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Il Decalogo Nero dell'ideologia anti-life
Di Tommaso Scandroglio - 02/11/2008 - Bioetica - 1435 visite - 0 commenti

Pirandello era dell’opinione che la vita fosse regolata dal caso. Tommaso D’Aquino gli avrebbe risposto che solo alcune cose avvengono per caso ma non tutte Tra queste ultime con sicurezza devono essere annoverate quelle sconfitte culturali e giuridiche subite, a livello nazionale e non, nel campo della bioetica e più in generale in quello della morale naturale. Aborto, eutanasia, fecondazione artificiale, sperimentazione su embrioni, contraccezione, divorzio, riconoscimento giuridico delle convivenze comprese quelle omosessuali, legalizzazione della cannabis, et similia sono realtà su cui già si è legiferato – o si ha intenzione di farlo – oppure sono fenomeni ampiamente accettati dal sentire comune. Ma come si è arrivati a questo punto? Per caso? No di certo. Infatti per raggiungere simili risultati occorre una strategia coerente e ben strutturata.

Proviamo ora a vedere quali sono gli elementi di questa strategia, una sorta di decalogo nero che disconosce le verità fondamentali sull’uomo. 1. Un passo alla volta. E’ la soluzione tattica più frequentemente usata, dagli effetti assai perniciosi e su cui perciò ci soffermeremo un poco più a lungo. Parte da una constatazione evidente: la vetta si conquista pian piano, metro per metro. Di questo sono ben coscienti coloro che vogliono sovvertire l’ordine naturale del creato. Si tratta della famosa teoria del piano inclinato. Provate a mettere una biglia su un piano inclinato: questa all’inizio si muoverà lentamente ma poi acquisterà sempre più velocità. Tale principio è rinvenibile nella legge 194 che permette l’aborto procurato. Se si legge con superficialità tale norma, l’aborto risulta essere l’extrema ratio, l’ultima spiaggia, e non la prima soluzione a cui ricorrere per chi affronta una gravidanza indesiderata. Il fronte pro-choice in modo furbesco ha convinto un po’ tutti che è lecito abortire solo dopo aver percorso obbligatoriamente un iter che prospetta alla donna una serie efficace di alternative per ovviare alla scelta abortiva: non riconoscere il figlio, chiedere aiuto per mezzo dei consultori agli enti locali e non, obbligo dei consultori di rimuovere tutti quegli ostacoli, di qualsiasi natura essi siano, che possano impedire la nascita del bambino, etc.

Purtroppo la maggior parte di tali oneri vengono in essere solo se la donna si rivolge ai consultori. Se invece, come accade il più delle volte, si reca da un medico di fiducia (non necessariamente il medico di famiglia) o presso una struttura socio-sanitaria, molti di questi adempimenti evaporano. Così ai nemici della vita è bastato dipingere nella 194 la possibilità di abortire come ultima chance, o meglio: farla percepire alla gente come tale, ben sicuri che in poco tempo da ultima opzione si sarebbe trasformata in quella privilegiata, mutando poi gli eventuali obblighi di legge in mere formalità da trascurare. E’anche ciò che sta accadendo per il dibattito sull’eutanasia: molte forze progressiste hanno proposto progetti di legge in cui non si fa menzione esplicita della possibilità di ricorrere all’eutanasia ma si propone solo lo strumento del testamento biologico. Questo sarà il primo passo, la testa di ponte per avere l’eutanasia a tutti gli effetti. Così ha previsto Piergiorgio Welby nel suo Lasciatemi morire. Ecco infatti gli steps che egli suggerisce per arrivare alla legalizzazione della dolce morte. Avere una legge sul testamento biologico (fase giuridica); assegnare alla Commissione Sanità lo studio degli aspetti legati a nutrizione e idratazione (fase medica); indagine sull’eutanasia clandestina (fase sociologica); formare i medici (fase pedagogica); legge sull’eutanasia (fase finale giuridica). L’effetto domino – fai cadere una tessera e cadranno tutte le altre – è ben riscontrabile in questa materia fuori dai confini del nostro paese, dove sono venuti in essere scenari realmente inquietanti. In Olanda la depenalizzazione dell’eutanasia risale al 1993.

