proibire – nel 2005 – la vendita in Australia del Nembutal. Niente però ha fermato Nitschke, che lo scorso dicembre ha presentato ad Adelaide la sua ultima creatura: un nuovo modello della macchina per il suicidio. Il congegno utilizza semplici prodotti casalinghi fra cui una comunissima bombola di gas da barbecue, che viene poi riempita con un altro gas liberamente ottenibile (il nitrogeno e non più l’elio). Il metodo non richiede l’uso di farmaci e ha la caratteristica unica di non essere identificabile nell’autopsia, rendendo più difficile provare il suicidio. L’altro “vantaggio” è l’immediata perdita di conoscenza, con la morte che sopraggiunge pochi minuti dopo. E mentre il governo australiano pensa a una legge per filtrare il “materiale illegale” che viaggia su internet, compreso quello del suo sito, Nitschke vede aumentare il suo seguito. Nel 2008 almeno 4000 persone hanno partecipato ai suoi workshop in Australia, Nuova Zelanda e Gran Bretagna.Il Foglio 19 marzo
2 La tematica del testamento biologico presenta un sottile pericolo che, mi pare, nell'attuale dibattito viene trascurato. Mi riferisco al fenomeno, ben studiato dalle scienze cognitive e neurologiche, secondo cui le persone sane sono in genere erroneamente convinte che la qualità della vita delle persone con gravi handicap, come i non-vedenti o le persone totalmente immobilizzate, sia estremamente bassa, caratterizzata da panico e sofferenze estreme. In realtà numerosi studi mostrano come i malati completamente paralizzati (come le persone che hanno subito traumi neurologici, ictus o degenerazioni del morbo di Parkinson e di Gehrig) possono senz'altro soffrire di disturbi psicologici ma raramente di forte depressione clinica. In genere i pazienti con malattie neurologiche inguaribili tendono a raggiungere una sostanziale tranquillità dopo i primi terribili mesi seguenti il trauma, e la loro qualità della vita e volontà di vivere - ha scritto, ad esempio, il prof. Birbaumer che ha condotto molti studi sul tema - possono essere "analoghe a quelle delle persone sane", purchè l'ammalato "mantenga la comunicazione con un ambiente sociale" e "ne fruisca a livello psicologico, intellettuale ed emotivo". E' pertanto evidente quanto sia pericoloso mantenere il dibattito su posizioni di sola contrapposizione ideologica e non focalizzarlo sulle dinamiche cognitive appena delineate. Il rischio è di accettare e perpetuare solamente la visione che "naturalmente" tendono a sviluppare le persone sane, e che cioè una vita cosciente ma rinchiusa in un corpo-scafandro (e quindi priva delle vacanze al mare, lo shopping, il tennis e così via) sia poco degna di essere vissuta. Al contrario, il dibattito sul testamento biologico dovrebbe fare emergere la visione del malato che, nella maggior parte dei casi (tranne evidentemente situazioni estreme, di pazienti con forti dolori e depressioni profonde) ritiene che anche una vita immobile può essere comunque serena e pacificata, se vissuta in un ambiente stimolante e coinvolgente. Giovanni Strafellini, docente ad ingegneria, Trento
