Metafisica del crimine passionale (Gustave Thibon)
Di Rassegna Stampa (del 26/12/2007 @ 12:06:08, in Attualità, linkato 1142 volte)
"I rotocalchi sono generosi, ogni settimana, di un ampio pascolo di crimini o di suicidi «passionali». I particolari non mi interessano: non manca mai, invariabilmente, la solita mescolanza di fango e di sangue. Cerco invece di rendermi conto delle tendenze profonde dell’essere umano, di cui quegli atti assurdi e mostruosi sono la degradata proiezione. Sappiamo già – è, questo, un tema familiare ai pensatori moderni – che le grandi aberrazioni della nostra epoca derivano dalla deviazione di idee e di energie specificamente religiose. Così i sogni politici di conquista e di dominazione universale appaiono come la caricatura dell’appello divino all’unità (non ci sarà che un solo gregge ed un solo Pastore…), la sete di livellamento riproduce a modo suo il principio dell’eguaglianza delle anime di fronte a Dio, il mito della «Città del futuro» e del «domani che canta» riporta sulla terra la nostra attesa della beatitudine e del Paradiso, ecc. Tutte queste utopie sono come l’aborto nel tempo di una aspirazione fatta per effondersi nell’eternità.
Quale è dunque l’istinto religioso, la cui corruzione fornisce al crimine passionale il suo nucleo metafisico? Ecco, è il sentimento – per quanto confuso, per quanto prostituito lo si voglia all’egoismo, alla violenza od alla follia – che l’amore domina il cambiamento e la morte, che non è, per dirla con Shakespeare, «il buffone del tempo». Nietzsche ha scritto una frase che illumina il fondo spirituale del problema: «Ogni grande amore suscita l’idea crudele di distruggere l’oggetto dell’amore stesso per sottrarlo una volta per tutte al gioco sacrilego del mutamento, dal momento che l’amore teme il mutamento più della distruzione». Teme il mutamento più della distruzione perché si sente fatto per l’eternità e si rende conto, coscientemente o no, che la distruzione è la porta dell’eternità. Questo presentimento istintivo sta alla base di tutti i giuramenti degli amanti (piuttosto morire che tradire), di tutti i voti dei poeti (l’invocazione: «Tempo, arresta il tuo volo» è una invocazione alla morte che sola può arrestare il corso del tempo), e lo si ritrova ancora, sotto il suo aspetto più degradato e clamoroso, nel delitto dell’amante geloso che distrugge l’avvenire del suo idolo: «L’amavo troppo, l’ho uccisa!».
Ma, in fondo, che cosa prova questo bisogno di sottrarre l’amore al mutamento – bisogno che può andare, nei casi estremi, fino all’assassinio e al suicidio – se non che l’uomo è fatto per un amore eterno, cioè per Dio e che, d’altra parte, egli si inganna sulla natura di questo amore dandogli per misura e per limite la propria passione divinizzata ed un effimero momento eretto in assoluto? L’aborto dell’eterno nel temporale, il sogno impuro del paradiso che esplode in inferno al contatto brutale della terra si verificano una volta di più nel fango sanguinolento del crimine.
Dio solo ha il diritto di scegliere l’ora in cui la distruzione, cioè l’ingresso nell’eternità, è preferibile al mutamento. L’uomo che desidera la distruzione dell’essere amato usurpa il posto e la funzione di Dio. Egli dice implicitamente all’oggetto del suo amore: «L’ora in cui ti sei dato a me era la più vera della tua esistenza; io sono il centro ed il limite del tuo destino; al di fuori della nostra unione non puoi che smarrirti; il tempo si ferma a me, e, piuttosto che essere assente dal tuo avvenire, preferisco chiudere il tuo passato sull’eternità».
Il conflitto tra la vocazione divina ed il peccato dell’uomo scoppia in questo sentimento mostruoso. L’uomo è un animale ad un tempo religioso ed in rivolta, più religioso anzi che in rivolta, dal momento che resta religioso anche nella sua rivolta. Non può abolire lo slancio che lo trascina, al di là del tempo, verso l’infinito e l’immutabile: non può – ed è il peccato di idolatria – che mutarne la direzione, rivolgerlo verso se stesso. Ed anche colui che, per amore, uccide o si suicida dimostra ancora, con questo attentato cieco e selvaggio contro il mutamento, che il suo amore è fidanzato con l’eternità. Il suo crimine è di sostituire con una violenza l’ora nuziale" (capitolo "Metafisica del crimine passionale" tratto dall'opera L’uomo maschera di Dio di Gustave Thibon [SEI, Torino 1971]).