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Il 1968 e gli anni di piombo
Di Francesco Agnoli - 05/12/2008 - Storia del Novecento - 7418 visite - 0 commenti

Il '68 non segna soltanto un anno, ma un lungo periodo che va da quel fatidico anno agli anni '80, cioè dai “figli dei fiori” al terrorismo, quando, appunto, per il Presidente Pertini le Brigate Rosse erano “nere”, per la televisione italiana erano “sedicenti” e per i comunisti del P.C.I. erano “compagni che sbagliano”. Poi, le Brigate Rosse, dopo aver ucciso Moro, uccisero Guido Rossa, un militante comunista che però rifuggiva ogni violenza e detestava (rara avis) il “banditismo rosso” dei brigatisti e quindi non si peritò a fare il nome dei “compagni” che, in fabbrica, fiancheggiavano i brigatisti assassini...E i brigatisti rossi lo condannarono a morte e lo uccisero come un cane. Solo allora Berlinguer disse “basta”, affidò le indagini ai “giudici d'area” e anche finì (almeno momentaneamente) la stagione del terrore.

...Ve li ricordate allora i “figli” di quel Giangiacomo Feltrinelli che rimase, giocando con il tritolo, appiccicato a quei tralicci che voleva far saltare in aria? A me vengono a mente tanti, tanti nomi dell’apparato socialista e comunista: Bobbio, Revelli, Garavini, Lombardo Radice…ma anche degli apparati democristiani e confindustriali:i figli di Zaccagnini e di Adolfo Battaglia, oltre al sinistro Enrico Deaglio e Giorgio Pietrostefani (ancora latitante) figlio di un Prefetto, Guido Viale, figlio di un Dirigente Fiat e poi Bolis e Mauro Rostagno, Paolo Hutter e i “Cattolici” Franco e Marco Fossati, Carmen Bartolazzi, Paolo Sorbi, Marco Boato e i suoi fratelli: Sandro, Maurizio, Stefano e Michele. E poi i Killer, gli assassini i mandanti…no, non saprei fare una scaletta delle responsabilità; so solo che, durante il breve e disastroso periodo del Governo Prodi, era non solo parlamentare eletto con i Radicali e i Socialisti della “Rosa nel Pugno”, ma anche Segretario del nostro Parlamento uno degli assassini dell’agente di P.S. Dionigi: Sergio D’Elia…che aveva, certo, pagato (ammesso che in pochi anni di galera si possono pagare quei delitti!) il suo debito con la giustizia, ma se non la prudenza o il pudore, almeno il buongusto gli avrebbe consigliato di starsene quieto a casa a pensare, lui Caino, ad Abele. A Trento gli alpini e gli ex alpini entrarono in diretto contatto con i contestatori definiti: “brigatisti 'putane' e capelloni” e quest'ultimi ebbero la peggio, anche se il “peggio” si limitò a qualche solitaria fuga e a qualche ben assestata scarica di ceffoni e cazzotti... Ma loro, i professionisti della spranga, della chiave inglese e della P38 lasciarono ben altro segno: scia di sangue che dal '68 all'Ottanta (proseguendo, poi, con le Nuove Brigate Rosse della Lioce e company) imbratterà le nostre piazze e le nostre strade, divenute il campo di battaglia per vergognose aggressioni e criminali attentati fatti in nome del Comunismo. E allora non possiamo tacere gli oltre centoquaranta morti, i duemila feriti o invalidi e mutilati di quel periodo sciagurato che andò dal '68 agli anni '80 e oltre: fu quello il periodo di una lunga guerra civile che iniziò con gli assassini dell'agente di P.S. Antonio Annarumma e del Commissario capo Luigi Calabresi e che continuò con gli assassini di giudici (dopo il rapimento di Mario Sossi) come Coco e Alessandrini, di Dirigenti industriali come il povero ingegner Taliercio, di carabinieri come il Colonnello Gavalagi...ma non si può tacere il fatto che la “destra politica”, allora sana, rappresentata dal M.S.I, ebbe il maggior numero di vittime, di morti ammazzati come cani e che avevano l'unica colpa di non essere comunisti e di volere una società più giusta e senza la violenza assassina e lo stato poliziesco a cui i rossi si rifacevano guardando l'Unione Sovietica, ma anche l'Albania, la Bulgaria, la Cecoslovacchia, la Romania, Pechino e Cuba come “Fari di Luce” dove era stato creato “l'uomo nuovo”...quello stesso “uomo nuovo” che, forse, vorrebbe ricreare in “laboratorio” il professor Umberto Veronesi...