3 Roma, 22 mar. (Adnkronos Salute) - Più rischi di difetti alla nascita per i bimbi in provetta.
Labbro leporino e problemi al palato, difetti alla valvola cardiaca e anomalie all'apparato digerente tra i problemi più diffusi. Ma anche più pericoli per il piccolo di dover fare i conti con malattie genetiche, tra le quali spicca la sindrome di Angelman, causa di ritardo mentale. Così la Human Fertilisation and Embryology Authority (Hfea) del Governo britannico intende avvertire le coppie che si apprestano a sottoporsi a una tecnica di fecondazione assistita dei maggiori pericoli per il futuro bebè, che si attestano, per alcuni difetti alla nascita, fino al 30% in più rispetto ai piccoli concepiti naturalmente. E lo farà con un annuncio sul proprio sito web, online già dal prossimo mese. Chiarendo, però, che la maggior parte dei piccoli nati da queste tecniche sono sani. L'avvertimento, che dovrà essere recepito dai Centri di fecondazione entro ottobre, riguarderà un vero e proprio esercito di coppie, considerando che in Gb si contano circa 10 mila nascite l'anno legate alla provetta. Del resto in questi anni sono stati molti gli studi che hanno evidenziato maggiori pericoli per i bimbi nati grazie a queste metodiche. Lo scorso mese, ad esempio, una ricerca degli statunitensi Centres for Disease Control and Prevention di Atlanta sul tema, pubblicata sulla rivista Human Reproduction, ha evidenziato i maggiori rischi per i bebè concepiti in provetta monitorandone oltre 13.500. Non è ancora chiaro quale siano i motivi che sembrerebbero mettere maggiormente a rischio i 'figli della provetta'. Alcuni esperti sostengono che i farmaci utilizzati per stimolare l'ovulazione inciderebbero negativamente sulla qualità degli ovuli che verranno fecondati. Altri addetti ai lavori, invece, puntano il dito sull'età delle donne - mediamente più alta - che decidono di sottoporsi a queste tecniche. Finora la Hfea aveva messo in guardia solo quelle coppie che si sottoponevano alla microiniezione intracitoplasmatica (Icsi), una tecnica che comporta la microiniezione di un singolo spermatozoo in un ovocita maturo allo scopo di ottenerne la fertilizzazione. Ma ora, alla luce dei nuovi studi sul tema, ha deciso di estendere l'avvertimento a tutte le metodiche indistintamente. "Abbiamo scoperto che c'è un leggero aumento del rischio di anomalie per tutte le tecniche di fecondazione assistita, non solo per l'Icsi - commenta Richard Kennedy, della British Fertility Society - è giusto che i pazienti vengano informati e che la Hfea abbia aggiornato il suo orientamento al passo con le nuove evidenze emerse".
I rischi secondo la Hfea
G.5.6.1 The patient information about ICSI should include the following: (a) the risk of damage to eggs when ICSI is used; and (b) the risk of possible inheritance of genetic and chromosomal abnormalities including cystic fibrosis gene mutations, sex chromosome defects and heritable sub-fertility; and (c) the risk of ICSI resulting in embryos with abnormal numbers or structures of chromosomes (d) the risk of ICSI resulting in embryos with novel chromosomal abnormalities; and (e) the risk of children conceived following ICSI having developmental and birth defects; and (f) the risk to the woman during pregnancy, including the risk of miscarriage.’
4 Harvard da' ragione al Papa.
Continua il dibattito sulla presa di posizione di Benedetto XVI in relazione all'uso dei profilattici per combattere l'HIV.
Edward C. Green, director of the AIDS Prevention Research Project al centro Harvard per gli Studi su Popolazione Sviluppo, ha detto che l’evidenza conferma che il Papa è corretto nella sua dichiarazione secondo cui la distribuzione dei condoms aumenta il problema dell’Aids. “Il Papa è corretto – ha detto Green alla National Review Online mercoledì. “, o per metterlo in un modo migliore, la migliore evidenza che abbiamo è di supporto alle dichiarazioni del Papa”. E ha aggiunto: “C’è un’associazione costante, dimostrata dai nostrl migliori studi, inclusi i 'Demographic Health Surveys', finanziati dagli Stati Uniti, fra una maggior disponibilità e uso dei condoms e tassi di infezioni HIV più alti, non più bassi. Questo può essere dovuto in parte a un fenomeno conosciuto come ‘compensazione di rischio’, che significa che quando uno usa una ‘tecnologia’ a riduzione di rischio come i condoms, uno spesso perde il beneficio (riduzione d rischio) ‘compensando’ o prendendo chances maggiori di quelle che uno prenderebbe senza la tecnologia di riduzione del rischio”. Secondo un editoriale di Bernardo Cervellera, direttore di Asia News, l’agenzia delle Nazioni Unite per l’AIDS, UNAIDS, in uno studio del 2003 ha indicato che i profilattici sono inefficaci nella protezione dall’HIV almeno nel 10 per cento dei casi. “Altri studi hanno suggerito che i tassi di fallimento possano arriv are al 50 per cento. In Tailandia in Somchai Pinyopornpanich, a capo del Dipartimento di Controllo della Malattia a Bangkok ha detto che il 46.9 per cento degli uomini e il 39.1 per cento di donne che usano il condom sono infettati da HIV-AIDS. L’Agenzia Italia riporta invece un’intervista a Rose Buingye, responsabile del “Meeting Point” di Kampala.
