Come nacque l'anatomia (nel Medioevo, in italia)
Di Francesco Agnoli (del 01/11/2011 @ 09:54:56, in Scienza, linkato 3522 volte)

La storia della nascita dell’anatomia ci interessa qui per due motivi: da una parte è la dimostrazione di come accanto alla Caritas, incidesse, nella cultura italiana del Medioevo, la concezione di Dio come Logos; in secondo luogo è esemplare e paradigmatica nella storia della scienza moderna.  

I primi esperimenti di anatomia nascono in Grecia: laddove si è colto, filosoficamente, l’ordine, il cosmo esistente nell’universo, armonia, razionalità e bellezza del corpo umano spingono alcune grandi personalità, tra cui quella di Galeno, a sezionare scimmie e maiali per motivi scientifici. In principio ci sono lo stupore e l’atto di fede dell’uomo greco: la realtà si presenta comprensibile all’uomo, logica, non caotica e oscura.

Ma nonostante i contributi del pensiero greco, l’anatomia moderna nascerà molto più avanti, nell’Europa cristiana, o, ancora meglio, nel cuore della Cristianità: l’Italia. È qui che sorgono le prime università, e la dissezione dei cadaveri avviene già nel XIII secolo, prima per “l’esame autoptico del corpo di chi era morto in circostanze dubbie” e poi a scopo didattico, per conoscere meglio gli organi e l’architettura del corpo umano.

 

 

 

La prima sede di questa innovazione è Bologna, città pontificia in cui sorge una delle tante università collegate piuttosto strettamente alla Chiesa. Il trattato più importante di anatomia medievale, dopo il testo di chirurgia del chierico Guglielmo da Saliceto (1270), nato probabilmente anche dall’osservazione diretta di corpi dissezionati, è l’Anathomia Mundini del 1316, di Mondino dei Liuzzi (nella foto). In essa l’autore si rifà alla scuola di Galeno, sottolinea la superiorità dell’uomo rispetto agli altri animali, e dimostra una conoscenza diretta della dissezione, spiegando “passo passo come si debbano sollevare e distaccare gli organi l’uno dall’altro per non rompere legamenti e vene, e dopo aver descritte le parti ne tratta la funzione nell’organismo e le relative malattie”[1]. 

 

Al testo di Mondino, fondamentale per molti anni, ne seguono altri: quello di Girolamo Manfredi; l’Anatomia di Gabriele Zerbi, colui che getta le basi dell’anatomia comparata, insegnante di anatomia a Roma tra il 1480 e il 1486, durante il pontificato di Innocenzo VIII; l’Anatomice di Alessandro Benedetti, fondatore della scuola anatomica di Padova; sino all’opera fondamentale di Andrea Vesalius, De humani corporis fabrica, pubblicata nel 1543, cioè lo stesso anno del De revolutionibus orbium coelestium di Copernico.

Vesalius era un fiammingo che studiò e lavorò in Italia, precisamente all’Università di Padova. Nella sua opera constatò che Galeno compì più di duecento errori, e dichiarò di averli potuti rilevare grazie all’ampia possibilità goduta di sezionare cadaveri; condizione che egli trovò solo in Italia, non nel resto d’Europa.

Possibilità, dunque, che non era così scontata. Infatti Vesalius, come altri anatomisti, si trovò da una parte di fronte all’“ostilità sorda della popolazione”, che non gradisce, anche comprensibilmente, che sui cadaveri vengano compiuti esperimenti dissacranti, dall’altra l’opposizione molto dura di parecchi colleghi scienziati, “quei medici che non vedevano alcuna connessione tra l’indagine anatomica e la capacità di curare i malati”, e, soprattutto, dei “galenisti osservanti”.  

 Tra costoro, in particolare, si segnala Jacobus Sylvius, che insieme ad altri seguaci di Galeno, cercò di attaccare la reputazione di Vesalius presso l’imperatore, accusando gli anatomisti come lui di praticare un’arte sacrilega. Carlo V, che darà invece al fiammingo grande fiducia, interrogò i teologi dell’Università di Salamanca, i quali risposero dichiarando l’utilità e la giustezza della pratica delle dissezioni.