Dopo gli episodi di “Valle Giulia”, nel 1969, nelle università italiane comandavano i facinorosi e il Movimento Studentesco (ricorda il Sor Capanna, oggi riverito e sbaciucchiato da tutti i “benpensanti”, quelli “anticomunisti”?) sequestrò (e non fu né il primo né l'ultimo dei professori sequestrati!) il Professor Trimarchi, alla Statale di Milano (1969): sputi, calci, insulti...il professore aveva rifiutato il “voto unico garantito” quel “18 politico” che non si negava nemmeno a un cane, infatti la violenza continuò e si accentuò in tutti gli Atenei italiani per culminare a Padova dove, conclude Luciano Garibaldi nel suo mirabile saggio: “Com'erano rosse le mie Brigate”: “Siamo alla macabra evocazione di Pol Pot e dei Khmer Rossi; in definitiva i modelli degli autonomi i cui connotati, come dice una delle vittime dei terroristi, il professor Ventura, sono: 'l'irrazionalismo nichilista, l'ebbrezza vitalistica dell'azione, del rischio e della distruzione, le suggestioni estetizzanti che risalgono agli scritti degli ideologi della lotta armata' (...) per cui-continua Luciano Garibaldi- “non meno di cinquanta docenti hanno subito violenze gravi: dagli attentati alla vita (i professori 'sparati' come Ventura, o sprangati o con il cranio fracassato come Potter e Longo), alle sopraffazioni più umilianti.

Al professor Galante, comunista, gli autonomi strapparono il microfono durante un'assemblea. Lui cercò di riprenderlo, allora 'Icio' Molinari(...) saltò in piedi sulla cattedra e si sbottonò i pantaloni (per) originarli in testa. A Magistero, un Docente di Psicologia dell'età evolutiva che rifiutava il 'voto politico' (gli studenti pretendevano di essere interrogati sulla “repressione giudiziaria”), fu circondato dagli autonomi: gli portarono davanti un cane e gli ordinarono: “Interrogalo!”. Lui, impaurito, fece le domande al cane. “E adesso metti il voto sul libretto!”. Dovette mettere il voto (...) tra i lazzi, le pernacchie, le oscenità delle giovani canaglie. Per la vergogna non denunziò il fatto!”. Con gli anni Settanta comincia l'olocausto nelle file dei giovani dell'allora MSI (Movimento Sociale Italiano). Oggi a quarant'anni di distanza qualcuno, a Destra per 'antico' sbaglio, ripete le sciocchezze che gli vengono suggerite dagli eredi del vecchio screditatissimo Grece (il neonazismo francese) che ebbe le sue teste di... “ponte” anche in Italia, per cui sono gli “altri” che non sono stati compresi e che, dunque, avrebbero avuto ragione...e anche altre scemenze, per fortuna tesi irrise da quasi tutta la classe dirigente di AN (Alleanza Nazionale) a cominciare da uno dei suoi massimi esponenti; Maurizio Gasparri, un vecchio combattente della “destra pulita” a cui fa schifo il “nazismo” e che dichiara al “Corriere della Sera” (4 febbraio 2008): “Da tre mesi vado in giro a demitificarlo il Sessantotto” perchè recita la 'Carta dei Valori' sottoscritta da tutta AN: “A quarant'anni dalla contestazione del'68 l'Italia risente ancora degli effetti negativi di quella stagione. Da allora valori essenziali sono stati negati, come l'identità culturale della nazione, il merito, la legalità, la famiglia”. Vogliamo davvero ricordare, sempre con l'aiuto del nostro amico Luciano Garibaldi, il “calvario” della “Destra politica” nel 1970? Carlo Falvella, Dirigente del Fuan, stava portando una rosa rossa per il suo compleanno alla sua mamma, una domenica mattina a Salerno, fu pugnalato al cuore...rimase in terra con la rosa intrisa di sangue! Vengono bruciati vivi i fratelli Virgilio Mattei (22 anni) e Stefano (8 anni) figli di un netturbino, reo di essere il Segretario della sezione del MSI Primavalle di Roma: “Le terribili immagine fotografiche scattate da un passante ai due fratelli Mattei ormai avvolti dalle fiamme e invocanti aiuto invano, resteranno sempre la testimonianza più atroce sia della morte dei due innocenti(...) sia della demente ferocia degli allievi delle tante canaglie che ancor oggi pontificano, mentono, spargono veleno”. Il 31 luglio 1973 muore per infarto, a Reggio Calabria, dopo essere stato massacrato di botte dai comunisti, un altro sindacalista della CISNAL: Giuseppe Santostefano. Il 17 giugno 1974 nella Federazione del MSI di Padova, le Brigate Rosse segnano l'esordio dei loro crimini. Un commando fa irruzione nella Federazione missina e uccide i due iscritti presenti in quel momento: l'ex pensionato dei carabinieri Giuseppe Mazzola (60 anni) e Graziano Giralucci di trenta.