Dieci anni dopo, nel giugno del 2003, la prestigiosa rivista scientifica Lancet ci comunica che il 2,6% certificati di morte redatti in Olanda nell’anno 2001 erano da addebitarsi ad atti eutanasici (3.647 persone) di cui lo 0,7% senza consenso del paziente (982 persone). Come vuole la logica del “un passo dopo l’altro” l’ordinamento giuridico del paese dei tulipani cercò apparentemente di mettere riparo alla situazione rendendo lecite nel 2001 le pratiche eutanasiche ma nel rispetto di rigorose condizioni. Tale legge infatti prevedeva per la richiesta di volontaria soppressione una serie di requisiti – i famigerati paletti tanto invocati anche da molti politicanti nostrani – così stringenti e severi che parevano a prova di bomba: soggetto cosciente e maggiorenne, volontà reiterata, firma di due medici, stadio terminale, solo per atroci sofferenze e senza prospettive di miglioramento. Passa qualche anno ed Eduard Verhagen, autore del protocollo Groningen sull’ eutanasia infantile in Olanda ci informa dalle colonne del New England Journal of Medicine del 10 Marzo 2005 che questi paletti sono saltati tutti: su 1.000 bambini che muoiono in un anno, 600 smettono di vivere per una pratica eutanasica. La libido di morte è poi di per sé diffusiva, ed è aiutata anche da una prassi abortiva che in Europa ha assunto i toni della normalità. Infatti all’inizio di quest’anno il Sunday Times rendeva nota un’intervista a John Harris, medico inglese, professore di bioetica dell’Università di Manchester, membro della Commissione Governativa Human Genetic, il quale si domandava retoricamente perché possiamo uccidere il feto malformato e non un neonato malformato. Sulla stessa scia omicida si pongono i recenti pareri del Royal College di Ostetricia e Ginecologia e del Nuffield Council on Bioethics. Il primo propone l’eutanasia attiva per i neonati disabili, così si risparmiano ai parenti shock emozionali e dissesti finanziari, affermando che una bambino disabile è una famiglia disabile. Il secondo suggerisce per i prematuri nati sotto la 23° settimana la non assistenza perchè hanno poche possibilità di salvezza. Proposte a cui fa eco la decisione della ginecologa Giovanna Scassellati del San Camillo di Roma, responsabile del centro per le interruzioni volontarie di gravidanza, la quale ha affermato che nel suo reparto chi decide per un aborto tardivo firma un "consenso informato" per non far rianimare il piccolo, qualora sopravvivesse. Insomma: provocate una fessura nella parete di una diga e prima o poi crollerà la diga intera.

Lo scivolamento verso il basso e sempre più accelerato è ben visibile nelle tecniche di fecondazione artificiale. Nate in principio per soddisfare il desiderio del figlio si sono trasformate ben presto in strumenti per soddisfare le voglie di maternità di donne single o appartenenti a coppie lesbiche, oppure di vedove che possono utilizzare gameti del marito morto da una dozzina di mesi (vedi per questi ultimi tre casi ad esempio la legislazione in Spagna ). Poi si sono involute in tecniche per l’uccisione di embrioni al fine di trovare improbabili terapie per malattie ad oggi incurabili, magari attraverso la cosiddetta clonazione terapeutica come avviene sempre in terra iberica. Ed infine in mezzi per creare mostri. Infatti all’inizio del settembre del 2007 la Hfea, forse la massima autorità di bioetica inglese, si era dichiarata favorevole alla creazione di cibridi attraverso un procedimento di clonazione: ovocita di mucca con all’interno DNA totalmente umano. Il risultato sarebbe un essere (umano?) con il 99,9% di patrimonio genetico umano e una minima frazione di percentuale, lo 0,01%, di patrimonio genetico animale. «Percentuale variabile di umanità» si legge sulla prima pagina de Il Foglio di mercoledì 5 settembre. Trascorrono pochi mesi e nel maggio del 2008 il Parlamento inglese ha votato a favore degli ibridi umano-animali.