La posizione dei galenisti, avversi alla nuova anatomia, non era però isolata. Per il medico Leonardo Fioravanti, ad esempio, “gli anatomisti erano alla prova dei fatti dei pessimi medici” e l’anatomia “era un’arte crudele, che educava a trattare gli uomini come ‘brasuole di porco’”, oltre a non essere attendibile, “perché il corpo si trasformava nel passaggio dalla vita alla morte”. Del resto Galeno non aveva mai sezionato corpi umani e “l’inattendibilità in assoluto dell’anatomia dei morti era già stata adombrata da Aristotele (De partibus animalium, 640b-641a) e da Celso (proemio al De medicina)”, entrambi intellettuali pagani, e poi ripresa dal rinascimentale Paracelso.

"Questa critica – ricorda Giovanna Ferrari – era rinforzata dal disgusto di origine umanistica per la ‘theatrica carneficina’ degli anatomisti, argomento che nella linea di Francesco Petrarca venne ripreso da Coluccio Salutati” e dal mago Cornelio Agrippa di Nettesheim.

All’origine dell’anatomia moderna succede, cioè, qualcosa di molto simile a quello che avverrà pochi anni dopo all’origine dell’astronomia, quando la vera scoperta di Galilei – che non sarà la dimostrazione della teoria copernicana, molto posteriore, ma la prova dell’unità tra fisica celeste e fisica terrestre con la scoperta degli avvallamenti lunari e delle macchie solari –, troverà, com’era inevitabile, degli avversari, e tra questi soprattutto i colleghi universitari di Galilei, gli scienziati dell’epoca, che non potranno accettare di archiviare Aristotele e Tolomeo, i due grandi autori pagani il cui sistema cosmologico aveva dominato sino ad allora[2].

Come Galileo dovette sbarazzarsi dell’ipse dixit di Aristotele, e dei suoi seguaci rinascimentali, così Vesalius si trovò a contraddire ripetutamente Galeno, non senza che questo determini violente levate di scudi da parte dei medici e degli accademici che lo consideravano indiscutibile, in nome dell’“autorità degli antichi”. Come Vesalius dovette combattere con molti colleghi affinché tra il testo di Galeno e l’osservazione diretta si dia la precedenza a quest’ultima, così Galilei si trovò a lottare non con i Gesuiti, che anzi lo ascoltarono e riconobbero, unici a farlo, le scoperte fondamentali del Sidereus nuncius, ma con i seguaci dell’astrologia e gli aristotelici come il Cremonini, che non vollero guardare nel cannocchiale per non dover smentire le loro credenze pagane e il verbo di Aristotele[3].

 

Quale fu in tutto ciò la posizione della Chiesa? Basterebbe ragionare, per comprendere che non poteva essere contraria: se lo fosse stata, con l’autorità morale che esercitava nel Medioevo, in particolare sulle università, non avrebbe mai permesso la nascita dell’anatomia. Né essa sarebbe sorta proprio in Italia, cuore del papato e della Cristianità, e non, ad esempio, in Germania o in Inghilterra, dove “l’insegnamento dell’anatomia sui cadaveri umani rimase eccezionale almeno fino alla metà del Cinquecento”[4].

Basterebbe ragionare, per comprendere che non poteva essere contraria: se lo fosse stata, con l’autorità morale che esercitava nel Medioevo, in particolare sulle università, non avrebbe mai permesso la nascita dell’anatomia. Né essa sarebbe sorta proprio in Italia, cuore del papato e della Cristianità, e non, ad esempio, in Germania o in Inghilterra, dove “l’insegnamento dell’anatomia sui cadaveri umani rimase eccezionale almeno fino alla metà del Cinquecento.La bolla che viene spesso citata da alcuni polemisti intenti a presentare la Chiesa come nemica dell’anatomia, è la De sepulturis (nota anche come Detestandae feritatis) del 1299, in cui il pontefice si scagliava contro la “feroce” consuetudine, utilizzata ad esempio per il Barbarossa o per Luigi IX, di “sottoporre le salme dei più alti personaggi morti lontano dalle proprie regioni a procedimenti speciali e principalmente all’ebollizione, per separarne le parti molli dallo scheletro, che più agevolmente poteva così essere riportato in patria”.

