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Mi ricollego al bell'articolo di Mattia, e ai post sottostanti. Personalmente credo che gli atei veri e propri siano veramente pochi. Gli atei sono coloro che credono, fermamente, che non esista alcun senso, per l'uomo e per l'universo. Alcun senso ultimo, intendo. Per questo gli atei sono coloro che hanno creduto, fortemente, in tutte le ideologie umane, immanentiste: dal nazionalismo, al positivismo, al comunismo (ricordate l'ateismo di Lenin, Stalin, Pol Pot, Mao, Milosevic....?). Sono certi, arci-sicuri, che l'uomo sia solo un aggregato di atomi; sono arci-sicuri che l'uomo e la scimmia siano la stessa cosa; sono convinti che non esista alcuna legge al di sopra dell'uomo, e finiscono quindi spesso per imporre la loro; credono nella fortuna, che ha dato vita all'universo, e ai “colpi di fortuna” di R.Dawkins, che hanno dato vita alla vita prima, e alla vita cosciente, poi. Questi atei, che sono in verità credenti in altro, sono pochi, oggi e nella storia. Sono dogmatici, benchè dicano il contrario (l'aborto, l'eutanasia, sono alcuni dei loro dogmi morali odierni), e per nulla poetici: non conosco un poeta grande che sia stato ateo, ma neppure un grande artista.
Tanti, invece, e giustamente, sono gli agnostici: penso a Montale, al primo Ungaretti (Chiuso tra cose mortali/ anche il cielo stellato finirà,/ perchè bramo Dio?), persino ai poeti maledetti e agli esteti (eccezion fatta per D'Annunzio, troppo intento a divinizzare se stesso, per essere uomo in ricerca). Gli agnostici sono coloro che sanno, molto bene, di non bastare a se stessi; sanno che l'intelligenza non può certo escludere Dio, la Verità, la Giustizia, l'Origine, ma al contrario, la esige; sanno che una legge morale oggettiva deve esserci, perchè il cuore dell'uomo la cerca...per questo, attendono, cercano, sperano, pur senza conoscere, integralmente. Mi viene in mente il bellissimo lavoro di Samuel Beckett, “Aspettando Godot”: due uomini aspettano qualcuno, non sanno chi. Eppure sono certi che se Godot non arriva la loro vita è invano, assurda. Non sanno quando, come e chi, ma aspettano, bussano, cercano...disperati e speranzosi, come uomini che attendono una risposta (Montale): per questo, uomini, veri.
Sto proprio ora leggendo L'Itineriario spirituale di un agnostico, di Leo Moulin: bellissimo. Ma vorrei chiudere questi due pensierini assai riduttivi con una poesia di Clemente Rebora, quando era agnostico:
Dall'immagine tesa vigilo l'istante con imminenza di attesa – e non aspetto nessuno: nell'ombra accesa spio il campanello che impercettibile spande un polline di suono – e non aspetto nessuno: fra quattro mura stupefatte di spazio più che un deserto non aspetto nessuno: ma deve venire; verrà, se resisto, a sbocciare non visto, verrà d'improvviso, quando meno l'avverto: verrà quasi perdono di quanto fa morire, verrà a farmi certo del suo e mio tesoro, verrà come ristoro delle mie e sue pene, verrà, forse già viene il suo bisbiglio.
p.s Forse l'agnostico incontra la Verità, quando essa si fa incontro a lui, non solo per la sua evidenza intellettuale (non è evidente la necessità di un Creatore?) ma quando questa evidenza diventa amabile, grazie alla carità di chi la vive. Così l'Incontro è un'esperienza della ragione, vivificata però dal cuore..