La stampa cerca di attribuire l'eccidio delle BR a una “faida interna” al MSI. Ma presto la verità verrà a galla. Il 28 febbraio verrà freddato a Roma lo studente greco, iscritto al Fuan, Mikis Mantakas. Gli assassini fuggono all'estero. Ma quello che più impressionò fu l'assassinio di Sergio Ramelli, un ragazzino diciannovenne che, in un tema, aveva osato dichiararsi per l'ordine contro l'odio e la violenza instaurati nella sua scuola dai gruppi extraparlamentari della sinistra estrema. “Sogno una società in cui non prevalga l'odio”...e aveva avuto il torto di scriverlo. E allora i compagni, che avevano “preso” il tema al professore lo affissero nella bacheca. Da quel giorno Sergio Ramelli non avrà più pace: il 13 marzo del 1975 lo avvistano, lo inseguono e lo braccano, poi lo sprangano, senza pietà, con pesanti chiavi inglesi, resterà a terra con perdita di sostanza celebrale. Vivrà ancora, con sprazzi di lucidità, per altri quarantasette giorni. Quando, la sera della sua morte, viene portata la notizia in Consiglio Comunale le sinistre (tutte le sinistre!) si alzano in piedi e applaudono... Dopo un anno morirà il babbo, di crepacuore, abbattuto da un infarto. La famiglia, giorno e notte è bersagliata da minacciose telefonate anonime: “ve la faremo pagare” dicono gli “anonimi” telefonisti: il fratello è costretto a cambiar città. “Dieci anni dopo gli assassini, tutti comunisti, nel frattempo arrestati, offrono 100 milioni alla madre di Sergio perchè rinunzi a costituirsi parte civile. La signora Ramelli rifiuta sdegnosamente, mentre i responsabili si sono tutti laureati in medicina: gli assassini di Sergio verranno tutti condannati ma torneranno presto in libertà”. Ci furono giornalisti che, come Andrea Barbato, non persero occasione per ribadire-anche in occasione della morte tragica di Sergio-che: “I più sanno che il pericolo è nero”. Ma chi, nel verminaio di certa stampa e nei partiti della sinistra superò ogni limite di decenza fu il Segretario del PCI Riccardo Terzi che, con una dichiarazione a cadavere caldo, subito dopo la morte di Ramelli ebbe ad affermare: “(...) Anche questo fatto luttuoso deve inquadrarsi in quella strategia della tensione e della provocazione che si vuole nuovamente dimenticare nella nostra città e che ha le radici profonde nelle manovre eversive ed antidemocratiche della destra reazionaria”. Sarebbe davvero il caso di eclamare: “Pietà l'è morta!” se un suo degno compare, il segretario del PSDI Luigi Vertemati non superasse il Terzi in sciacallaggio: “La logica della violenza individuale è una logica fascista (...) non deve ingannare la coloritura di 'sinistra' dietro cui, spesso, si nascondono gli appartenenti a formazioni che possono agire a colpo sicuro perchè vengono concessi loro spazio e impunità da chi, invece di tutelare l'ordine democratico, non vuole assumersi responsabilità”. A proposito di Sergio Ramelli, per avere un preciso “spaccato” dell'epoca, è consigliabile a tutti la lettura di uno stupendo libro del giornalista Guido Giraudo (scritto in collaborazione con Andrea Ardizzoni, Giovanni Butini, Francesco Grillo, e Paolo Severgnini): “Sergio Ramelli: una storia che fa ancora paura” Ed. Sperling & Kupfer. Sempre nel 1975 a sedici anni, il 30 ottobre, viene trucidato, davanti alla sezione del M.S.I del Quartiere Prenestino, Mario Zichieri, detto “Cremino”.

