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Il padre, l'assente inaccettabile.
Di Francesco Agnoli - 11/12/2006 - Attualità - 1286 visite - 0 commenti
Nella società di oggi il padre è sempre più un assente, "un assente inaccettabile". E' questa la convinzione di Claudio Risè, celebre psicoanalista, docente di scienze e politiche sociali e collaboratore del Corriere della sera, che sarà a Trento il 15 dicembre, alle ore 20.30, presso l'aula magna dell'Oratorio del Duomo, in via Madruzzo 45, invitato da Libertà e persona (www.libertaepersona.org), in collaborazione col Movimento per la vita. Per Risè siamo ormai in una "società senza padri", che è venuta via via formandosi soprattutto in questo secolo, in concomitanza con il rifiuto, più o meno ampio, del concetto di autorità, di guida, di paternità appunto. In effetti negli anni Sessanta e Settanta abbondano i libri o gli articoli sulla "morte della famiglia", sulla fine della società patriarcale, sulla necessità di sopprimere ogni forma di gerarchia. "Né maestro né Dio. Dio sono io", "Quinto: uccidi tuo padre", "famiglia è prigione", sono alcuni degli slogans di moda, negli anni della contestazione del 1968: ora siamo rimasti a fare i conti con la realizzazione di questi auspici, con le famiglie sempre più disgregate e il continuo aumento di patologie nei giovani e negli adolescenti. Chi insegna lo sa bene, quanto siano cambiati i tempi, e non in meglio; quanto aumentino di continuo problematiche quali l'anoressia o il consumo di sostanze psicotrope per "sentirsi più in forma". Nei giovani, infatti, si vede spesso proprio questa assenza, inaccettabile, della famiglia, e, molto spesso, proprio del padre: c'è una inquietudine enorme, una solitudine, una incertezza, in molti di loro, che può provenire solamente da un ambiente familiare che non sa più offrire calore umano, certezze, protezione e sicurezza. Mancano i padri, nel senso che mancano i maestri: vuoi perché non hanno tempo, vuoi perché non sanno più cosa insegnare, vuoi perché molti padri si sono adeguati all'idea di non esserci più, e preferiscono fare gli amiconi, i complici, i compagni di gioco, e solo quello, dei loro figli. Si mettono sullo stesso piano, hanno paura perfino di sussurrare un concetto, un ordine, un vero consiglio. Abdicano così al loro ruolo, al compito di essere guide, dolci e giuste nello stesso tempo; abdicano al compito gravoso di sostenere la crescita dei figli se necessario con la severità, e preferiscono diventare i dispensatori di beni materiali e di comodità superflue. Eppure ognuno di noi ha bisogno di un padre, un padre buono, ma anche un padre che sappia richiamarci, che sappia essere un riferimento concreto, un riferimento amato, di cui si possono apprezzare, magari in un secondo momento, anche i rimproveri. Anche le mogli, non solo i figli, hanno bisogno accanto a sé di mariti affidabili: quante volte l'arrivo di un figlio è oggi un dramma, in una famiglia, solo perché l'uomo non ha il coraggio di prendersi le sue responsabilità, di essere un vero padre e un vero marito? Invece che affascinarsi per l'avventura di padre, che li aspetta, molti si lasciano prendere dalla paura, dall'incertezza, forse dall'egoismo: non vogliono giocarsi, non vogliono abbandonare le loro piccole abitudini, i loro momenti liberi, la loro routine ben avviata, auto condannandosi così alla sterilità affettiva. Eppure ci sono anche tanti padri, oggi, che soffrono per il motivo contrario: per il fatto di non poter essere quello che sono, o quello che aspirano ad essere. Nella sola Unione Europea su un totale di 28000 maschi che si tolgono la vita ogni anno, ben 2000 sono padri separati che hanno contratto depressioni gravi e reattive a causa della lontananza dai figli. Una vera mattanza. Figli senza padri, e padri senza figli. Non è un bel panorama, e non migliorerà certo finché non si tornerà a riflettere sull'essenzialità della famiglia. Tornare a riflettere su questa verità di natura significa anche opporsi alle nuove prospettive faustiane: se fino a poco fa ogni figlio nasceva, bene o male, con un padre, salvo poi poterlo perdere lungo la strada, oggi sono sempre di più i figli che nascono già programmati, senza uno dei due genitori. Non mi riferisco solo ai casi eclatanti delle mamme nonne, o ai venditori di seme o di ovuli, che spargono in giro figli geneticamente loro, che non conosceranno mai, ma anche ad una moda sempre più diffusa: quella di programmare dei figli, con la fecondazione artificiale, pur essendo nella condizione di single. In Norvegia e in tutto il nord Europa vi sono associazioni che lucrano vendendo ai singles appositi kit per produrre bambini. Negli Usa vi sono siti internet, mannotincluded o womennotincluded, in cui si danno le indicazioni per avere dei bambini da soli, senza un marito, o una moglie, con l'ausilio della tecnica e degli euro. E non sono solo strampalerie nordiche o americanate di Hollywood: anche da noi si diffonde sempre di più questa usanza, come testimoniano le decine e decine di lettere sull'argomento, presenti sui siti italiani di fecondazione artificiale, tipo Madre Provetta. E non fanno certo bene, a nessuno, in queste condizioni, i telefilm alla Banfi, in cui l'idea di famiglia viene sostanzialmente ritenuta antiquata, o quantomeno sostituibile: la famiglia, in natura, è una sola, uno solo il padre e una sola la madre di cui abbiamo bisogno. Una madre che sia madre e un padre che faccia il padre. Checchè ne dica anche un "profeta" dei tempi nuovi come Umberto Veronesi, che nel suo ultimo "La libertà della vita" (Raffaello Cortina editore), non teme di consigliare come soluzione ottimale per l'umanità la clonazione riproduttiva. Dopo aver detto che una donna bella ed intelligente potrebbe benissimo voler un figlio senza un uomo, perché odia il genere maschile, e che in fondo non ci sarebbe motivo per opporsi, conclude: "Ha senso- chiede retoricamente Veronesi- e se sì dove è il senso, che per avere un figlio ci vogliano sempre comunque un maschio e una femmina?...Dopotutto non pochi esseri viventi primordiali si perpetuano per autofecondazione. Cero per specie evolute la dualità maschio femmina è apparsa sempre inderogabile. Ma possiamo dirlo ancora, dal momento che siamo capaci di manipolare il Dna e di clonare? Perchè tanta paura della clonazione se l’abbiamo davanti agli occhi ogni volta che assistiamo ad un parto gemellare? Come tu dicevi: perché mai dovremmo per principio vietare alle donne di clonare se stesse?” (p.91).
 
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