La dignità umana è prima di tutto una componente del nostro essere, emerge dall’uomo e con l’uomo. In tal senso l’essere umano è sacro, cioè esige rispetto ed il suo corpo e il suo spirito non gli appartengono, ma preesistono a legislazioni e stati.
Questo però non deve renderci ciechi davanti ad un’altra considerazione che è correlata a quanto detto. La mia dignità esiste soltanto se riconosciuta. Perciò la dignità umana e il diritto alla vita quale espressione primaria e fontale di ogni altro diritto, sono contemporaneamente dentro e fuori di noi. Immaginiamo per un attimo che Eluana sia sanissima, nel pieno del proprio vigore e della propria solare speranza, in questo caso nessuno dubiterebbe del diritto alla vita di questa ragazza.
Eppure, se improvvisamente chi circonda questa ragazza decidesse di non riconoscerle alcuna dignità, allora verrebbe minato alla radice ogni diritto di questa donna. Qualcosa di simile accadde ad un intero popolo, gli Ebrei, che furono sterminati perché ritenuti esseri sub-umani.
Per cui è sempre l’altro che mi fa vivere e traduce la mia teorica dignità assoluta in un fatto, in realtà. Dignità umana e valore della vita necessitano quindi di un riconoscimento e prescindono dal nostro stato di salute ed efficienza. Il diritto è in positivo un arricchimento del mio essere. Perciò è illogico parlare di diritto alla morte, piuttosto chiamerei certe rivendicazioni espressioni di una volontà di morte. Ma torniamo alla riflessione di poco sopra; il fatto che ad ogni creatura riconosciamo uno stato di indigenza, un bisogno di “cura” irrinunciabile, fonda qualsiasi discorso sulla dignità della vita.
Per conoscere questo valore, questa suprema dignità è necessario entrare in rapporto con l’uomo malato, la teoria non conta nulla. Perché assistiamo i moribondi? Perché stanno per morire o per quello che sono in quel momento?! Mio padre che sta morendo vale meno di mio padre sano?
E poi, perché riconosciamo valore e dignità agli stessi defunti, perché visitiamo le loro tombe, quale mistero avvolge la stessa morte? Quando si mette mano a leggi che decretano di vita o di morte non ci rendiamo conto che esistono dei costi occulti, delle conseguenze che non possiamo per ora immaginare?Non ci accorgiamo che spesso rispettiamo la sacralità della morte e non quella della vita?
Se la dignità umana nasce dall’incontro della mia libertà con quella di chi mi ama, allora io debbo ammettere la possibilità che se vi fosse anche un solo essere umano che riconosce in me malato un valore assoluto, la mia vita vale e deve continuare, perché per qualcuno essa conta.
Il problema dell’uomo è in ultima analisi quello di colmare la propria solitudine e se vi fu un luogo in questi giorni espressione di questo misero stato, esso fu la stanza di Eluana, poiché lì il riconoscimento del valore di quella vita non esisteva più e ciò è provato dal fatto che alla vita si preferì la morte. Questo luogo è l’opposto della clinica di Lecco dove le suore riconoscevano alla ragazza suprema dignità, amandola per quello che era.
Certo, se l’idea di libertà è così presuntuosa ed irreale, così priva di fondamento filosofico tanto da ammettere persino il diritto al suicidio, allora propongo ai vessilliferi di tale prospettiva di spingersi oltre, teorizzando il suicido non per disperazione o infermità permanente, ma senza alcun motivo.
Saranno in compagnia di Kirillov, umbratile e nichilistica creatura tratteggiata genialmente da Dostoevskij nel geniale romanzo, I Demoni.
Nel caso di Eluana la volontà della stessa era perlomeno dubbia ed in situazioni simili il principio di precauzione reclamava la scelta per la vita.
E poi, cosa sappiamo della mente di coloro che vivono in uno stato vegetativo permanente? La vita vegetale nell’uomo non è la vita dei vegetali; essa è un livello che racchiude tutto un passato, che vive nella silenziosa presenza di quelle creature.
Quando la smetteremo di pesare i malati secondo i parametri dei sani?
Perché riconosciamo dignità assoluta ed intangibile ad un’opera d’arte? Quale valore e presenza immateriale sentiamo e cogliamo in un quadro da sentirlo vivo oltre la semplice tela e il semplice colore?
Le cose sono infinitamente più complesse di quanto supponga l’ottuso e cieco materialismo utilitarista di alcuni. O forse gli uomini hanno semplicemente paura del dolore e della morte e confidano un giorno di negare tutto questo grazie a qualche pasticca che ci illuda di essere immortali, accompagnandoci in un incosciente trapasso. Ma in tal modo muore veramente ogni umanità , ogni poesia, ogni arte, ogni fede.
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