Basterebbe ragionare, per comprendere che non poteva essere contraria: se lo fosse stata, con l’autorità morale che esercitava nel Medioevo, in particolare sulle università, non avrebbe mai permesso la nascita dell’anatomia. Né essa sarebbe sorta proprio in Italia, cuore del papato e della Cristianità, e non, ad esempio, in Germania o in Inghilterra, dove “l’insegnamento dell’anatomia sui cadaveri umani rimase eccezionale almeno fino alla metà del Cinquecento.

Nella bolla infatti venivano colpiti da scomunica solo coloro che bollivano i corpi “ut ossa, a carnibus separata, ferant sepelienda in terram suam”, mentre “non c’è il minimo accenno, neppure indiretto, alla dissezione anatomica a scopo di studio, né avrebbe potuto esserci, dato che le prime regolari incisioni di cadaveri umani con tale intendimento ebbero luogo circa tre lustri dopo in Bologna per opera di Mondino”[5].

Vero è che il divieto di bollire le ossa per scarnificarle, pur non essendo per nulla connesso con l’anatomia, fu talora rispettato da scrupolosi anatomisti credenti, come il Mondino, benché evidentemente non fosse rivolto a loro; che talora fu equivocato e che alcuni ne dettero interpretazioni estensive. Ma ciò non frenò certamente gli studi anatomici e molti anatomisti italiani, anche devoti come il Benedetti, o come il celebre chierico Guy De Chauliac – discepolo di Mondino e archiatra di Papa Clemente VI, che lo incaricò nel 1340 di fare autopsie sui cadaveri per capire qualcosa di più sulla peste –, lo “violarono” tranquillamente, certo avendone compreso il senso vero e il contesto.

Si ricordi inoltre che ben prima del capolavoro di Vesalius, Papa Sisto IV nella De cadaverum sectione (1472) dichiarava l’anatomia come “utile alla pratica medica e artistica”, risolvendo le interpretazioni ambigue fatte del documento papale di Bonifacio, mentre nel Settecento Benedetto XIV avrebbe fornito un grande contributo alla ceroplastica, invitando l’artista Ercole Lelli, in alleanza con l’Università di Bologna, a produrre cere anatomiche a scopo didattico per supplire alla carenza di cadaveri necessari per lo studio.

Ciò non toglie che la Chiesa talora intervenne, ma per limitare gli abusi. Bisogna infatti ricordare che non sempre gli anatomisti ebbero un comportamento impeccabile. Mentre infatti i vari statuti cittadini e universitari, con il consenso ecclesiastico, prevedevano regole molto precise per il prelievo dei corpi da sezionare, concedendo per lo più cadaveri di condannati a morte o di forestieri, perché la mancanza di rispetto del defunto fosse ridotta al minimo, non mancarono alcuni che cercarono di sezionare, come ricorda la Ferrari, “al di là delle occasioni codificate dagli statuti”.

In particolare lo stesso Vesalius fu condannato “per aver aperto il corpo di un uomo ancora vivo”, e analogamente un suo successore nella cattedra di anatomia di Padova, Gabriele Fallopio, “non avrebbe esitato a realizzare esperimenti sui vivi assumendo un ruolo più da boia che da sanitario[6].

Trafugamenti di cadaveri, sezionamento di persone vive, abusi vari – che sarebbero culminati nell’Ottocento in uno scandalo di risonanza europea, l’acquisto da parte del celebre Robert Knox dei cadaveri di due individui appositamente uccisi da malfattori – furono dunque giustamente combattuti, a quei tempi, senza che nessuno avesse il coraggio di chiamare in causa una illimitata “libertà di ricerca scientifica”, come fanno oggi, i sezionatori (e uccisori) di embrioni o di feti, o i clonatori, per ora invano, di esseri umani.

Abbiamo ad esempio gli atti di un processo tenuto a Bologna nel 1319, allorché quattro studenti trafugarono un cadavere di un impiccato per consegnarlo a tale maestro Alberto, per la dissezione. Il processo si concluse con la condanna degli studenti, per trafugamento, ma la dissezione non fu imputata come colpa a Mastro Alberto, a dimostrazione del fatto che non era considerata illegale[7].

