Renzo Gubert sull'accusa di razzismo.
Di Rassegna Stampa (del 26/10/2008 @ 10:00:19, in Politica Trentina, linkato 1518 volte)

Uno dei temi ricorrenti di questa campagna elettorale è l’accusa di propensioni al razzismo rivolta allo schieramento di centro-destra e al suo candidato presidente Divina. Si tratta di una risposta del centro-sinistra e dei suoi sostenitori alla crisi di credibilità di Dellai a seguito di Grisentopoli. Ricordo un’analoga campagna contro alcune mie affermazioni fatte, qualche settimana prima delle elezioni del 2001, iniziata proprio da l’Adige, in un convegno a Borgo sul multiculturalismo.

Da sociologo che ho studiato da una vita identità e appartenenze, mi risulta difficile accettare l’impostazione adottata, che affronta il problema dell’etnocentrismo, del pregiudizio etnico, razziale, o religioso considerando questi frutto di una cultura che istiga all’odio del diverso, una cultura che sarebbe tipica della destra, sulla quale deve cadere un giudizio morale fortemente negativo. Tale impostazione non è accettabile perché non coglie le cause del pregiudizio. E se non se ne colgono le cause, pensando solo che si tratti di cattiveria degli uomini di centro-destra, non si possono neppure approntare rimedi efficaci. Qualche causa risulta evidente: la prima è la clandestinità dell’immigrazione. In casa d’altri si entra chiedendo il permesso. I clandestini entrano in casa senza chiederlo. Se chi è preposto al controllo dei flussi di persone attraverso i confini non lo fa, anzi è convinto che chiunque, se povero, ha diritto ad entrare nella nostra società ricca, si assume la responsabilità di alimentare una reazione negativa da parte dei concittadini. In casa d’altri si entra chiedendo il permesso e ci si comporta bene. Non si può dire che molti immigrati, specie clandestini, siano nel complesso apprezzati per la correttezza dei loro comportamenti.

La quota di carcerati stranieri in Italia è enormemente maggiore della quota di stranieri tra la popolazione. Ovvio che andrebbero rafforzati i controlli, i filtri; solo chi ha un posto di lavoro vero e un’abitazione, che dovrebbe essere garantita da chi richiede il lavoratore immigrato, non è portato a delinquere. Ma se una parte rilevante della classe dirigente di una società ritiene che l’aumento impressionante di delinquenza legato all’immigrazione clandestina sia tutto sommato normale e sopportabile (forse perché da tale delinquenza non è colpita), che non si possa neppure espellere i delinquenti colti in flagrante (e in attesa dei lunghi tempi dei processi sono in libertà e continuano a delinquere), le reazioni ostili da parte della popolazione di ceto basso, la più colpita, non sono certo imputabili ai politici che ascoltano le ragioni di tale popolazione, ma proprio ai ceti politici che tutto tollerano in nome dell’apertura ai “diversi”. Ma non ci sono solo clandestinità e alto tasso relativo di delinquenza; le politiche sociali, in nome della non discriminazione, non fanno generalmente differenze fra popolazione locale e immigrati, neppure se clandestini. Accade così che la popolazione locale si vede sopravanzare nelle graduatorie da immigrati giunti da poco; ai locali si controlla con l’ICEF il patrimonio; non agli immigrati, che lo hanno fuori regione o fuori Italia. La quota di risorse per le politiche sociali della casa, del diritto allo studio, della salute, della famiglia, dell’assistenza vanno in modo accentuato agli immigrati. Se questi hanno famiglia all’estero (e la famiglia può contare altre mogli e altri parenti, e chi controlla?), ricevono anche per tali familiari gli assegni familiari. Per tali familiari all’estero i redditi non si cumulano, come invece per i locali. Per essi non si possono controllare i conti in banca, come per i locali. Per essi non si possono controllare le proprietà di case e terreni, come per i locali. Difficile pensare che in questa situazione il cittadino italiano non senta un forte senso di ingiustizia e non sviluppi sentimenti di ostilità verso gli immigrati, specie se clandestini. Di chi è la responsabilità di tali reazioni? Del politico che se ne fa carico, cercando di riequilibrare più giustamente le politiche sociali o del politico che si scandalizza se si parla di priorità da dare ai cittadini? Non bisogna, inoltre, dimenticare, che ad emigrare non sono sempre i più poveri, ma spesso i più intraprendenti. Caro Direttore, non è dando giudizi moralmente e politicamente negativi di chi esprime ostilità che si risolve il problema della crescita di pregiudizio etnico o razziale, né dandoli alle parti politiche che si fanno carico dei problemi; il razzismo, il pregiudizio, vanno contrastati sempre, ma per farlo efficacemente occorre rimuoverne le cause, pur entro un atteggiamento complessivo che non dimentica il valore della comune appartenenza di ognuno, qualsiasi sia la sua etnia, la sua razza, la sua religione, all’unica, grande famiglia umana. Cordiali saluti Renzo Gubert