Anche riguardo allo snaturamento dell’istituto matrimoniale si è scelto di procedere con prudenza. Grillini nel luglio del 2002 fu il primo firmatario di una proposta di legge che prevedeva sic et simpliciter il matrimonio omosessuale. Resosi conto che i tempi erano prematuri per un simile passo si risolse a chiedere successivamente forme attenuate dello stesso, cioè il riconoscimento delle convivenze anche per gli omosessuali. Infatti così lo stesso Grillini motiva la sua strategia nella Proposta di legge denominata “Disciplina dell’Unione affettiva” dell’aprile 2003 : «si è […] ritenuto di optare per un criterio gradualistico e realistico (tale cioè di rendere realistica la possibilità che la proposta di legge venga presa in seria considerazione, e che essa non possa anzi essere ignorata o accantonata […])».

2. Chiedi 100 per ottenere 50. E’ una strategia opposta alla precedente. Nel suo enunciato è semplice: se chiedi molto qualcosa avrai. Così le forze politiche, che oggi si ha il vezzo di chiamare “della sinistra radicale”, al tempo della legalizzazione dell’aborto procurato chiedevano che si potesse interrompere la gravidanza sempre e comunque. I cattolici, almeno quelli veri, si opponevano all’aborto, in modo esattamente speculare, sempre e comunque. Il legislatore si pose nel mezzo cercando, con malcelato spirito liberale, di accontentare tutti o scontentare tutti: aborto sì, ma a certe condizioni. Stessa idea è oggi perseguita dai radicali per il dibattito sul testamento di fine vita: chiedono l’eutanasia per avere perlomeno il DAT, le dichiarazioni anticipate di trattamento. Si possono rintracciare i segni di questa particolare tattica culturale anche nelle affermazioni dell’onorevole Fassino pronunciate nella puntata dell’8 Febbraio 2006 di Otto e Mezzo il quale ammise che se non fossero divenuti legge i PACS forse era sperabile che perlomeno i Contratti di Convivenza Solidale proposti da Rutelli potessero passare perché forma meno radicale rispetto ai primi.

3. Rendere lecito ciò che accade nella prassi. Se un comportamento è diffuso nei costumi delle persone vuol dire che è normale, quindi giusto. Se è giusto sotto il profilo morale allora non si vede la ragione per non renderlo lecito dal punto di vista giuridico. Il sillogismo per nulla aristotelico è stato applicato molte volte nel passato e suggerito spesso nel presente. L’aborto e l’eutanasia clandestina, le separazioni di fatto all’interno dei nuclei familiari, l’uso di droghe erroneamente definite leggere, la diffusione della convivenza prematrimoniale, il ricorso alle tecniche di fecondazione artificiale, legittimano di per sé il parlamentare a produrre norme per rendere lecito ciò che è già presente come comportamento tra la gente, o supposto come tale. L’ottica perversa attraverso la quale si vuole avere una legge afferma che è sicuramente buono ciò che accade. Lo Stato quindi non sceglie più quali azioni punire o semmai tollerare perché lesive del bene comune, ma semplicemente prende atto di “come vanno le cose”, registra le condotte degli individui e quando queste raggiungono un numero rilevante non può che legittimarle con tanto di carta bollata. Il ragionamento è diventato verità dogmatica soprattutto riguardo alla fecondazione artificiale. Quante volte infatti abbiamo sentito o letto che la legge 40 poneva ordine in una situazione da “far west” e quindi era da salutarsi come una buona legge? Pochi sono stati coloro che hanno invece obiettato che di fronte alle pratiche diffuse della procreazione artificiale l’opzione della legittimazione della stessa non era lecita moralmente dovendo il legislatore all’opposto vietarla. I costumi però mutano negli anni, o, come si sente spesso ripetere, se i tempi cambiano, cambia anche la morale. E’ di questo avviso Grillini che nella seduta del 21 Luglio 2005 della Commissione Giustizia fa intendere che la Costituzione non parla esplicitamente di coppie conviventi dato che il fenomeno sociale era pressoché inesistente. Oggi invece essendo le convivenze numericamente più diffuse lo Stato non può far altro che tutelarle giuridicamente. Seguendo dunque la logica che sono le condotte diffuse nella società a dettar legge è doveroso domandarsi a quando la legalizzazione di furti e omicidi, dato che – a quanto ci risulta – sono assai diffusi?