La lettura di molti dei primi trattati di anatomia, inoltre, ci rivela che gli stessi anatomisti erano rispettosi credenti che mettevano in luce “il valore filosofico e quasi teologico dell’anatomia” e ammiravano nel corpo “il tempio di Dio”.

Nell’anatomia, scriveva ad esempio Alessandro Benedetti nel 1502, nel suo Anatomice, sive historia corporis umani, stimatissimo dal Vesalius, “scorgiamo la mirabile, divina opera di Dio Creatore, il corpo, che secondo Platone è come il veicolo temporaneo dell’anima”. Continuava invitando alla contemplazione della “potenza creatrice di Dio” e nel contempo della “caducità” umana[8].

Analogamente Niccolò Stenone – ottimo anatomista, che sarebbe divenuto il padre della geologia, e poi, da protestante che era, vescovo cattolico –, nel 1637, prima di iniziare la dissezione del cadavere di una donna giustiziata, scriveva sul suo diario: “Questo è il vero scopo dell’anatomia, che attraverso l’ingegnosa struttura del corpo l’osservatore sia tratto ad afferrare la dignità dell’anima e di conseguenza attraverso i miracoli del corpo e dell’anima impari a conoscere e amare il Creatore […] la vera anatomia è la via lungo la quale Dio per mano dell’anatomista ci porta alla conoscenza prima del corpo animale, poi della Sua natura[9]

Dopo Vesalius, inoltre, molti dei più importanti fondatori della scienza anatomica moderna avrebbero trovato onori, protezione e accoglienza presso vari pontefici: tra questi Realdo Colombo, che succedette a Vesalius sulla cattedra di Anatomia di Padova, prima di insegnare presso l’Università pontificia La Sapienza, dal 1551 al 1555, e Bartolomeo Eustachi, laureato in medicina a Roma, protomedico pontificio e docente di anatomia sempre a La Sapienza dal 1555 al 1567.

L’Eustachi – che fu il primo a descrivere con esattezza il dorso toracico, che distinse la valvola della vena coronaria del cuore e scoprì il terzo osso dell’orecchio interno e le ghiandole chiamate reni succenturiati – dissezionava cadaveri provenienti dagli ospedali religiosi romani di Santo Spirito e della Consolazione.

Proprio Roma, la città più ricca di ospedali al mondo, e che poteva vantare anche quelli più antichi, fu insieme a Bologna e Padova la capitale della rinascita dell’anatomia. Vi avrebbero lavorato anche medici e anatomisti celeberrimi, entrambi nominati archiatri pontifici, come Giovanni Maria Lancisi, a cui nel 1685 sarà assegnata la Cattedra di Anatomia a La Sapienza, che lasciò tutti i beni guadagnati da medico ai poveri, e il grandissimo Marcello Malpighi, scopritore del capillari sanguigni, morto proprio a Roma nel 1694.

Giustamente, nota ancora la Ferrari, rifacendosi ai lavori di R.K. French e A. Cunningham: “Secondo studi recenti la presentazione del corpo umano come meravigliosa opera del Creatore, che la lezione di anatomia permetteva di apprezzare e glorificare, sarebbe stata promossa da settori ecclesiastici per rafforzare la Chiesa attraverso una filosofia naturale centrata sui principi cristiani. Un clamoroso rovesciamento di prospettiva, rispetto alla vecchia tesi di una Chiesa oscurantista nemica dello studio anatomico, che ha il merito di spiegare come mai proprio al centro della cristianità si sia potuto per secoli dissezionare più che in qualsiasi altro paese d’Europa”, e quindi del mondo[10].

Ma proprio questo dato di fatto, che in Italia e in Europa si dissezionasse e in tutto il mondo no, porta ad un’altra domanda essenziale, che però viene solitamente elusa: perché?

La risposta mi sembra stia nella storia delle religioni. Che si studi il mondo greco, romano, etrusco antico, oppure il mondo germanico, la civiltà africana, o quella cinese, molto spesso si scorge una credenza comune: che il cadavere vada opportunamente sepolto, con i riti adeguati, pena l’impossibilità del morto di trovare pace, di scendere nel regno dei morti. Pena la possibilità che il morto, nella forma di vampiro, di zombie, si arresti nell’aldiquà, vaghi nel regno dei vivi, gettando panico e morte, a causa appunto della mancata sepoltura.

