Teatro e verità, ovvero la possibilità di rappresentare il vero [parte 1]
Di don Matteo Graziola (del 05/12/2010 @ 08:00:00, in Cultura e società, linkato 1153 volte)
1. Introduzione al teatro: strumento di conoscenza
Il più antico mass media come strumento di diffusione di rappresentazioni della vita è il teatro. La sua origine si perde nella notte dei tempi e, se esso è già riconoscibile come modalità espressiva nelle primitive narrazioni cultuali e misteriche degli uomini preistorici, può essere collocata ben prima dell’invenzione della scrittura. Esso poi non ha mai cessato di essere presente in tutte le culture e le epoche storiche e ancora oggi resiste alle forze gigantesche degli altri strumenti di rappresentazione della realtà quali il cinema, la televisione e gli audiovisivi in genere. Questi ultimi tra l’altro devono proprio al teatro la loro idea o identità di base, in quanto ripropongono in cornici nuove l’antico palcoscenico su cui si tentava di rappresentare la vita e prendere coscienza del suo significato.
Come ha osservato Virgilio Melchiorre, ‘rappresentare’ significa ri-ad-presentare, cioè presentare nuovamente un fatto a qualcuno. Ma questo fatto cos’è? E’ la realtà; e perché la si rappresenta? Per cercare di comprenderla, cioè di identificarne la verità intera, il significato esauriente. Questa operazione è del tutto analoga a quella che si compie nella conoscenza: si giunge all’idea di una certa realtà e così facendo si scopre il piano ideale nel quale, per così dire, la realtà si sdoppia, si riflette, si conosce. Conoscere significa dunque avere non solo la percezione della realtà, ma anche la coscienza di essa nell’idea di essa: il piano reale e il piano ideale si incontrano nella nostra coscienza e conoscenza della realtà. Attraverso la conoscenza si scopre l’infinito universo dell’essere ideale, che supera la dimensione materiale delle cose e mostra il livello spirituale dell’essere, dimostrando con ciò che anche colui che conosce, cioè l’uomo, è un essere spirituale oltre che materiale.
Nel teatro accade qualcosa di simile, tanto che potremmo definirlo un vero e proprio strumento di conoscenza del reale. Quest’ultimo infatti - che viene rappresentato nella sua dimensione dinamica, cioè nella sua azione, e non solo in quella statica - viene osservato attentamente per poterlo comprendere nel suo significato, cioè, come si è già detto sopra, nel suo nesso con la totalità. E’ dunque un tentativo di conoscenza più profonda del reale, sia perché è considerato nella sua complessità dinamica e nelle relazioni che lo costituiscono, e sia perché viene osservato attentamente e accuratamente per scoprirne la verità ultima. La rappresentazione, similmente alla conoscenza, è anche un ‘raddoppiamento’ del reale, cioè un tentativo di rappresentare il suo contenuto ideale oltre a quello reale. Per esempio: la conoscenza di un oggetto triangolare reale conduce all’idea di triangolo, che appartiene al mondo ideale; allo stesso modo la rappresentazione del celebre discorso di Amleto conduce a delle idee complesse (le domande fondamentali dell’uomo, i desideri costitutivi di verità, di giustizia, di felicità, la grande questione dell’immortalità, e via dicendo): l’azione di Amleto - in questo caso il suo discorso – viene rappresentata perché diventi simbolo di questi contenuti ideali-spirituali, che sono implicati dentro la realtà dell’azione e nello stesso tempo la trasportano sul piano ideale-spirituale.
Ora, ciò che viene rappresentato nel teatro è il reale umano, vale a dire l’azione dell’uomo, e non quella degli oggetti inanimati come avviene nella natura. Dunque il teatro è un tentativo dell’uomo di conoscere la sua stessa azione, cioè alla fin fine se stesso: esso è un tentativo dell’uomo di capire chi è, di conoscere il suo mistero.
Si tratta pertanto di un’arte nobile e profonda, anche se naturalmente può essere usata male e addirittura in modo distruttivo: infatti può essere utilizzata per insinuare una conoscenza errata dell’uomo e quindi per diffondere una menzogna, sia in buona che in cattiva fede. E’ essenziale dunque che il teatro abbia un punto di verifica oggettivo, per poter accertare la verità dei suoi contenuti. Questo punto è dato dalla conoscenza globale che l’uomo raggiunge di sé attraverso l’indagine esistenziale, alla luce della ragione e della rivelazione. Se pertanto questa indagine conduce a riconoscere onestamente e ineluttabilmente la realtà insieme materiale e spirituale dell’uomo, un teatro che cercasse con grande abilità di mostrare l’uomo come semplice realtà materiale sarebbe falso e menzognero. Se invece una rappresentazione scenica aiutasse a cogliere vividamente questa duplice natura nell’uomo e le sue intrinseche relazioni, sarebbe un’opera istruttiva ed educativa preziosa per tutti. Il teatro dunque deve accettare di sottoporsi alla verifica oggettiva dei suoi contenuti e cercare di porsi sempre di più al servizio della verità.