Naturalmente, secondo la stampa di sinistra, 'Cremino' si “suicida” (sic). Il 29 aprile sarà la volta del consigliere comunale del MSI Avvocato Pedenovi, 50 anni...a ucciderlo saranno i cocorì (Comitati Combattenti Rivoluzionari). Il 30 maggio 1977 Bruno Giudici, che ha il torto di essere il padre di un attivista del MSI, viene aggredito e bastonato in un ristorante di Roma: morirà poco dopo per complicazioni polmonari. Nel 1978 sarà la volta, davanti alla sezione del MSI di Acca Laurentia, di Angelo Pistolesi, falciato a colpi di pistola dai “soliti noti”; insieme a lui verranno assassinati altri due attivisti del 'Fronte della Gioventù': Francesco Bigongetti e Stefano Giavatta; negli scontri che seguirono moriranno anche Stefano Recchioni e Alberto Giaquinto. Nel 1979, il 16 giugno, lo studente Francesco Cecchin viene assaltato da un gruppo di ultrasinistri, fugge ma cade nel vuoto da un alto muraglione. Muore dopo lunghi giorni di agonia atroce, accompagnato dal lugubre sarcasmo della comunista Radio Onda Rossa che, trasformando la vittima in aggressore, lo irride con un: “E ora che cazzo vuole!”. Il 10 marzo 1980 muore un uomo che di politica non sa niente, si chiama Luigi Allegretti e viene abbattuto a rivolverate perchè ha la disgrazia di somigliare vagamente al segretario di una sezione missina. Da questi episodi nacquero le bande del “terrorismo nero” per “vendicare i camerati assassinati”, un episodio grave che non va, comunque, in alcun modo giustificato e a condannarlo, prima ancora che le Istituzioni, furono i dirigenti della Destra. Ma la strage continua... Due killer rossi uccisero a rivolverate il fattorino de “Il Secolo d'Italia” Angelo Mancia; chiude questa lunga teoria di croci Paolo Di Nella, figlio di un ufficiale dell'Esercito: il ragazzo viene aggredito e sprangato mentre affigge manifesti per una manifestazione politico-culturale del MSI. Eppure Rossana Rossanda, la pasionaria del comunismo italiano, commenterà: “A Milano, dopo i primi anni 70, regnava la paura dei fascisti, e non solo delle loro botte, ma delle loro bombe, del loro golpe” (sic). Un altro commento è di Gad Lerner: “Si è trattato di illegalità praticata alla luce del sole da parte di migliaia di giovani...e tollerata dalle istituzioni (...) Perciò sarebbe giusto rivendicare la non punibilità per le violenze giovanili di allora”. (Cfr: Pucci Cipriani in “Il Tiro al piccione” in A.De Simone e V.Nardiello: “Appunti per un libro nero sul comunismo italiano”-Ed Controcorrente, Napoli 2001). Eppure oggi anche personaggi della così detta Destra e giornalisti non certo di sinistra fanno salamelecchi e sgorguenze al Sor Capanna autore di quel libro che rappresenta uno sputo al buonsenso: “Formidabili quegli anni”. Parliamoci chiaro, se è vero, come è vero che gran parte della stampa di sinistra, ma anche di quella “borghese”, si comportò vergognosamente dobbiamo ricordare anche tanti giornalisti che non cedettero alla paura, e alla viltà e alla menzogna: Indro Montanelli (gambizzato dalle BR), ma anche sul “fosco” “Il Corriere della Sera” Gaspare Barbiellini Amedei ebbe a scrivere: “Quante spranghe lontane che non sempre vedemmo, quanti cronisti 'daltonici' che negli scontri vedevano un solo colore e quanti ciechi e quanti sordi (...) 'uccidere un fascista non è reato' gridavano i graffiti; eppure molti non sentivano , quanti ciechi e quanti sordi nelle istituzioni, nei giornali, nelle stanze del potere, e sulla cattedra”.