4. Rispettare l’opinione della maggioranza. In regime di democrazia l’unica voce che conta è quella del popolo, e poco importa che questo spesso, ma non sempre, sia bue. Caso paradigmatico in questo senso è quello della legge spagnola n. 35/88 in tema di tecniche riproduttive che parla di «un' etica di carattere civico o civile con attenzione al consenso sociale vigente». Ed ecco allora per suffragare le proprie decisioni politiche snocciolare i dati di sondaggi i quali con previdenza non possono che portare acqua al proprio mulino. Per citare uno tra i tanti casi, facciamo riferimento ad un’indagine svolta dall’Eurispes su eutanasia, accanimento terapeutico e testamento biologico, svolta tra metà novembre e metà dicembre 2006. Ben il 74% degli italiani intervistati si mostrava favorevole all’eutanasia. Peccato che la domanda fosse equivoca, potendo essere interpretata dall’uomo della strada sia come rifiuto a trattamenti che configurerebbero l’accanimento terapeutico, sia come accettazione di pratiche eutanasiche. Peccato poi che il sondaggio si svolse proprio nel periodo in cui il caso Welby era caldissimo, influenzando molto le risposte, date sull’onda emotiva delle immagini di Welby sofferente che milioni di italiani vedevano quotidianamente in TV o sui principali giornali nazionali. Infatti proprio un anno prima era stata condotta un’indagine simile dando risultati ben diversi: solo 4 italiani su 10 si mostravano favorevoli alla dolce morte. Senza contare il fatto che i dati delle ricerche vanno resi pubblici unicamente se sono di conforto alle proprie tesi. Nella bufera sui DiCo di un anno fa circa fa ben pochi organi di informazione resero noto che, secondo un sondaggio della società Codres di Roma (febbraio 2007), su 1.000 intervistati solo il 6% riteneva i DiCo una questione importante. Tale risultato faceva da riscontro al dato della sparuta percentuale del 3,9% delle coppie di fatto che hanno voluto la registrazione della propria situazione di convivenza nel Registro delle Unioni Civili, già esistente in alcuni comuni italiani così come previsto da una legge del ’90. Ma se il destro non può venire dai sondaggi, rimangono sempre i referendum su cui fare affidamento. Quelli persi su divorzio e aborto vengono sempre citati per sostenere la tesi che “così vuole il popolo”. Quello invece riguardante la legge 40 sulla Procreazione medicalmente assistita, disertato da più del 70% dell’elettorato, chissà perché è già caduto in prescrizione. Insomma pare proprio che la maggioranza debba essere ascoltata solo se la pensa come il politico progressista.

