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Dietro il solito titolo fasullo,("Bossi ed Eluana «Se capita a me lasciatemi morire» ")tipico di un giornale abortista e sostenitore dell'eutanasia, quale è il Corriere, si nasconde una umanissima intevista a Umberto Bossi su dolore, morte, religione...
Il Senatùr: ma non staccherei la spina a mio figlio DAL NOSTRO INVIATO TREVISO — «Quando mi son svegliato è stato il momento più brutto. Ho chiesto a mia moglie di non permettere che i medici pasticciassero con me». Umberto Bossi è a Treviso, e sembra di ottimo umore: la squadra di calcio della Padania, con qualche aiuto della sorte, ha battuto per 2-1 lo Zagabria. Ma improvvisamente, chiacchierando al termine della partita, il capo leghista fissa lo sguardo sulla punta del toscano e torna indietro: ai giorni della malattia del 2004, alla paura di non essere più se stesso, allo smarrimento che nasce dalla debolezza e dalla dipendenza totale. Fino alla più grande delle angosce, il rischio di costringere i propri cari a scelte terribili. Come quella di Beppino Englaro per sua figlia Eluana.
Ministro, lei che cosa direbbe al padre di Eluana? «Io non lo so proprio che cosa gli direi. Qui, se lei mi fa la domanda, dico che non sarei capace di chiedere di staccare la spina a un figlio. Non ce la farei. Separarsi da un figlio in questo modo è l'inimmaginabile. Essere tu a spingerli nel buio... come si fa? Ma di dire una cosa del genere son capaci tutti. La verità è che senza il dolore, non si può dire niente. Uno parla in una realtà normale, quotidiana, e l'altro è da tutt'altra parte. È da solo su un altro pianeta». Insomma, di esperienze di questo genere non si può parlare? «E come si fa? Qualcuno è capace di dire quello che deve fare a una persona che ha vissuto per sedici anni nel dolore totale? Di dare consigli a chi ha visto per sedici anni il dolore di una figlia? È troppo. Si getta la spugna». Lei è mai stato tentato di gettarla? «Quando ho capito che cosa mi era successo, mi sono anche reso conto che la riabilitazione sarebbe stata lunghissima, infinita. Pensavo che il dolore sarebbe stato infinito ». E così, ha detto a suo moglie che avrebbe preferito farla finita? «Le ho detto che se mi fossi trovato nella condizione di non poter più decidere di me stesso, lei non avrebbe dovuto permettere accanimenti. Non avrebbe dovuto lasciarmi ai medici. Anzi, di più: già nelle condizioni in cui mi trovavo, e dunque capace di decidere come ero, mi continuavo a ripetere che sarei morto. E dunque, mi dicevo, sarebbe stato molto meglio subito. Senza più tutta quella sofferenza». Insomma, ha sperato di morire? «Ci sono casi in cui la morte sembra meglio del dolore, tutto sembra meglio del dolore. E io questo l'ho capito molto bene. Però, è vero che in alcuni casi, se si resiste, poi tutto ricomincia».
È quello che è successo a lei. «Appunto». Ministro, è favorevole al testamento biologico? Ciascuno deve essere libero di decidere come finire i propri giorni? «Non lo so, è una legge difficile da fare e io non saprei come possa esser fatta. Bisognerebbe stabilire con certezza la volontà della persona». Non è quanto accade anche con i testamenti tradizionali? «No, per niente. È completamente diverso. Qui non si tratta di trasmettere dei beni, si tratta di rinunciare alla vita. Per prima cosa, una cosa del genere non dovrebbe essere fatta quando una persona è già malata. Perché lì la volontà è già deviata, dal dolore e ancor di più dalla paura. Mentre se lo si fa quando si sta bene, molto spesso è per motivi ideologici. Uno viene convinto dai mass media. Dai fetentoni come lei. Quando poi però ci si trova di fronte alla cosa davvero...». Si può sempre cambiare idea. «Si può quando si può. In questo campo, non è sempre così. Anzi. E comunque, fare una legge con queste incertezze... già i casini vengon fuori quando si parte da basi certe». Però, alla fine chi altri dovrebbe decidere? «Nessuno. È la persona che dovrebbe decidere, nessun altro. Di certo, non i magistrati. E, io penso che neanche lo Stato possa entrare in certi campi».
E allora come se ne esce? «Non lo so. Non c'è una risposta. Per questo credo che il testamento biologico, alla fine, non si farà. Io una legge non la farei». C'è chi dice: se il Vaticano non fosse in Italia, questo problema non esisterebbe. Secondo lei, in Italia la Chiesa conta troppo? «I credenti sono tanti, molto più di quelli che vanno abitualmente a Messa. È una cosa dentro moltissime persone, un pezzo di loro a cui magari non pensano tanto, ma c'è. Da questo punto di vista, non credo che la Chiesa conti troppo». Quindi, i frequenti appelli dei vescovi non la scandalizzano. «Scandalizzarmi, no. Però io penso che la Chiesa debba essere povera. Debba restare povera. Non deve impicciarsi di potere, meglio che pensi agli altari. Il potere deve essere laico». Lei ha pregato durante la sua malattia? «Sì, qualche volta. Un po'. È iniziato con questo prete che c'era in ospedale. Un giorno, mi ha tirato dentro alla cappelletta. Trovarmi là, mi ha fatto scattare qualcosa nella memoria. Più che un ricordo, una sensazione. Quella di quando da bambino pregavo con la speranza nella preghiera». Ministro, molte domande rimangono senza risposta. «Speriamo che ci pensi Gesù Cristo. Chi ha la fede, ha una delle fortune più grandi ». Marco Cremonesi Corriere del 21/11/08