Queste convinzioni, scomparse o quantomeno molto affievolite in Europa con l’avvento del  cristianesimo, sono ancora vive, sotto svariate forme, in gran parte dell’Asia e dell’Africa odierne. Possiamo comprendere qualcosa di questa mentalità, citando quanto raccontato dal celebre giornalista Tiziano Terzani, durante un suo viaggio a Bangkok: “Secondo la credenza della gente, lo spirito di una persona che muore violentemente non riposa in pace. Se poi, nell’attimo della morte, il corpo viene mutilato, decapitato, schiacciato o fatto a pezzi, quello spirito allora diventa particolarmente inquieto e, a meno che non vengano effettuati, presto, i riti necessari, va a unirsi all’enorme esercito di ‘spiriti vaganti’ che, con i cattivi pii [altri spiriti, N.d.R] costituisce appunto uno dei grandi problemi della Bangkok di oggi. Di qui l’importanza degli ‘acchiappamorti’, i volontari delle associazioni buddhiste che vanno in giro per la città a raccogliere tutti i morti di morte violenta per rimettere insieme i loro pezzi e officiare i riti del caso, affinché le loro anime se ne vadano in pace e non restino in giro a fare brutti scherzi ai vivi[11].

Un analogo modo di ragionare è presente anche nel mondo indiano. Dominique Lapierre racconta così la paura di un abitante della Calcutta degli anni ottanta del Novecento, cui era stato richiesto di vendere in anticipo il suo cadavere per ricerche anatomiche: “L’ex contadino era infatti tormentato dall’idea di non offendere le divinità. Perché l’anima potesse ‘trasmigrare’ dopo la morte in un altro involucro, la religione indù esigeva infatti che prima il corpo fosse distrutto e ridotto allo stato di cenere dal fuoco che tutto purifica. ‘Che ne sarà della mia anima se le mie ossa e la mia carne vengono fatte a pezzi da quei macellai invece di essere bruciate nelle fiamme di un rogo’, si preoccupava Hasari”[12].

Ebbene credenze analoghe a questa, molto diffuse nell’Europa pagana, non caratterizzano invece, se non per un qualche inevitabile e marginale permanere delle antiche superstizioni, l’Europa cristiana in cui l’anatomia nasce. Ricordiamolo: neppure Galeno, “anche per motivi religiosi”, dissezionava i morti[13], mentre, come scriverà Albert Haller, “Itali quidem primi corpora humana dissecuerunt”.

Torniamo a chiederci: perché “gli italiani per primi sezionarono i corpi umani”?

Per lo stesso motivo per cui celebri storici come A.C. Crombie, ad esempio nel suo Da Agostino a Galileo Galilei e molti altri storici della scienza, hanno saputo ritrovare le origini ideali della scienza moderna nel pensiero cristiano.

Prima di Galilei c’è il Genesi, e cioè l’idea che i pianeti siano creature, e non dèi, come invece nelle culture animiste. Prima di Galilei c’è Agostino, nel V secolo, quando ricorda ai suoi contemporanei che sono liberi, che non devono credere all’oroscopo, che i pianeti non sono divinità che decidono della vita degli uomini, ma creature materiali fatte da Dio. Prima che Galilei potesse puntare il cannocchiale verso la luna e il sole, c’era tutto un pensiero che aveva desacralizzato la luna e il sole, rendendo il gesto di Galilei, non più sacrilego (o meglio, sacrilego solo per gli aristotelici e i maghi).

Analogamente prima di Mondino e di Vesalius c’erano precise idee culturali, religiose. Anzitutto l’amore all’esperienza, alla pratica, alla dimensione operativa, che caratterizzò parte del pensiero cristiano medievale. Quell’amore che affondava le sue radici nel Dio fattosi carne; nella rivalutazione cristiana della materia, di contro allo gnosticismo e a tanta parte della speculazione greca e orientale; nell’opera dei monaci benedettini e nella loro cultura del lavoro manuale; nella cultura così concreta degli ospedali; nel francescanesimo, con la sua attenzione alle creature come vestigia del Creatore, che aveva partorito i primi studi di ottica, gli studi naturalistici dell’Università di Oxford, e le sperimentazioni già in parte “moderne” di Roberto Grossatesta.