5. Sfruttare l’emozione del caso limite. E’ la ragione che è deputata a determinare quali atti sono leciti o illeciti sotto il profilo morale. Non il sentimento. Far leva sulle emozioni è invece una strategia furba e iniqua. Argomentare che l’aborto volontario è sempre iniquo comporta passaggi logici complessi e spesso lunghi. Raccontare invece la storia di una donna violentata che ha scelto di abortire porta molti più consensi e più velocemente. Spiegare le differenze tra atti eutanasici e accanimento terapeutico è laborioso, sbattere in prima pagina il viso gonfio e privo di espressione di Welby invece cattura più facilmente l’attenzione del telespettatore e lo recluta all’istante tra le file dei filo-eutanasici. E’ inutile poi domandarsi perché solo alcuni casi pietosi hanno i meriti sufficienti per avere gli onori della ribalta. Che dire infatti di quel gruppetto di pazienti affetti dalla stessa malattia di Welby che nel settembre del 2006, mentre quest’ultimo scriveva a Napolitano, furono portati in barella davanti alla sede del Ministero della Sanità chiedendo non di morire ma più soldi per la ricerca? Che dire del professor Melazzini, primario oncologo, anch’egli colpito da sclerosi laterale amiotrofica, che muove solo tre dita e vuole continuare a vivere? Anche in questo caso i media hanno assunto come propria la regola del “due pesi e due misure”.

6. Mentire. E’ un trucco che si impara fin da piccoli. Il problema diventa serio quando tale comportamento viene assunto da persone adulte, con responsabilità pubbliche e su temi importanti. La menzogna è una specialità propria dei radicali. Ancor oggi è possibile ascoltare qualche loro esponente il quale asserisce con sicumera che grazie alla 194 gli aborti clandestini sono diminuiti del 79%. Questo è un clamoroso autogol. Infatti come si può sapere con tale precisione a quanto ammontavano, o a quanto ammontano, gli aborti clandestini dato che sono clandestini e che quindi non esistono documenti, carte o testimonianze le quali ci potrebbero fornire qualche numero a riguardo? Senza poi tenere in considerazione il fatto che all’anno vengono celebrati nel nostro paese dai 30 ai 50 processi per aborto clandestino. Segno inequivocabile che il numero di interventi praticati in strutture non idonee è assai più rilevante che 30 o 50, dato che si finisce davanti ad un giudice solo se qualcosa è andato storto. E’ insomma una prova indiretta che la 194 è ben lungi dall’aver eliminato il fenomeno delle interruzioni delle gravidanze “al buio”. Falsa è anche la cifra di 25.000 donne che ogni anno morivano per aborto clandestino prima della 194. Se il numero di aborti clandestini non si può contare, non così avviene per il numero di donne che muoiono nell’arco di 12 mesi. E’ bastato andare a vedere le statistiche sulle cause di morte e si è scoperto che la mortalità femminile annua, delle donne in età fertile, negli anni Settanta era attestata sui 10.000-15.000 decessi, provocati non solo dall’aborto ma a seguito di qualsiasi altro fattore quali malattie, incidenti, omicidi, etc. Menzognera è infine l’affermazione che la legalizzazione dell’aborto ha causato una diminuzione delle richieste di interrompere la gravidanza. Si affermava che prima del 1978, anno in cui fu approvata la legge 194, si praticavano 3.000.000 di aborti, quando invece nel primo anno di applicazione della legge si arrivò alla cifra di 187.000. E’ ben difficile immaginare che nel giro di un solo anno si sia passati da 3 milioni di aborti a 187.000, soprattutto per il fatto che prima della 194 l’aborto era reato e poteva prevedere anche la reclusione. L’escamotage della menzogna è stato usato con successo anche nell’attuale battaglia per il riconoscimento giuridico delle unioni di fatto. Grillini, nella già citata proposta di legge dell’Aprile del 2003 riguardante la disciplina delle “Unioni affettive”, afferma per rassicurare gli animi che in questo documento non si chiede la possibilità che una coppia omosessuale possa adottare un bambino aggiungendo che «nessuno degli ormai numerosi progetti di legge presentati negli scorsi anni alle Camere in questa materia su sollecitazione delle associazioni gay italiane ha mai affrontato la questione». Peccato che fu lo stesso Grillini a chiedere qualche mese prima, precisamente nel luglio del 2002, l’adozione per la coppie omosessuali all’art. 3 della Proposta di legge n. 2982: «Al rapporto di unione civile e al matrimonio fra persone dello stesso sesso sono estesi i diritti spettanti al nucleo familiare, secondo criteri di parità di trattamento. In particolare si applicano le norme civili, penali, amministrative, processuali e fiscali, vigenti per le coppie che hanno contratto matrimonio, ivi compresi l’accesso agli istituti dell’adozione e dell’affidamento». Senza poi contare le due proposte dell’onorevole De Simone, quella dell’onorevole Malarba e un disegno di legge Malarba-Sodano, tutte antecedenti all’Aprile 2003 e che chiedevano l’adozione per le coppie omosessuali. In sintesi: la menzogna poggia su una duplice e realistica considerazione. In primo luogo pochi andranno a verificare l’affermazione fatta, e in secondo luogo è molto più facile mentire che contestare punto per punto una falsità dato che ciò comporta studio, tempo e fatica.

