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La Chiesa e la cultura.
Di Francesco Agnoli - 13/12/2006 - Religione - 1439 visite - 0 commenti
L'uomo moderno, che vive dopo l'assolutismo illuminato, Napoleone, e le dittature del Novecento, è abituato a ragionare sempre in termini di Stato: tutto per lo Stato, nello Stato e con la benedizione dello Stato… Ma per secoli non è stato così: le società nascevano dal basso, spesso dalla libera iniziativa delle persone, dei gruppi, delle associazioni, insomma dei cosiddetti corpi intermedi. Questo significava, evidentemente, una maggior vita comunitaria, un più ampio coinvolgimento della gente di fronte alla realtà, ai bisogni, alle circostanze… Così, per secoli, la Chiesa, come gerarchia e come popolo di Dio, ha affrontato le singole urgenze, le specifiche situazioni, nel modo che sembrava più opportuno, e più cristiano. I monaci, nei primi secoli dopo la caduta di Roma, cercano di contrastare il dissolversi di un mondo che a qualcuno sembra debba finire per sempre. Nei loro orti selezionano le erbe curative e gli elisir; negli scriptoria salvano un patrimonio culturale di secoli; negli xenodochi danno vita ai primi tentativi di creare istituzioni ospedaliere e caritative. Poi ci saranno gli anni difficili dell'alto medioevo, con le incursioni musulmane, da sud, e le invasioni di popoli barbari, da nord, sino alla rinascita dell'anno Mille. Una rinascita che vede in primo piano l'opera della Chiesa, soprattutto nel campo della cultura. Basti pensare al fatto che l'atto di nascita della nostra letteratura è il "Cantico di frate sole" di San Francesco: mentre la lingua ufficiale, della cultura, dei dotti, della liturgia, rimane, giustamente, il latino, la vitalità del popolo cristiano produce i "laudari", iniziando così a plasmare una nuova lingua, per renderla più ricca, più degna, più nobile. L'università, l'arte, le cattedrali fioriscono dovunque, con la benedizione ed il patrocinio della Chiesa, accanto ai primi studi naturalistici della scuola di Chartres o dei francescano di Oxford. L'amore per la natura di San Francesco, infatti, sollecita lo studio delle realtà naturali, ritenute impronte e segni della grandezza di Dio: apre alla pittura "francescana" di Giotto, con i primi paesaggi naturali e una prima prospettiva empirica, ed alle scienze naturali. Nel XIII secolo si segnala la figura di un grandissimo religioso, che diverrà amico dei francescani e vescovo di Oxford: Roberto Grossatesta. Studioso di lenti, di specchi, dell'arcobaleno e della luce, considerato da molti uno degli inventori degli occhiali ("fu il primo a suggerire l'uso delle lenti per ingrandire gli oggetti piccoli e avvicinare quelli lontani"), Grossatesta dà vita ad una filosofia della luce in base alla quale l'universo sarebbe nato da una esplosione di luce-energia posta in essere, all'origine del tempo e dello spazio, dal divino Creatore. Questa teoria, che gli appare plausibile naturalisticamente e corretta filosoficamente, in quanto sottolinea la atemporalità e aspazialità di Dio, è estremamente simile a quella odierna del Big bang, e viene intuita dal Grossatesta studiando la natura e leggendo la Genesi; in particolare riflettendo sulle prime parole della Bibbia: "all'inizio del tempo" e "sia fatta la luce" (fiat lux). Non è un caso che una simile ipotesi cosmogonica venga poi ripresa da Galileo Galilei, in una lettera a mons. Pietro Dini, nel 1615, con un esplicito riferimento, anche qui, al "fiat lux" della Genesi, e poi, in età moderna, con la teoria dell'"atomo primordiale", ribattezzata poi "big bang", dell'abate gesuita Lemaitre. Ancor oggi astrofisici famosissimi, come ad esempio John Barrow, professore di astronomia al Gresham College di Londra, la più antica cattedra scientifica del mondo, e docente di scienze matematiche a Cambrige, riconoscono nel Big bang una teoria capace di conciliare molto bene scienza e fede, conoscenze fisiche e concetto di creazione ("Newton", ottobre 2006). A Grossatesta, considerato da alcuni studiosi inglesi come il Crombie, uno dei padri, alla lontana, del pensiero scientifico moderno, seguono grandi naturalisti, tutti religiosi, come Ruggero Bacone, Buridano, Giovanni Peckam, che fanno rivivere, come scrive il Panofsky, l'ottica e la prospettiva antiche. Poi, sempre in età medievale, si segnala la figura di Nicola di Oresme, vescovo di Lisieux, che da una parte combatte la magia, e dall'altra, nel suo "De Coelo", afferma che "non si potrebbe provare con nessuna esperienza che il cielo si muove di movimento diurno e la terra no", e che vi sono "diverse belle ragioni per mostrare che la terra si muove di movimento diurno ed il cielo no". Mentre vari religiosi pongono le basi per quella che sarà la rivoluzione scientifica, l'Italia, patria per eccellenza della Chiesa e del cattolicesimo, vede un'importante fiorire di studi di medicina e di anatomia, spesso legati alle università di Bologna, Ferrara (entrambe città dello Stato pontificio) e di Padova. In queste città muovono i loro passi