Rossa puttana di Babilonia
Di Angela Pellicciari (del 07/05/2008 @ 10:07:25, in Storia del Risorgimento, linkato 1956 volte)

Da Lutero in poi una valanga di accuse e calunnie è violentemente scagliata contro la chiesa di Roma, definita dall’ex monaco agostiniano “rossa puttana di Babilonia”. Particolarmente infamante, e ricorrente, è l’accusa di ridurre i fedeli ad un miserevole stato di semischiavitù costret

ti come sono ad una cieca obbedienza al dettato del Magistero. Quello della supposta obbedienza cieca -e quindi schiava- dei cattolici è un cavallo di battaglia particolarmente efficace che trova il suo vertice nelle accuse lanciate da Kant in Che cos’è l’Illuminismo. Il Regno di Sardegna condivide la valutazione protestante. I deputati del parlamento subalpino si producono reiteratamente in una serie di violenti attacchi contro i voti religiosi: povertà, castità ed obbedienza sono pubblicamente irrisi ed additati al pubblico disprezzo. Di gran lunga il più bersagliato dei tre è il voto dell’obbedienza. A ben guardare non è un caso: fino a che i cattolici restano ancorati all’obbedienza al papa, per i liberali non c’è speranza di far breccia nelle loro coscienze. Qualche esempio mostra con chiarezza quanto la vulgata protestante abbia fatto breccia nel cuore dei “cattolici” parlamentari sardi: «Quando si entra per sempre in un convento - afferma il deputato Chenal -, disponendo irrevocabilmente del proprio avvenire, si vende la propria libertà a favore del superiore del monastero; e questo è un atto contrario alla moralità divina e umana».

L’ex prete Giuseppe Robecchi rincara la dose: «Ritornare all’ubbidienza passiva, alla subordinazione incondizionata, all’associazione obbligatoria, votiva, perpetua, oggi? Oh no! è idea questa che non può venire in mente a nessuno che sia sano di mente». I liberali che condannano l’obbedienza cattolica con parole di fuoco, ammettono come normale, anzi dovuta, l’obbedienza all’interno delle conventicole massoniche di cui fanno parte. Due pesi, due misure. Per rendercene conto citiamo un testo del Venerabile Jean Marie Ragon la cui testimonianza è particolarmente autorevole essendo espressione ufficiale del Grande Oriente di Francia. Nel Corso filosofico scritto nel 1853 Ragon cita il Dodecalogo massonico: «Bisogna obbedire al capo [...] Che l’uomo, nel suo proprio stato, sappia lavorare, obbedire e rispondere». Perché si deve obbedienza al capo? Perché il capo -scrive Ragon- è colui che sa. Colui che ha la luce. Colui che conosce la «quadratura del cerchio», come recita il catechismo del maestro perfetto. Tutta l’organizzazione massonica d'altronde ruota intorno alla mistica dell’obbedienza al capo. I «fratelli» ritengono che solo l’ordine possieda per intero la verità e che questa sia perfettamente conosciuta solo da chi lo guida: affinché i principi massonici trionfino e riescano a permeare, illuminandola, l’opacità delle masse, è assolutamente necessaria una perfetta obbedienza ai capi. È quanto chiaramente esprime il manifesto della Gran Loggia di Germania pubblicato nel 1794.

Nel testo si legge: «Il mondo non è ancora abbastanza forte per sopportare la rivelazione del segreto massonico». Da questa constatazione la Gran Loggia ricava una paterna esortazione alla sottomissione filiale: «Figli, permetteteci di trattarvi come figli; come genitori prudenti che si guardano dal comunicare alcuni segreti ai figli cui hanno dato la vita, così noi ci comportiamo con voi». All’interno della Massoneria l’obbedienza è strettamente collegata al segreto cui è rigidamente vincolato, con giuramento solenne, ogni membro dell’ordine «sotto pena d’aver tagliata la gola, strappata la lingua, il mio corpo fatto cadavere in pezzi indi bruciato e le ceneri sparse al vento». Quale la differenza con l’obbedienza cattolica? Ragon pensa che i cattolici obbediscano ciecamente, mentre i massoni volontariamente: «La libertà dei massoni è l’obbedienza ragionata opposta all’obbedienza passiva, segno di schiavitù».

Il parere della «Civiltà Cattolica» è diverso. Nel 1852 la rivista dei gesuiti scrive: si parla molto «contro l’ubbidienza cieca dei religiosi. Ma codesta ubbidienza nella sua cecità è piena d’intendimento e di luce. I Religiosi conoscono appieno il fine del proprio Istituto, ne conoscono i mezzi, conoscono le persone tutte da cui dipendono. L’annegazione del proprio giudizio, che si trova nella loro obbedienza, riguarda solo ciò ch’è meramente individuale [...] Niente di tutto ciò si avvera nell’obbedienza cieca prescritta al settario». L’affiliato ad una società segreta «appartiene a una corporazione di cui non conosce né i capi né i membri; il fine o gli è ignoto o gli è proposto in maniera vaga e indeterminata; si obbliga a seguire ed accettare qualunque sorta di mezzi che gli vengano imposti dal potere misterioso che lo governa; tutto dee riputare come santo e legittimo, anche l’omicidio, e tenersi pronto a tutto ciò che l’associazione richiede da lui. Insomma la sua cecità è perfetta. Egli ha chiusi gli occhi della ragione interamente alla luce del vero e del bene obbiettivo, per farsi muovere e manodurre qual inerte strumento da un’altra ragione individuale che imperi a nome proprio».