No global contro i martiri spagnoli.
Di Paolo Zanlucchi (del 30/10/2007 @ 00:20:38, in Storia, linkato 1882 volte)

Domenica 28 ottobre 2007 sarà ricordata, soprattutto in Italia ed in Spagna, per due avvenimenti straordinari, legati indissolubilmente tra loro e che hanno contribuito, una volta di più, a screditare il mondo della galassia no global di fronte all’opinione pubblica e alla storia. A Roma, nella chiesa di Sant’Eugenio è stata celebrata la cerimonia di beatificazione di 498 martiri spagnoli caduti per mano dei repubblicani rossi nel corso della guerra civile. Un numero record di beatificazioni avvenute in un solo giorno, proprio nel momento in cui il governo spagnolo presieduto da Zapatero sta discutendo sull’introduzione della «legge della memoria», che, se approvata, altro non porterà che ad una condanna aprioristica e senza appello del periodo franchista. Una ferita aperta, quindi, quella lasciata dalla guerra civile spagnola e che sembra non doversi mai chiudere, soprattutto per la volontà della frange più estreme della sinistra internazionale ed italiana in particolare. Proprio durante e al termine della solenne celebrazione religiosa di Roma, un gruppo di no global ha innalzato cartelli e striscioni in cui si leggeva, tra le altre cose, “Viva la brigata internacional”, “Chi ha ucciso, torturato e sfruttato non può essere beato”; altri manifestanti hanno innalzato cartelloni con impresso il celebre quadro di Picasso “Guernica”, diventato il simbolo della resistenza repubblicana contro il dilagare del franchismo in Spagna. Ma i gruppi di contestatori no global nostrani hanno qualche ragione valida per opporsi alla beatificazione dei 498 martiri spagnoli? Iniziamo una breve analisi dei fatti, ricordando doverosamente che la maggior parte delle vittime beatificate, spesso giovanissime, furono sacerdoti, suore, frati, che subirono, prima di essere uccise, torture paragonabili al supplizio di Gesù Cristo e i cui corpi furono quindi lasciati alla mercè della soldataglia comunista per giorni prima di essere cosparsi di benzina e bruciati. Non credo di poter essere smentito se affermo che nessun altra guerra civile ha raggiunto gli apici di violenza e di odio ideologico paragonabili a quelli scatenatisi durante la guerra civile che insanguinò la Spagna tra il 1936 ed il 1939. Guerra ideologica certamente, supportata con grande dispendio di mezzi e uomini dalle grandi potenze totalitarie dell’epoca, Germania, Italia ed Unione Sovietica. La peculiarità di questa guerra risiede però nella volontà esplicita da parte delle forze repubblicane di eliminare forzatamente e definitivamente ogni traccia della gloriosa e radicata presenza cattolica nel mondo spagnolo; per portare a termine questo disegno mefistofelico si utilizzarono modalità talmente raccapriccianti che ancora oggi appaiono quasi incredibili: dati ufficiali parlano di 6834 vittime tra i religiosi spagnoli, tra cui ben 13 vescovi e 283 suore. Per non parlare dell’immenso patrimonio artistico distrutto dalla ferocia anticristiana dei comunisti, dei socialisti e degli anarchici, sia spagnoli sia membri delle brigate internazionali. Furono profanate chiese, fucilate statue del Cristo, di Santi, della Vergine Maria, messi al rogo migliaia di libri e testi sacri o a carattere religioso. Per essere seviziato ed ucciso bastava portare addosso, al collo o in tasca un’immagine sacra: ci sono giunte testimonianze di crocifissioni messe in atto contro persone sospettate di vicinanza alla chiesa cattolica. Non ne erano più state eseguite dai tempi delle grandi persecuzioni dell’Impero Romano. Molti cadaveri non furono mai ritrovati.

Un odio cieco e spietato che non si può spiegare solo attraverso un’analisi politica dei fatti, in una lotta contro il “fascismo” come per tanti anni abbiamo sentito ripetere dalla maggior parte della storiografia italiana. Per decenni abbiamo assistito ad una divisione manichea della storia, dove tutti i buoni stavano da una parte, in questo caso i “rossi”, ai quali si perdonava tutto in quanto portatori della giusta causa; se poi si massacravano anche migliaia di religiosi inermi, si faceva finta di non sapere oppure si cercavano giustificazioni banali, indicandoli come fiancheggiatori, se non complici del franchismo. A distanza di tanti anni dalla fine della guerra, a 32 anni dalla morte del “Caudillo” Franco e , soprattutto, dopo l’implosione dei regimi comunisti dell’est, si sperava di poter discutere e valutare le terribili vicende della guerra civile spagnola con il distacco dello storico, obiettivamente e senza partigianeria di giudizio: evidentemente per buona parte dell’universo legato alla sinistra il tempo si è fermato. Mi spiace (quasi) che i no global romani non abbiano pensato di utilizzare meglio il loro tempo per studiare ed approfondire quelle vicende invece di preparare striscioni grondanti del sangue dei martiri spagnoli. Avrebbero forse scoperto che l’accusa periodicamente mossa ai religiosi spagnoli di essere una sorta di “quinta colonna” franchista e che proprio per questa ragione furono uccisi, anzi, “giustiziati”, è infondata alla radice: l’odio anticristiano delle milizie comuniste, socialiste, senza dimenticare il supporto degli ambienti repubblicani e massoni, iniziò già nel 1931, con l’approvazione di una Costituzione “laica”, ma forse si potrebbe già definire laicista; l’anno seguente si vietò l’esposizione di ogni simbolo religioso dalle scuole, l’insegnamento della religione in tutte le scuole di ogni ordine e grado e si promulgò una legge che introduceva il divorzio. Nel 1933 si introdusse una legge che sottoponeva il culto cattolico al controllo dell’autorità civile. Nel 1934 si cominciano a contare le prime esecuzioni di religiosi e di cattolici laici durante la rivolta delle Asturie. Un martirio vero e proprio legato alla devozione e non al credo politico come ancora sostengono i militanti dei centri sociali romani, fermi su posizioni ideologiche preconcette ormai superate dall’evolversi stessa della storia. Come ben ha ricordato Papa Ratzinger al termine dell’Angelus del 28 ottobre “I martiri uccisi in Spagna sono uomini e donne diversi per età, vocazione e condizione sociale, che hanno pagato con la vita la loro fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa”.