"Grazie al Papa, mi ha tolto la scomunica". Intervista di Gnocchi e Palmaro a Mons. Fellay
"Il suo gesto un dono gratuito, per troppo tempo siamo stati trattati peggio del diavolo". Di seguito riportiamo l'intervista di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro a Mons. Fellay, Superiore generale della Fraternità Sacerdotale di San Pio X: il più rappresentativo, quindi, dei quattro vescovi "lefebvriani" a cui è stata appena revocata da Benedetto XVI la discussa scomunica (da "Libero" del 25/01/09).
D – Monsignor Fellay, il 30 giugno 1988, lei, con altri tre sacerdoti
della Fraternità San Pio X, veniva consacrato vescovo da monsignor
Marcel Lefebvre. Questo atto fece di voi e del vescovo brasiliano
Antonio De Castro Mayer, che vi aveva partecipato, fra i primi
scomunicati dopo il Concilio Vaticano II. Oggi, a distanza di più di
vent’anni, lei è il Superiore generale della Fraternità, quello che
nello sbrigativo linguaggio giornalistico viene definito “il capo dei
lefebvriani”. Siamo a Menzingen, Svizzera profonda, nella Casa
generalizia, fuori c’è la neve, pare di essere in un presepe e qui sul
tavolo c’è il decreto della Santa Sede che revoca quella scomunica. Che
cosa prova?
R – Gioia, soddisfazione. Che non sono sentimenti di una persona che
pensa di essere un vincitore. Quello che la Fraternità San Pio X ha
fatto dalla sua fondazione a oggi, e che continuerà sempre a fare, lo
ha fatto e lo farà solo per il bene della Chiesa. Anche le
consacrazioni episcopali del 1988 furono fatte a quello scopo. Per il
bene della Chiesa e per la nostra sopravvivenza. Monsignor Lefebvre
doveva, ripeto doveva, assicurare una continuità. Noi non siamo altro
che una piccola scialuppa di salvataggio in un mare in tempesta. Noi
siamo sempre stati al servizio della Chiesa e sempre lo saremo. La
revoca della scomunica, insieme con il Motu proprio di Papa Benedetto
XVI sulla Messa antica, è un segnale importante, davvero importante,
per la nostra piccola scialuppa. Per questo parlo di gioia e di
soddisfazione.
D – Dove e quando ha saputo del decreto?
R – L’ho saputo pochi giorni fa a Roma, nell’ufficio di un cardinale,
il cardinale Castrillon Hoyos, il presidente della Commissione Ecclesia
Dei. Ci siamo abbracciati. Poi, per prima cosa ho ringraziato la
Madonna, questo è un suo regalo. E’ per ottenere la sua intercessione
che sono stati messi insieme più di un milione e settecentomila rosari,
recitati da fedeli che auspicavano la revoca della scomunica.
D – Chi, in Vaticano, ha lavorato di più per giungere a questa
soluzione?
R – Sicuramente il cardinale Hoyos, che è a capo della Commissione
preposta ai rapporti tra la Santa Sede e la Fraternità San Pio X. Ma,
soprattutto, Papa Benedetto XVI. L’ho capito dalla prima udienza in cui
lo incontrai poco dopo la sua elezione. Pur muovendoci dei rimproveri,
il Santo Padre aveva un tono dolce, veramente paterno.
D – Nel decreto si dice che il Santo Padre confida nel vostro impegno
a “non risparmiare alcuno sforzo per approfondire nei necessari
colloqui con le Autorità della Santa Sede le questioni ancora aperte”.
Che cosa vuol dire questo?
R – Vuol dire che, come tutti i figli della Chiesa, siamo titolati a
discutere delle questioni che riteniamo fondamentali per la fede e per
la vita della Chiesa stessa. Credo che questo riconosca quanto meno la
serietà della nostra posizione critica su questi ultimi quarant’anni.
Noi non chiediamo altro che chiarirci. Il fatto che la volontà del
Santo Padre vada in questa direzione è veramente di grande conforto.
