Cardinale, dica qualcosa di cattolico...
Di Francesco Agnoli (del 21/04/2011 @ 21:46:05, in Attualitą, linkato 1280 volte)

Ci sono stati, ad oggi, due Tettamanzi. Il primo è don Dionigi Tettamanzi, il cui nome compare tra i primi presenti alla nascita del Movimento per la Vita. Don Dionigi è un bioeticista, un pioniere nel campo. Il suo vescovo, il cardinal Martini, non ha per lui particolare considerazione. Al contrario il Vaticano si accorge di lui, tanto che nel 1987 Tettamanzi finisce a Roma, come rettore del Pontificio seminario lombardo. “In realtà”, scriveva Sandro Magister, “per lavorare al servizio del papa, del sant’Uffizio e della Cei”.

Di lui si apprezzano le posizioni chiare, coraggiose, anti-conformiste, molto distanti da quelle dei “teologi ribelli” e dell’arcivescovo di Milano. Ad un certo punto quel Tettamanzi scompare, sostituito prima dall’arcivescovo di Genova, poi da quello di Milano. Le posizioni si avvicinano sempre di più a quelle di Martini, mentre le vecchie passioni da bioeticista si affievoliscono, sino a scomparire. Ci sono temi che tirano di più: la politica politicante, le questioni sociali...

Insomma Tettamanzi abbandona il ghetto di coloro che si contrappongono ai deliri anti-vita della contemporaneità, per assumere le cadenze, i modi, il linguaggio degli intellettuali mondani. La sua predica di domenica scorsa, per la festa delle Palme, è l’ennesimo intervento, “a gamba tesa” direbbero a sinistra, nel dibattito politico.

Tettamanzi inanella una sfilza di accuse nei confronti del governo e di Berlusconi in particolare: “Ad esempio, per stare all’attualità: perché ci sono uomini che fanno la guerra, ma non vogliono si definiscano come “guerra” le loro decisioni, le scelte e le azioni violente? Perché molti agiscono con ingiustizia, ma non vogliono che la giustizia giudichi le loro azioni?...Siamo allora chiamati a interrogarci sull'unica vera potenza che può realmente arricchire e fare grande la nostra vita, intessuta da tanti piccoli gesti: la vera potenza sta nell'umiltà, nel dono di sé, nello spirito di servizio, nella disponibilità piena a venerare la dignità di ogni nostro fratello e sorella in ogni età e condizione di vita”.

Cosa c’è, che non torna? Banalità a parte, il fatto che le prediche divengano ormai troppo spesso la modalità con cui si preferisce parlare di società, di politica, di attualità, piuttosto che di Cristo. Non voglio dire che la cronaca non possa talora servire anche come punto di partenza per un sermone domenicale: credo, però, che un vescovo dovrebbe volare molto, molto più alto. Ripetere quello che dicono Repubblica, il Fatto, Bersani o Casini, quand’anche fosse giusto, è, per un pastore, molto poco. Dirlo nello stesso modo, senza mai ricorrere alle categorie della teologia e della antropologia cattolica, è diserzione.

La realtà è che un cattolico, oggi, sente la voce dei suoi pastori forse un po’ a sproposito. I presidenti della Cei, per esempio, offrono al paese, periodicamente, una lunga e circostanziata analisi dei fatti, politici, economici, sociali, senza tralasciare di prendere posizione sulle vicende mediatiche più attuali. Nonostante queste analisi siano, talora, illuminanti, non so se è proprio questo che è richiesto ad un successore degli apostoli.

Qualcuno ricorderà il vescovo Agostino Marchetto. Sino a poco fa interveniva di continuo, per esprimere la sua posizione sull’ultimo provvedimento del governo o sull’ultima dichiarazione, più o meno intelligente, di questo o di quel ministro. Puntualmente doveva uscire una nota della sala stampa vaticana, per mettere in chiaro che la posizione di Marchetto non era quella ufficiale della Santa Sede. Ne nasceva, ogni volta, un ridicolo balletto di dichiarazioni e smentite, con un solo effetto: ridurre la voce della Chiesa al rango del vocio, continuo, insignificante, noioso, dei politici di turno, che se non emettono dieci comunicati stampa al giorno, si sentono male.

Sembra, insomma, che l’agenda di alcuni uomini di Chiesa, si veda l’onni-giudicante e cicaleggiante don Sciortino, sia dettata dall’effimero dei quotidiani. Quanto ai temi che un pastore dovrebbe affrontare, si sente davvero poco. Recentemente Roberto de Mattei ha espresso la dottrina cattolica sul male, morale e naturale: rombo di tamburi laicisti, maledizioni “razionaliste” a go go, ma i Marchetto, i Tettamanzi, che avrebbero potuto cogliere l’occasione per illustrare la dottrina della Chiesa su argomenti così importanti, nulla! I temi essenziali- Dio, la morte, il male, l’Inferno e il Paradiso, il peccato e la Carità-, è meglio lasciarli a “Focus”, e se qualche laico coraggioso li affronta, i baldanzosi politologi in tonaca, fanno tre passi indietro.

Sembra non gli competa. C’è una società in decomposizione, ma troppi, anche tra coloro che dovrebbero seguire Cristo nell’orto degli ulivi, preferiscono parlare d’altro. Il fatto è che se i pastori tralasciano lo zelo della Casa del Signore, confondendo le prediche con gli editoriali, Cristo con un sociologo, la Messa con un comizio, è la Fede del popolo che ne risente. Abbiamo bisogno di uomini di Dio che parlino con Lui e di Lui. Quando fanno i politologi, gli filantropi, i giuristi, gli economisti ecc. ricordino che c’è spesso un laico che lo sa fare meglio e con più competenza. Il Foglio, 21 aprile 2011