La sua forza sta dunque in due fattori:
a) l’adesione alla verità;
b) l’uso artistico della parola, dell’azione, della musica, della sceneggiatura.
Il suo fine è quello di far sorgere nello spettatore una più chiara coscienza della verità, sia a livello logico che psicologico. La peculiarità del teatro rispetto al discorso scientifico è infatti proprio questa, che permette una mobilitazione anche psicologica dell’uomo verso la verità, provocata dall’efficace e intelligente rappresentazione della realtà la quale accende nell’uomo la forza dei sentimenti unitamente a quella della ragione.

2. Introduzione al teatro: avvenimento e finzione
In questo senso il teatro rimane un media insostituibile dalle moderne tecnologie elettroniche. In esso infatti sono in azione uomini reali che rappresentano un’azione reale: ciò che accade davanti allo spettatore è un avvenimento reale, che nonostante l’evidente finzione scenica viene fatto vibrare in qualche misura nella sua realtà originaria davanti agli osservatori. Anche qui si notano due fattori:
a) l’avvenimento rappresentato;
b) la finzione attoriale.
Il secondo fattore rappresenta evidentemente il limite costitutivo del teatro e la sua per così dire umiliazione; essa però è allo stesso tempo una occasione di positività sia per gli attori che per il pubblico, perché costringe all’umiltà di fronte alla realtà e al riconoscimento dell’impossibilità di possedere la realtà stessa. Il teatro dunque conduce, per lo più implicitamente o anche inconsciamente, ad inchinarsi di fronte alla maestà del reale, che non può essere riprodotto perfettamente o posseduto interamente o alterato o dominato dall’uomo. Fatto salvo questo salutare riconoscimento, rimane il fatto che, pur sapendo tutti che è necessario passare attraverso una finzione, ciò che si può cercare di osservare è proprio l’avvenimento reale e il suo misterioso e profondo significato. La concentrazione del pubblico può portarsi sul fatto in sé, se non rimane scioccamente sulla superficie della considerazione delle abilità sceniche degli attori. Un pubblico maturo si porta sul fatto in sé, un pubblico superficiale sugli attori in quanto attori e non personaggi dell’azione. Quando si verifica la concentrazione sul fatto in sé, allora si genera la fascinazione del teatro, cioè la sua capacità di condurre lo spettatore dentro il mistero della realtà. Allora se il fatto rappresentato sarà commovente, il pubblico potrà rendersi conto di questo e commuoversi; se sarà illuminante, il pubblico potrà illuminarsi; se sarà divertente, il pubblico potrà divertirsi, e via dicendo.
La fascinazione dunque consiste nella capacità di portare il pubblico a concentrarsi sul fatto e a coglierne il significato. In questo senso si può dire che il teatro non solo mette in scena la realtà, ma paradossalmente fa cogliere la realtà attraverso la finzione molto più di quando essa accade realmente senza però essere attentamente osservata. Come nel caso del discorso di Amleto: se un domestico passando distrattamente avesse visto Amleto in quell’azione, avrebbe semplicemente fatto qualche osservazione sulla stranezza del suo padrone di casa e avrebbe subito pensato ad altro; rappresentare invece quella stessa azione davanti ad un pubblico attento e intenzionato a capire ciò che sta succedendo, porta a rendersi conto della potenza di quel fatto e del suo grande e profondo contenuto.
Il teatro dunque, quando è veramente opera d’arte, vince la banalità dello sguardo che quotidianamente portiamo sulla realtà: ci costringe ad osservare un particolare reale, riprodotto attraverso una umile ma accettabile finzione, e a renderci conto non solo del suo valore ma anche di quello della realtà intera.
In modi diversi, e per certi aspetti anche più efficaci, ciò può avvenire anche attraverso il cinema o la televisione o gli audiovisivi: essi però non possono appropriarsi, come si è detto, della caratteristica più importante del teatro che è la fisicità del fatto rappresentato e la presenza reale di uomini in azione in quel fatto. Per questa ragione il teatro rimane un media unico e prezioso: sia per il pubblico, che può stare davanti all’evento rappresentato in modo molto più vivo di quello reso possibile dalla semplice proiezione di immagini, e sia per gli operatori della rappresentazione, che possono fare esperienza continua di ciò che rappresentano e del rapporto diretto col pubblico. Da ciò deriva anche la capacità formativa del teatro: i fanciulli e i giovani e anche gli adulti che proveranno a cimentarsi con esso potranno ricevere grandi aiuti per la loro crescita personale.