In secondo luogo l’anatomia moderna origina anche, in qualche modo, da un’altra caratteristica propria del cristianesimo. Per molte religioni, infatti, come si è detto, la sepoltura del cadavere, ancora oggi, deve avvenire necessariamente e secondo un preciso rituale: altrimenti il morto non riesce a raggiungere l’aldilà, vaga nell’aldiquà, reclamando la sepoltura e persino perseguitando i vivi (sono i famosi zombie, o “morti viventi” ancora presenti nelle culture africane, haitiane).

Contro questa concezione, che avrebbe bloccato la nascita dell’anatomia anche in Europa, come avvenne in molti altri paesi del mondo, si schierò, tra gli altri, già sant’Agostino, nel suo De cura pro mortuis, allorché spiegava all’interlocutore Paolino che i cristiani devono avere “rispetto per i cadaveri”, ma che chi crede in Cristo non deve essere terrorizzato, come avviene nei pagani, se la sepoltura risulta impossibile per qualche motivo.

 

I cristiani, continuava il vescovo di Ippona rovesciando concezioni secolari, non devono temere per i martiri, i cui resti sono finiti nel ventre di una belva, o sono stati sparsi, in segno di disprezzo, ai quattro venti; non devono credere, come i pagani, che esista “una legge infernale [che] esclude le anime dei non sepolti”: “Per i cristiani lo scempio dei corpi e la non sepoltura non ha arrecato nessun vero danno. Però con particolare attenzione vediamo di approfondire se all’anima di un defunto arrechi qualche sollievo il luogo della sepoltura del suo corpo. E prima di tutto chiediamoci se alle anime degli uomini dopo questa vita possa esser motivo di sofferenza, o comunque di maggiore sofferenza, il fatto che i loro corpi non siano stati sepolti: e questo non secondo le idee che per un verso o per l’altro vanno in giro tra la gente, ma secondo i sacri testi della nostra religione. Non si può prestar fede infatti a quanto si legge in Virgilio Marone che a coloro che non sono stati sepolti non è concesso di percorrere e attraversare il fiume infernale, appunto perché ‘non è dato traghettarli tra gli orridi dirupi e il fragore dei flutti
prima che riposino le loro ossa nei sepolcri’ (Virgilio, Aen., 6, 327-328). Chi potrà indurre il cuore di un cristiano a credere a queste stravaganti fantasticherie poetiche?”
[14].

La storia dell’anatomia, in conclusione, è paradigmatica perché ci insegna innanzitutto l’origine cristiana della scienza moderna. Riguardo a ciò D. Jacquart nota giustamente che quando si sostiene questa verità storica si fatica ad uscire dalla “leggenda” nera di matrice illuminista del Medioevo: “Malgrado gli sforzi dei medievalisti per ristabilire i fatti, i fantasmi dei loro lettori hanno sovente la meglio sul desiderio di conoscere la realtà storica”. Per questo, continua lo studioso, molti amano “circondare di zolfo la pratica di aprire i cadaveri”, e si raffigurano i primi anatomisti medievali come assillati da “proibizioni” che non ci furono, ostacolati dalla Chiesa, la quale invece si occupava solamente di impedire “violazioni di tombe” e “furto di cadaveri”, mentre “le reticenze attribuite ai cristiani rimontavano a ben prima dell’installazione del potere ecclesiastico”, e cioè ad antiche credenze pagane sopravvissute nel popolo (ma non per questo disprezzabili con la superficialità tipica della saccenza post-illuminista)[15].

Ancora, la storia dell’anatomia insegna che l’autorità dei greci, se da un lato offrì uno spunto importante di partenza, dall’altro fu il freno più forte a ulteriori sviluppi (Galeno in parte rallentò l’anatomia, così come il sistema aristotelico tolemaico greco, oltre a fornire interessanti osservazioni, bloccò a lungo la nascita dell’astronomia moderna, a causa dei suoi pianeti animati, la divisione tra elementi e la quinta essenza, il dogma delle orbite circolari, ecc...); e che la visione teologica e religiosa di un popolo è ciò che anzitutto permette o ostacola certe nuove imprese dell’uomo.