Ecco il testo: "Mio marito sta morendo e ho sei figli che tra poco saranno orfani: a cosa mi servono queste scatole che voi mi date?". Ha replicato così una donna sieropositiva alla distribuzione a Kampala, capitale dell'Uganda, di migliaia di preservativi come risposta al suo dramma. "L'emergenza di quella donna, e di tantissime altre come lei, è avere qualcuno che la guardi e le dica: 'donna, non piangere!'", spiega Rose Busingye, responsabile del Meeting Point che in una città disperata come Kampala rappresenta un luogo di rinascita per 4mila persone, tra malati e orfani, altrimenti condannate a vivere nel silenzio e nell'abbandono il loro destino di marchiati dall'Hiv. "Chi alimenta la polemica intorno alle dichiarazioni del Papa", spiega l'operatrice intervistata da 'Il Sussidiario', "deve in realtà capire che il vero problema della diffusione dell'Aids non è il preservativo; parlare di questo significa fermarsi alle conseguenze e non andare mai all'origine del problema: alla radice della diffusione dell'Hiv c'è un comportamento, cè' un modo di essere". Per Rose, "è assurdo pensare di rispondere al suo bisogno con una scatola di preservativi, e l'assurdità è nel non vedere che l'uomo è amore, è affettività". Il Papa, ricorda 'Il Sussidiario', chiede invece che "le cure per questa malattia in Africa siano gratis e che si possa procedere in un cammino di maggiore ragionevolezza e sviluppo nella battaglia all'Hiv, visto che i soli preservativi non bastano, anzi spesso aggravano il problema. La soluzione vera e longeva è un rinnovo della spiritualità e un nuovo modo di vivere la sessualità in maniera responsabile e adulta". "Parole sante", conclude il sito cattolico, "ma come al solito travisate da una stampa miope e generalizzatrice, magari anche maliziosa. Visto che Benedetto XVI ha esortato alla responsabilità e a un atteggiamento ragionevole dinanzi alla sessualità, poiché' i soli preservativi di certo non sconfiggeranno l'Aids se non ci sarà un cervello umano pensante a porsi davanti alla realtà". Altre fonti mediche cattoliche citano la rivista britannica “Lancet”, che nel gennaio 2000 aveva paragonato il preservativo alle cinture di sicurezza che offrono una falsa percezione di protezione: infatti negli anni ’70 dopo averne introdotto l’obbligo aumentarono gli incidenti per l’aumento dei comportamenti a rischio. Concludeva l’articolo: “ci dovremmo chiedere perché la promozione del preservativo non ha effetto nei paesi del terzo mondo e se abbiamo il giusto equilibrio tra questi messaggi e quelli sull’invito alla riduzione dei partner”. E riportano anche una dichiarazione di Norman Hearst della University of California San Francisco che segnala un pattern allarmante di correlazione tra l’aumento della vendita di preservativi in Kenya e Botswana con un incremento della sieropravalenza da HIV. “Le più recenti metanalisi parlano di un’efficacia del preservativo attorno all’80%, ma si stanno educando generazioni di giovani in Africa che credono che sia sufficiente. Quello che conta è il numero dei partner”. La Stampa 21 marzo