E continuava Barbiellini Amedei: “(...) Si può sprangare un uomo anche con sbarre di velluto, e toglierlo di mezzo. Allora le sbarre erano di ferro, vi furono giovani uccisi, altri 'decerebrati' sopravvissuti senza vita, per i quali in molti giornali era difficile trovare un cronista d'assalto disposto a un reportage”. Ma ci furono anche cronisti d'assalto che non ebbero paura a scrivere la verità e pagarono con la vita il loro anticonformismo e il loro grande coraggio: Walter Tobagi e Andrea Casalegno; Walter fu ucciso la mattina del 20 maggio 1980 e il terrorista confessò di averlo assassinato, in mancanza di Nozza e Giampaolo Pansa. Anche Casalegno de “La Stampa” verrà colpito: morirà dopo giorni di atroce agonia con le mascelle frantumate. Giampaolo Pansa, onesto e coraggioso giornalista di sinistra, che detestava e tuttavia detesta la menzogna e la violenza assassina, fu sempre in prima fila nella denunzia del terrorismo, (figlio assassino del '68), e non si piegò, come molti i cui nomi preferiamo non fare per un senso di ripugnanza, come canna al vento, al volere degli assassini e dei loro “padrini”. Giampaolo Pansa pubblicherà, nel 1986, per i tipi della Rizzoli, un libro, “Carte False” (peccati e peccatori del giornalismo italiano), “un libro di parte di chi ha l'orgoglio di appartenere a un campo ben determinato (la sinistra n.d.r.); amaro ma che offre motivi di speranza; che respinge la troppo facile (a comando) solidarietà della compassione e che nega, forte e chiaro, la troppo facile soluzione italiana del 'volemose bene'”.

Sì fu il tempo della pazzia generalizzata, della rivoluzione permanente, della contestazione dell'autorità, della scuola e della famiglia, fu il tempo dei “cattivi maestri” ancora in cattedra, fu il tempo della viltà, del sangue, del pianto, e mi piace chiudere questo capitolo con le belle parole di uno scrittore controcorrente, Marcello Veneziani: “Si diventa adulti contestando un'autorità, paterna o patrigna. I sessantottini contestarono l'autorità dei loro padri, io invece contestai l'autorità del mio tempo. Sì il parricidio fu il rito sessantottardo di fondazione del suo rovesciamento”. Quale più bel messaggio per i giovani d'oggi. Sì, rovesciamo il sessantotto, torniamo uomini veri e come facemmo allora, contestiamo l'autorità di questo nostro tempo, figlio del Sessantotto: il relativismo e il nichilismo.(da Pucci Cipriani, e F. Agnoli, 1968, Fede & Cultura)

 
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