In conclusione, la storia dell’anatomia ci ricorda che la scienza non è di per sé neutra, autonoma, cioè svincolata dalla morale, in quanto se è vero che l’anatomia è in sé buona, rimane illecito trafugare cadaveri o vivisezionare persone in nome del progresso scientifico. Un messaggio attuale per i dissezionatori di embrioni umani, per tutti i nuovi scienziati-stregoni alla Mengele, che lavorano alla clonazione e alla manipolazione dell’uomo.

 da: http://fedecultura.com/Case_di_Dio_e_ospedali_degli_uomini.aspx

 

 

 

 

 

 

 



[1] G. Ferrari, “Tra medicina e chirurgia: la rinascita dell’anatomia e la dissezione come spettacolo”, in Il Rinascimento Italiano e l’Europa: le scienze, vol. V, Angelo Colla, Vicenza, 2008, pp. 344-345.

[2] M. Camerota, Galileo Galilei e la cultura scientifica nell’età della Controriforma, Salerno Editore, Roma, 2004.

[3] M. Camerata, Galileo Galilei, vol. I, cap. IV e V, Mondadori, Milano, 2004.

[4] R. Porter, Breve ma veridica storia della medicina occidentale, Carrocci, Roma, 2004, p. 74.

[5] Enciclopedia Treccani, voce “Anatomia”; si veda anche lo studio citato della Ferrari: “Si voleva impedire la bollitura delle salme e l’estrazione degli scheletri, una consuetudine riservata ai corpi di personalità eminenti per permettere il trasporto da lontani luoghi di morte alla sepoltura, o a più sepolture per moltiplicare i luoghi di preghiera. Non vi si nominava l’anatomia a scopo di studio o insegnamento” (p. 343); come nota inoltre G. Cosmacini, La religiosità della medicina, pp. 45-49, il Papa vietava inoltre come “abominevole” che le ossa venissero strappate dalla carne per essere distribuite nelle chiese che avessero voluto serbarle “come reliquie”.

[6] G. Cosmacini, op. cit., pp. 50-51, ed Enciclopedia Treccani, voce “Anatomia”. Del resto si ricordi che per un brevissimo lasso di tempo, ad Alessandria d’Egitto, in età ellenistica, si erano verificate anche dissezioni su condannati a morte e schiavi ancora vivi.

[7] A. Carlino, La fabbrica del corpo: libri e dissezione nel Rinascimento, cap. III, Einaudi, Torino, 1994.

[8] Giovanna Ferrari, op. cit., p. 353.

[9] “Emmeciquadro. Rivista di scienza, educazione e didattica”, Milano, agosto 2004.

[10] Giovanna Ferrari, op. cit., p. 346. Identica l’opinione di Grmek e Bernabeo, per i quali, “contrariamente ad una opinione diffusa, la Chiesa cattolica non ha ostacolato ma ha piuttosto favorito lo sviluppo della ricerca anatomica” (M.D. Grmek, R. Bernabeo, “La macchina del corpo”, in Storia del pensiero medico occidentale, vol. II, Laterza, Bari, 1996, p. 5).

[11] T. Terzani, Un indovino mi disse, Tea, Milano, 2001, p. 58.

[12] D. Lapierre, La città della gioia, Mondadori, Milano, 1985, p. 403.

[13] L. Sterpellone, I grandi della medicina, Donzelli, Roma, 2004, p. 45.

[14] Si noti che per san Tommaso, il filosofo della Cristianità ai tempi di Mondino, l’anima ha una sua natura autonoma ed incorporea, ma conserva la sua individualità che le proviene anche dal suo corpo, anche dopo la distruzione di quest’ultimo. “La persistenza dell’individualità nell’anima separata consentirà pure, nel giorno della resurrezione dei corpi, ad ogni anima di riprendere la materia nelle dimensioni determinate che le erano proprie e di ricostituire così il proprio corpo” (N. Abbagnano, G. Fornero, Itinerari di filosofia, vol. I, Paravia, Milano, 2003, p. 588).

[15] D. Jacquart, Storia del pensiero medico occidentale, pp. 294-295; si veda anche J. Le Goff, op. cit., p. 104.