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Si parla ancora del "Codice da Vinci"...
Di Francesco Agnoli - 26/11/2006 - Storia del Cristianesimo - 1622 visite - 0 commenti
Gli storici fantasiosi, si sa, sono tanti. Quelli faziosi, ancora di più: chi per un piatto di minestra, chi per accedere ad un salotto, chi per operazioni ideologiche di più amplia portata. Cito due vicende, tra le tante. Nel 1810 Napoleone Bonaparte emana un editto di occupazione degli archivi papali. Da Roma partono dunque alcuni convogli composti di enormi carri sui quali sono state caricate 3239 ceste di documenti degli archivi delle Congregazioni romane e dell'archivio Segreto Vaticano. In un pacco a parte, spedito al ministro dei Culti di Napoleone, per scopi evidentemente poco laici, vengono inviati da Roma a Parigi alcuni incartamenti particolarmente delicati, contenenti tra il resto i rotoli pergamenacei dei processi dei Templari e il codice del processo a Galilei. Questi trafugamenti, in nome dell'onnipotenza napoleonica, devono evidentemente servire ad una operazione di propaganda: screditare il nemico, trovare il necessario, di intrighi, cattiverie, mostruosità, per accusare ancora di più quella Chiesa che intanto viene regolarmente depredata dei suoi beni, delle sue terre, dei suoi conventi. Il ladro corso-francese, che ha costruito la sua grandezza rubando quadri, e fondendo ori e argenti delle chiese italiane, ha intenzione di editare i documenti del processo di Galilei, tramite il bibliotecario imperiale Antoine Alexandre Barbier, per presentarsi a tutti come un amante della verità e della giustizia, contro le nequizie dell'Inquisizione. Poi, in realtà, ci si accorge che i documenti su Galilei non saranno così utili per una operazione propagandistica di un certo livello, e si lascia cadere il progetto. Analogamente, anche in Spagna, dopo averla occupata, Napoleone desidera presentarsi come il liberatore, prima di essere scacciato in malo modo dal popolo, quello vero, che non vuole saperne dei francesi e dei suoi tirapiedi. Per questo decide di servirsi della famosa "leggenda nera", già in parte esistente in quanto creata in precedenza dai ribelli anti-spagnoli delle Fiandre, i quali "dovevano creare una leggenda di crudeltà e di barbarie ispaniche" affinché "l'Europa manifestasse solidarietà con la loro rivolta". "Con il passare del tempo, la leggenda perse ogni proporzione grazie agli sforzi dei più attivi tra i protestanti", anch'essi antispagnoli, per cui si giunse a manipolare testi già sfacciatamente denigratori "ravvivandoli di patenti falsità particolareggiate" (Henry, Kamen, L'Inquisizione spagnola, Feltrinelli). Ebbene, Napoleone, una volta in Spagna, prova il solito piano: servirsi della manipolazione storiografica come strumento di dominio ideologico. Al gioco si presta nientemeno che l'allora segretario generale dell'Inquisizione spagnola, il sacerdote Antonio Llorente, a cui dall'Imperatore viene affidato il compito di eseguire il decreto di soppressione degli Ordini religiosi del suo paese, di amministrarne, non senza vantaggi, i beni secolarizzati, e infine di compilare una "Storia critica dell'inquisizione in Spagna". Chiamato a tale responsabilità storiografica, cosa fa il nostro pretino prezzolato? Semplicemente, come racconta lo storico protestante Tuberville, "bruciò tutti gli atti dei casi criminali che gli passarono per le mani": straordinario caso, a ben vedere, di uno storico che elimina sistematicamente i documenti che dovrebbero servire alla sua ricostruzione storica. Ciò gli permette, evidentemente, di manipolare in tranquillità la storia dell'inquisizione spagnola, infarcendola anche di accuse ridicole ed esagerate (Tuberville, L'Inquisizione spagnola, Feltrinelli). Un caso simile si presenta oggi con il celeberrimo "Il Codice da Vinci" di Dan Brown, in cui vengono presentate delle tesi storiografiche ed artistiche che lasciano allibiti. Nel senso che non si sa da che parte partire per smontare l'incredibile costruzione menzognera di questo Pinocchio a dieci dimensioni, il cui naso bucherà, a breve, gli schermi cinematografici. Tra le affermazioni grottesche dell'autore americano, c'è sicuramente quella secondo cui la Chiesa avrebbe combattuto un presunto "principio femminino", predicato dal Cristo originario, per poi configurarsi come una congregazione di potere ferocemente maschilista. A tale scopo Dan Brown omette di spiegare, ad esempio, che la Chiesa, nella sua riforma dell'istituzione matrimoniale, abolì, oltre alla lapidazione femminile per adulterio, la possibilità del ripudio, che era concessa, sia presso gli ebrei che presso i romani, ai soli maschi. Dimentica, inoltre, volutamente o per ignoranza, che la monogamia predicata da Cristo e dalla sua Chiesa, ha cambiato del tutto la storia di milioni di donne, in tutte quelle parti del mondo in cui esse erano state sino ad allora sottomesse alla poligamia. La monogamia, infatti, fu, storicamente, l'affermazione della pari dignità spirituale tra uomo e donna, che sino a Cristo non era mai stata riconosciuta. L'assurdo è che pur di mentire Brown fa dire ai vangeli gnostici ed apocrifi, che sarebbero per lui quelli veri, originali, l'esatto contrario di quello che dicono, sperando, evidentemente, che nessuno abbia la voglia di leggerseli. Brown cita, ed esempio, a sostegno della sua tesi, il Vangelo apocrifo di Tommaso, nel quale in realtà si trovano frasi ben poco femministe, come questa: "Simone Pietro disse loro: 'Maria si allontani di mezzo a noi, perché le donne non sono degne della vita!'