7. Usare il volto noto. Le più riuscite campagne pubblicitarie sono quelle in cui il prodotto da vendere è presentato da un personaggio conosciuto. Il viso noto sponsorizza l’articolo da mettere in commercio. Tale strategia di marketing è usata spesso anche nelle battaglie sulle questioni etiche. Pensiamo al caso della sorridente coppia Veronesi-Ferilli che si è spesa per la modifica della legge 40 al tempo del referendum del 2005; o al solo Veronesi ideatore della costituzione di un Registro nazionale per i testamenti biologici; o al presentatore Cecchi Paone e all’attore Lino Banfi, alias nonno Libero, in prima linea per il riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali. Lo sfruttamento di questi ed altri testimonial si incardina su un fondamentale punto di ordine psicologico: si estende indebitamente la competenza professionale del personaggio famoso in un ambito invece che non gli è proprio. In tal modo la fiducia che l’uomo della strada accredita alla celebrità a motivo delle sue doti di oncologo o di showman si trasferisce poi illogicamente in campi non strettamente pertinenti allo loro attività. Le tesi più contrarie al buon senso si ammantano di autorevolezza. Chiamare per esempio Margherita Hack, come è avvenuto in una puntata di un’edizione del Maurizio Costanzo Show, a pronunciarsi sulla liceità dell’eutanasia produce uno sconfinamento delle competenze della scienziata, la quale sarà pure un’eminenza nell’astrofisica ma nel campo della morale naturale non può vantare uguale preparazione. E così l’opinione dell’accademico VIP diventa tesi scientifica assolutamente credibile. Di frequente poi la presenza del volto noto si accompagna ad atti provocatori: Pannella che distribuisce hashish ai passanti di Piazza Navona; il filosofo Gianni Vattimo che fa da testimone insieme a Grillini alla celebrazione di finte nozze gay da parte di due signori presso il Consolato Francese a Roma, avvenuto aderendo al Pacs made in Francia, con tanto di scambio di fedi nuziali sullo scalone del Consolato a vantaggio degli obiettivi dei reporter.

8. Le parole. Cambiare il senso delle parole porta a cambiare la percezione della realtà. Nella battaglia culturale è di primaria importanza la rivoluzione linguistica. Più che il significato dei termini è importante il loro suono, la loro eufonia. Non più omicidio prenatale, ma aborto. Anzi: interruzione volontaria della gravidanza che scolora nell’ancor più asettico e mite acronimo IVG. Non omicidio del consenziente o aiuto al suicidio: assolutamente meglio eutanasia. Ma dato che quest’ultima può evocare spettri nazisti si preferiscono le perifrasi “dolce morte”, “testamento biologico” (insieme al suo “zio d’America” living will), o i termini coniati da Welby quali biodignità, ecomorire, finecosciente. Non fecondazione artificiale ma procreazione medicalmente assistita che rappresenta in modo falso la realtà dato che il medico non aiuta la coppia a procreare ma si sostituisce ad essa in questo atto. Non convivenza more uxorio ma patti civili di solidarietà, così chi fosse contrario ad essi verrebbe tacciato di essere incivile e poco solidale. Non marito e moglie ma semplicemente coniugi, termine che annulla in sé le differenze di sesso potendo essere i coniugi entrambi maschi o entrambe femmine. Non droghe punto e basta. Ma droghe leggere, quasi che la salute o la vita fossero cose di poco conto, pari al peso minimo di uno spinello.