L’importante è che si capisca che, anche nei momenti in cui poniamo
delle critiche severe, noi non siamo mai contro la Chiesa, noi non
siamo mai contro il papato. E come potremmo farlo? Ci hanno spesso
accusato di essere “lefebvriani”, ma noi non siamo “lefebvriani”,
benché rimane per noi un titolo di gloria: noi siamo cattolici. Il
primo a non essere lefebvriano è stato il nostro fondatore, monsignor
Lefebvre. Quando questo sarà chiaro, si comprenderanno meglio le nostre
posizioni. Ci vorrà ancora del tempo, ma credo che poco alla volta sarà
chiaro che tutto ciò che facciamo è opera di Chiesa.
D – La revoca della scomunica è frutto di una trattativa e di un
accordo, o è un atto unilaterale della Santa Sede?
R – Noi abbiamo chiesto più volte la libertà nella celebrazione della
Messa antica e la revoca della scomunica. Ma ciò che è avvenuto ora non
è frutto di una trattativa o di un accordo. E’ un atto gratuito e
unilaterale che mostra che Roma ci vuole realmente bene. Un bene vero.
Per molto tempo abbiamo avuto l’impressione che Roma non volesse
entrare in argomento. Poi, tutto è cambiato e questo lo dobbiamo al
Papa.
D – Perché Papa Benedetto XVI ha voluto così fortemente questo atto? Si
è reso conto del ginepraio in cui si è messo con la revoca della
scomunica?
R – Oh, sì, credo che sia ben consapevole delle reazioni più diverse e
più scomposte. Del resto, a più riprese, prima e dopo la sue elezione
pontificale, ha parlato della crisi della Chiesa in termini tutt’altro
che ambigui. Quando dicevo della sua dolcezza paterna, intendevo
parlare del fatto che in Lui traspaiono, insieme, la consapevolezza dei
tempi in cui viviamo, la fermezza nel porvi rimedio e l’attenzione a
tutti i suoi figli. Questo fa sì che reazioni più o meno scomposte ai
suoi atti lo possono far soffrire, ma non certo lo costringono a mutare
parere. E qui sta anche il motivo di questa decisione.
D – In questo quadro, si potrebbe sintetizzare questa notizia dicendo
che la Tradizione non è più scomunicata?
R – Sì, anche se ci vorrà del tempo prima che questo concetto diventi
moneta comune dentro il mondo cattolico. Fino a oggi, in molti ambienti
siamo stati considerati e trattati peggio del diavolo. Tutto ciò che
facevamo e che dicevamo doveva essere per forza qualcosa di male. Non
credo la situazione possa cambiare improvvisamente. Ma oggi c’è un atto
della Santa Sede che ci autorizza a dire che la Tradizione non è
scomunicata.
D – E che cosa si prova a vivere da scomunicati?
R – Si prova dolore per l’utilizzo cattivo e strumentale di un marchio
d’infamia. Per quanto riguarda la nostra situazione, invece, devo dire
che non ci siamo mai sentiti scomunicati, non ci siamo mai sentiti
scismatici. Noi ci siamo sempre sentiti parte della Chiesa e la notizia
di cui stiamo parlando dimostra che avevamo ragione.
D – A questo punto ci si chiede perché tale situazione si sia
trascinata così tanto. E, soprattutto, di che natura sono le questioni
che il documento della Santa Sede e voi stessi dite che devono essere
ancora discusse?
R – Lo riassumo in poco spazio. A un certo punto, dentro la Chiesa
abbiamo visto che si prendeva una strada nuova, secondo noi una strada
che avrebbe portato a grandi problemi. Noi non abbiamo fatto altro che
pensare, insegnare e praticare ciò che la Chiesa aveva sempre fatto
fino a quel momento: niente di più e niente di meno. Non abbiamo
inventato nulla. Abbiamo seguito, per l’appunto, la Tradizione. E,
oggi, la Tradizione non è più scomunicata.
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