3. Introduzione al teatro: quattro condizioni importanti
Va però osservato che ci sono delle condizioni precise perché questa positività si verifichi.
a) La prima condizione, come si è detto, è che si scelgano opere teatrali che esprimano la verità. La scelta da parte di una compagnia teatrale di opere che hanno un grande effetto scenico ma uno scarso o addirittura negativo contenuto veritativo pregiudica totalmente tutto quanto si è detto sopra. La menzogna trascina verso il basso sia il pubblico che gli attori e corrompe profondamente la loro ragione e il loro spirito. Non è raro purtroppo il caso che opere apertamente e gravemente menzognere abbiano un grande successo di pubblico, con tutte le conseguenze negative che questo comporta per la salute mentale e spirituale dell’intera società. Purtroppo questo accade anche perché pochi si interessano della diffusione di opere autentiche e costruttive e si impegnano fattivamente per questo.
b) La seconda condizione è che ci sia nell’opera scelta e nella sua rappresentazione un adeguato livello artistico. Ciò significa che l’opera teatrale deve avere non solo un contenuto vero da trasmettere, ma anche la capacità di farne percepire il fascino. L’arte è la rappresentazione del bello, cioè dell’attrattiva del vero. Questo nel teatro accade attraverso la forma artistica della parola, dell’azione, della musica, della sceneggiatura. Sono innumerevoli le opportunità artistiche del teatro: esso per esempio può creare un flusso emotivo e farlo crescere sapientemente, in modo da coinvolgere progressivamente lo spettatore; oppure può mostrare angoli di bellezza che si incastonano come perle nel corso della rappresentazione: è il caso di certe frasi, di certi gesti, di certi avvenimenti, di certe scene; oppure ancora può realizzare momenti di dialogo fortissimo col pubblico, attraverso interpellazioni dirette che fanno percepire il nesso con la verità proposta; o infine può dare, attraverso in questo caso la capacità degli attori, una rappresentazione viva dei personaggi e delle situazioni in cui agiscono, cosicché il pubblico percepisce cose che normalmente sfuggono completamente quando si osserva una persona.
c) La terza condizione è che il lavoro sia guidato o presentato da chi può aiutare a cogliere i contenuti e i significati di quello che si sta facendo. Si può rappresentare anche l’opera più edificante senza essere minimante consapevoli di quello che si sta facendo, come accade a certi cori polifonici che eseguono brani di altissima spiritualità come fossero semplici esercizi tecnici vocali. La presentazione che aiuti a cogliere il senso di ciò che si fa e che accade sul palco deve dunque essere rivolta non solo agli attori, ma anche al pubblico.
Occorre qui liberarsi da una falsa e pericolosa opinione che ritiene che l’opera d’arte si spieghi da sola. Questa falsa asserzione può andare bene solo per giustificare la pigrizia di chi non vuole dare un aiuto necessario a se stesso e agli altri. L’esperienza dimostra che nella stragrande maggioranza dei casi le opere d’arte non spiegano affatto se stesse e che il pubblico che le osserva o le ascolta è incapace da solo di cogliere il significato e quindi la bellezza delle opere più profonde e difficili, con il risultato che esse vengono accantonate e dimenticate. Lo dimostra il mercato discografico della musica classica: opere di altissimo valore artistico vendono meno di mille copie sul territorio nazionale, mentre le musiche più superficiali e artisticamente povere come quelle di tanta produzione del genere rock e pop vendono milioni di dischi; la musica classica non è ascoltata in gran parte perché non se ne capisce minimante il significato e nessuno prova a spiegarlo adeguatamente sui grandi media. All’opposto, quando quest’opera educativa è stata svolta si è visto un incremento esponenziale delle vendite e degli ascolti. Ci si guardi bene dunque dal rappresentare un’opera teatrale di alto contenuto senza una adeguata opera di studio e presentazione del medesimo. E allo stesso modo ci si guardi da presentazioni che si soffermano sugli elementi tecnici senza mai giungere al cuore di tutta l’opera, cioè al suo significato, al suo scopo, al suo contenuto, alla sua anima, al suo nesso con la vita di chi scolta. Queste presentazioni aride e superficiali sono più deleterie del silenzio voluto dall’opinione sopra citata: in questo senso, piuttosto che spiegare le cose in modo sbagliato o superficiale è meglio che non ci sia nessuna presentazione.
d) La quarta ed ultima condizione è che dopo la rappresentazione ci siano per il pubblico momenti di ripresa di ciò che si è visto. Ciò significa un lavoro sul testo dell’opera teatrale e sull’esperienza vissuta durante la sua rappresentazione. Quello che non è approfondito e custodito in questo lavoro viene perso inesorabilmente, specialmente nella condizione attuale in cui si viene sommersi dalla massa delle comunicazioni sopra descritta. Si tratta di un lavoro che può avvenire soprattutto se chi ha organizzato lo spettacolo chiamando la compagnia teatrale è determinato ad invitare il proprio la propria gente ad acquistare il testo e a ritrovarsi in incontri ben precisi per completare la comprensione dell’opera. E’ meglio vedere poche rappresentazioni teatrali ma ben sviluppate in questo lavoro, che vedere molte grandi opere che non hanno alcuna concreta e specifica continuità in chi le ha viste. Va osservato infine che questo lavoro non deve avere come sua ragion d’essere l’opera teatrale, ma la vita di una comunità permanente: deve essere cioè parte di un percorso più generale, di cui la rappresentazione scenica scelta è solo una tappa o il tassello di un mosaico. L’opera teatrale dunque non deve essere mai il fine del lavoro culturale di una comunità, ma solo un momento in funzione di esso.

Estratto dal libro La notizia dell'Essere - La comunicazione e il cristianesimo