 9. L’esterofilia. Per sapere se le nostre leggi sono buone la pietra di paragone non è il bene comune, bensì spesso sono gli ordinamenti giuridici di altri stati. L’Italia – così si sente ripetere come un mantra – è all’ultimo posto in Europa nella sperimentazione sugli embrioni, nell’accesso alle tecniche di fecondazione artificiale, nel riconoscimento dei diritti delle persone omosessuali, etc. L’argomentazione è con evidenza debolissima: se il mio vicino di pianerottolo ammazza e ruba significa che anch’io posso ammazzare e rubare? Strano poi che anche in questo caso si faccia a monte una selezione all’ingresso delle leggi straniere che dovrebbero essere emulate nei nostri confini. Chissà perché non si ode un simile vociare per importare da noi le norme che permettono in Francia lo sfruttamento dell’energia nucleare, o quelle cinesi sul lavoro subordinato.

10. Il nemico è la Chiesa. In ogni guerra c’è un nemico. Nel conflitto culturale quale miglior nemico da scegliere se non la Chiesa Cattolica? Nell’immaginario collettivo la Chiesa è frequentemente dipinta come nemica del progresso, antagonista della felicità dell’uomo, misogina, sessuofoba, colpevole di posizioni discriminatorie contro gli omosessuali , ostinatamente e insensatamente contraria alla ricerca scientifica, gelosa depositaria di oscure verità inconfessabili. E’ Lei che ha negato i funerali a Welby, è Lei che fa ingerenza nella politica italiana, è Lei che con una straordinaria azione di plagio parrocchiale ha mobilitato più di un milione di persone al Family Day. Se la Chiesa è il nemico occorrerà ovviamente far di tutto per indebolirla. Per citare solo alcuni esempi tra i tanti: all’indomani della sconfitta sul referendum della legge 40, i radicali, non potendosela prendere con gli italiani (è sempre poco elegante avercela con l’elettorato), indirizzarono tutto il loro rancore verso Santa Romana Chiesa chiedendo a più riprese la revisione del Concordato. Questo atteggiamento polemico fece eco ad una posizione emersa nell’agosto del 2003 ad una riunione all’ONU dell’UNGLOBE, associazione dei dipendenti ONU di solo orientamento omosessuale o bisessuale, in cui si individuò il principale nemico da abbattere nella Chiesa. A questo proposito è bene sottolineare che le lobbies gay esercitano pressioni un po’ dovunque e in molti ambiti. In Scozia, ad esempio, a seguito dell’Equality Act 2006 le agenzie cattoliche per l’adozione potrebbero essere obbligate ad affidare i bambini anche a coppie omosessuali. Infine – a mo’ di paradigma delle discriminazioni che devono subire gli organismi di ispirazioni cattolica – ricordiamo il caso di Mukesh Haikerwal, Presidente della Australian Medical Association, il quale recentemente ha auspicato che gli enti legati alla Chiesa cattolica non gestiscano più gli ospedali dal momento che non forniscono servizi quali l’aborto, la sterilizzazione e la fecondazione in vitro. Dieci mosse per mettere in scacco la cultura cristiana e ancor prima il senso comune. Ma dalle nefandezze degli altri si può sempre imparare qualcosa di utile: perché non rubare a costoro qualche trucchetto ed usarlo a fin di bene? (Studi Cattolici Luglio-Agosto 2008 n. 569/70)

 
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