. Gesù disse: 'Ecco, io la trarrò a me, di modo da fare anche di lei un maschio, affinché anch'essa possa diventare uno spirito simile a voi maschi. Perché ogni donna che diventerà maschio entrerà nel regno dei cieli'". Il concetto tipico dei vangeli gnostici, che Brown contrappone a quelli riconosciuti dalla Chiesa, è infatti piuttosto anti-femminile: al punto che di solito non si riconosce alla Madonna la maternità di Cristo, perché non si concepisce l'idea di un Dio che si incarni nel ventre di una donna! Sempre nel Vangelo di Tommaso infatti si legge: "Quando vedete colui che non è nato da donna (ovvero Gesù stesso, che era uomo solo in apparenza, ndr), prostratevi col viso a terra e adoratelo…". In effetti non solo il vangelo di Tommaso, ma gran parte dei vangeli e dei movimenti gnostici, di ispirazione manichea, sempre avversati dalla Chiesa, ebbero una visione della donna in sostanza profondamente negativa. Nella loro ottica infatti il mondo creato è opera non di un dio buono, ma di un dio malvagio, che ha imprigionato le anime nei corpi: ciò significa che l'aspirazione degli uomini dovrebbe essere non quella di gustare e di godere della vita, ma di sfuggirla, soprattutto non sposandosi e non procreando. Dare alla luce dei bambini, come fanno le donne, significherebbe infatti perpetuare l'opera del Dio cattivo, creatore dei corpi, che ama chiamare alla vita sempre nuovi "prigionieri". Una simile concezione si diffuse particolarmente nel basso Medioevo tra gli eretici catari. Costoro erano divisi in due categorie, i Credenti e i Perfetti. Mentre i primi non erano tenuti obbligatoriamente alla castità, e potevano vivere con una donna, meglio se concubina, e cioè senza un legame forte e indissolubile, i secondi dovevano abbracciare la castità totale, e giungevano talvolta a lasciarsi morire di fame (endura), per "consumare già su questa terra la separazione dell'anima dal corpo". Come potevano costoro venerare un presunto "principio femminino", essendo la donna così intimamente e carnalmente legata alla procreazione? Secondo lo storico Duby le cattedrali gotiche francesi di questo periodo, dedicate per lo più alla Madonna, ebbero spesso la funzione di lottare contro gli gnostici catari, per celebrare la vita, e colei che era stata addirittura madre di un Dio che si era fatto carne, mostrando così evidentemente la bontà della creazione tutta, corpi compresi. Se poi passiamo all'interpretazione che Dan Brown dà del Cenacolo di Leonardo, anche qui dobbiamo constatare l'incredibile spudoratezza della manipolazione e dell'inganno. Secondo Brown nel dipinto di Leonardo, accanto a Cristo, sarebbe raffigurata la Maddalena. Di qui se ne desumerebbe l'esistenza di un matrimonio tra lei e Cristo! Ci si chiede anzitutto perché Brown abbia scelto Leonardo: tra tante ultime cene della storia, la sua è la meno adatta ad una simile forzatura. Anzitutto perché spessissimo altri pittori hanno rappresentato l'apostolo Giovanni senza barba, con i capelli lunghi, come nel Cenacolo di Leonardo, ma in più con la testa mollemente reclinata sul petto di Cristo. Se si voleva giocare sull'equivoco, dunque, questi dipinti sarebbero molto più adatti di quello leonardesco, in cui Giovanni è straordinariamente distante dal maestro. In secondo luogo nel dipinto di Leonardo compaiono dodici personaggi, più Gesù: se a destra di Cristo, dove solitamente è rappresentato l'apostolo prediletto, vi è la Maddalena, dove è finito Giovanni? Tanto più che la presenza della Maddalena sarebbe assolutamente assurda, in quanto rovinerebbe completamente il gioco simbolico dell'opera. Tutto il Cenacolo, infatti, è costruito sulla simbologia del tre (numero divino), del quattro (numero della terra e dell'uomo) e del dodici (quattro per tre, numero della totalità), i numeri da cui è caratterizzata anche la Gerusalemme celeste dell'Apocalisse. Nel Cenacolo vi sono infatti i dodici apostoli, raggruppati in quattro gruppi da tre; sullo sfondo, dietro Cristo, vi sono tre aperture, mentre sui lati quattro. Il soffitto, infine, è a cassettoni, con 36 riquadri (dodici per tre). Di tutto questo Brown non dice nulla: eppure non è l'esperto conoscitore delle simbologie più nascoste? Oppure sono proprio le simbologie presenti nel quadro di Leonardo a dimostrare l'assurdità delle sue tesi?
 
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