Guglielmo da Saliceto e Mondino de' Liuzzi, veri padri dell'anatomia moderna, insieme al celebre Andrea Vesalius, un fiammingo venuto a studiare in Italia anche perché qui, a differenza di altrove, era possibile, grazie all'autorizzazione della Chiesa, sezionare i cadaveri per gli studi anatomici. Tra i pionieri negli studi medici si segnalano vari medici, professori nelle università pontificie di Roma o archiatri pontifici come Bartolomeo Eustachio, Realdo Colombo, Marcello Malpighi e Giorgio Baglivi. Mentre nel campo scientifico compare sulla scena Niccolò Copernico, ultimogenito di quattro fratelli, due dei quali ecclesiastici come lui, e protetto dello zio vescovo Lucas Watzelrode e degli amici Tiedemann Giese, vescovo di Culm, e Niccolò Schönberg, arcivescovo di Capua, la Chiesa inizia a rifiorire, dopo la Riforma protestante, con una esplosione di carità, che vuole contrapporsi alla dottrina luterana della "sola fides". Per questo nel mondo cattolico nascono a ritmo continuo, in tutto il Cinquecento, ospedali, scuole, case per le prostitute, orfanatrofi e quant'altro… Si pensi agli ospedali camilliani, di san Camillo De Lellis, ai Fatebenefratelli, di Giovanni di Dio, e ai numerosi ordini dediti alla scuola e all'infanzia (barnabiti, scolopi ecc.). Straordinario sarà il sistema scolastico dei Gesuiti, da cui usciranno personalità come Cartesio, Corneille, Moliére, Voltaire, Joyce, ma anche grandi esploratori e benefattori come padre Eusebio Chini, Tommaso Ricci (fondatore della moderna sinologia) e Martino Martini. Benché dimenticati dal mondo, e spesso dai gesuiti stessi, si tratta di personaggi che hanno veramente fatto la storia. Il primo è un illustre scienziato che rifiuta la cattedra di scienze ed arti offertagli dai duchi di Baviera, e che viene considerato uno dei padri fondatori dell'Arizona, per avervi portato, oltre alla difesa degli indigeni dalle prepotenze europee, la fede, l'arte del coltivare, dell'allevare il bestiame, la distillazione dei liquori, la medicina, la cartografia e alcuni strumenti scientifici…Agli altri due, invece, si devono i primi veri rapporti tra Europa e Cina: dialogano con quel grande popolo, portando conoscenze scientifiche sconosciute (dall'orologio automatico all'atlante, dalla matematica alla geometria occidentali) e guadagnandosi il favore e la venerazione delle autorità locali. A Martino Martini si deve ad esempio il Novus Atlas Sinensis, cioè il primo grande atlante della Cina che gli europei poterono consultare. E mentre i Gesuiti coprono l'Europa con i loro collegi, un sacerdote spagnolo, san Giuseppe Calasanzio, fonda nel 1600 le "scuole pie", dando così vita a quella che è considerata la "prima scuola popolare dei tempi moderni" (Geymonat), in cui i figli dei ricchi e dei poveri siedono allo stesso banco, e imparano discipline scientifiche e tecnico-professionali. Sulla scia del Calasanzio, nel Seicento inoltrato, si pone san Giovan Battista de la Salle, creatore delle "scuole cristiane", anch'egli considerato dai pedagogisti moderni uno dei "fondatori della scuola popolare". L'amore per i poveri e per il popolo in genere porta i "fratelli" di Giovan Battista a dedicare tutta la vita, gratuitamente, all'insegnamento dei fanciulli indigenti ed abbandonati, sino al martirio, durante la rivoluzione francese, dopo che nel 1792 la Costituente, dopo averne tessute le lodi, provvede a sopprimere l'ordine del de la Salle, perché dichiara "sciolte tutte le associazioni religiose, anche quelle che dedicandosi all'insegnamento del popolo, hanno meritato la riconoscenza della patria"! Dopo il Calasanzio e il de la Salle, tanti altri educatori ed educatrici, tra Settecento e Ottocento, quando lo Stato non si occupa ancora della scuola (quando lo farà, provvederà, come prima cosa, a sopprimere ed incamerare le scuole cristiane), cercheranno di formare ed istruire i giovani, specie quelli poveri ed abbandonati delle grandi città. Bisogna ricordare almeno i nomi di santa Teresa Verzeri, straordinaria educatrice di fanciulle, e di don Ludovico Pavoni, un nobile bresciano promotore, all'inizio dell'Ottocento, delle scuole degli "Artigianelli", "ove almeno gli orfani ed abbandonati potessero aver ricovero e crescere educati con sicurezza nella Religione e nella arti onorate". A lui si deve la Tipografia "Tirocinium Typographicum", che può essere considerata la prima scuola grafica d'Italia. All'incirca negli stessi anni, un altro sacerdote, in quel di Torino, si trova ad affrontare le emergenze della nuova società industrializzata: urbanizzazione, sfruttamento minorile, povertà… Risponde dando vita all'ordine del Salesiani, a laboratori e scuole professionali di ogni genere (sartorie, legatorie, falegnamerie….). Oltre a tutto ciò, nell'era del liberismo materialista, lotta per esigere dai padroni regolari contratti di lavoro per i suoi ragazzi, e garanzie sul riposo festivo, le ferie annuali, le malattie, ed il tempo necessario per imparare a leggere e scrivere…
 
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