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Dal lamento alla danza
Di Rassegna Stampa - 10/03/2008 - Bioetica - 1033 visite - 0 commenti
Di Andrea Zambrano. La straordinaria storia di una famiglia reggiana: una diagnosi infausta, la scelta di non abortire Il piccolo Samuele è nato senza speranze, ma in pochi mesi ha fatto fiorire l’amicizia di una comunità di andrea zambrano UNA GRAVIDANZA, una diagnosi infausta, un coraggio da leoni nel dire no ad un aborto, una nascita carica di speranza e una morte accompagnata dalla preghiera, ma soprattutto una amicizia grande irrobustita nel momento di prova più forte. Ci sono storie di dolore e di vita liberanti che fanno percepire un senso di pienezza. E’ il caso di questo libro scritto e vissuto da Emanuela e Giovanni Picchi, “Hai mutato il mio lamento in danza, una maternità dalla morte alla risurrezione” (Editrice Vita nuova, 2006), che racconta, con la semplicità di chi ha pianto tanto e tanto amato, la straordinaria vicenda umana che sono stati chiamati a vivere con la nascita e morte del loro quartogenito Samuele. La coppia vive a Sant’Ilario d’Enza, paese al confine con Parma, dove si sono sposati 25 anni fa. Nel 1999 Emanuela, insegnante, rimane incinta del quarto figlio. Una gravidanza chiesta ai piedi del santuario della Madonna di Czestochova, e affidata poi alla Vergine. Il calendario scandisce per la famiglia reggiana una serie di date estremamente simboliche. A cominciare da quella della prima ecografia, effettuata il 28 dicembre, nella memoria dei Santi Innocenti. In quell’occasione bastano quattro parole del medico per inchiodare i Picchi ad una chiamata speciale: «Sarò subito molto chiaro». Incomincia un iter clinico e psicologico provante, che passa dalla proposta di un’amniocentesi a quella dell’aborto. «Ci dicono di decidere in fretta, siamo alla 20esima settimana e i tempi per l’aborto sono stretti. Sentiamo che per il mondo questa vita è una cosa da analizzare. Il medico si affretta ad esprimere i suoi dubbi perché ci aspetta una malformazione molto grave senza speranza, incompatibile con la vita». Le previsioni sono di quelle da far raggelare, ma nessun dubbio offusca i loro pensieri, se non quello che «se questa creatura è chiamata ad esistere, è certamente compatibile, altrimenti non esisterebbe». La coppia decide di sottoporsi ad esami non invasivi, ma comunque di fare tutto ciò che la scienza è in grado di offrire per iniziare a curare il bimbo in grembo. Seguono ecocardiografie, l’esame del cariotipo fetale, la funicolocentesi, nel corso dei quali scoprono realtà sommerse nelle corsie d’ospedale dove le donne vanno ad abortire. «Un’esperienza che ci segnerà - dice oggi Emanuela - perché la donna quando abortisce non sarà mai più la stessa e si pente nel momento stesso in cui lo fa, ma i medici queste cose non le dicono». Nel frattempo, nella realtà parrocchiale sulla via Emilia, dove si è sviluppata una fiorente comunità tra famiglie sotto il carisma di Don Pietro Margini, parroco di Sant’Ilario fino al 1990, a sostenere i Picchi ci sono amici, parenti, ragazzi e ragazze, che per alcuni giorni si ritrovano ogni mattina alle 6,30 per pregare e accompagnare la famiglia così duramente provata. Ufficialmente la diagnosi parla di Trisomia 18 o Sindrome di Edwards. «Ci togliamo dal parcheggio dell’ospedale e vaghiamo in macchina: solo silenzio e lacrime». Lo sconforto e la paura sono grandi, ma leniti da carezze inaspettate di amici e di figli, come quella del primogenito, Francesco, che con lapidaria naturalezza dice: «Sapevo che non avreste abortito perché conosco le vostre idee, ma sono ugualmente contento che non lo abbiate fatto perché al posto del mio fratellino potevo esserci io». La scossa è di quelle salutari: «Questa è stata la conferma che ogni figlio si deve sentire amato per quello che è, e non per l’idea che ci facciamo di lui». Decidono di dargli nome Samuele, perché il Samuele della Bibbia rispose alla chiamata del Signore con: «Eccomi», poi scrivono una lettera agli amici per chiedere il loro conforto: «Sappiamo solo che Dio ha voluto così e noi dobbiamo rispondere, eccoci». La miscellanea di emozioni e di fatiche è forte: eppure gli amici si fanno vicini con una presenza carnale, in grado di materializzarsi nelle preghiere delle suore di clausura della vicina Montecchio, ma anche nelle faccende domestiche gestite a turno da altre famiglie. I due comprendono che attorno a questa sofferenza accettata sta nascendo amore: «Quanto amore hai già portato nella nostra casa e ancora non sei nato». Una sofferenza che trova un senso «nell’offrire la vita di nostro figlio in riscatto di tutte quelle che vengono cancellate dall’aborto». La gravidanza e la nascita fanno il resto. Samuele nasce il 15 maggio del 1999. E’ vivo, ma mostra i segni di sofferenza nell’assenza del pianto. Dopo poco possono portarlo a casa, ma su di lui pende una diagnosi che grava come una spada di Damocle. «Capiamo che se non possiamo dare giorni alla vita di Samuele, dobbiamo dare vita ai suoi giorni». Gli aiuti di decine e decine di amici si susseguono senza sosta. La famiglia Picchi non è sola nella quotidianità. La sofferenza offerta nel Padre nostro diventa comprensibile a chiunque si accosti a pregare ai piedi della culla del piccolo, trasformatasi in altare, dove è Gesù che entra e fa vivere «una storia d’amore» diversamente nemmeno immaginata, ma incarnatasi nell’amicizia vera. Nel pomeriggio del 13 agosto (memoria di una delle apparizioni mariane a Fatima), il piccolo Samuele riceve la cresima e si spegne in silenzio. La sua vita breve ha incrociato quella di altri e l’ha impreziosita di rapporti veri e di speranze nuove. Oggi Emanuela e Giovanni Picchi, e gli altri figli Francesco, Martino e Monica hanno deciso di sposare l’impegno in favore della vita. «Nel nostro quotidiano possiamo sostenere chi ha bisogno di coraggio e di fiducia a chi si trova solo nell’affrontare prove difficili, soprattutto quelle che riguardano l’accoglienza della vita in tutte le sue espressioni.» Ma soprattutto continuano a raccontare pubblicamente la storia di Samuele assieme agli amici che gli sono stati vicini e che già «ci erano vicini quando abbiamo fatto da fidanzati la scelta di vita di vivere in comunione con loro tutte le prove davanti a noi». Oggi, in tema di battaglie sulla difesa della legge 194, Emanuela, senza voler entrare nell’agone politico, si dice «positivamente meravigliata dal percorso di riflessione di Giuliano Ferrara», e osserva che «nessuna donna vuole davvero abortire, se è aiutata a riflettere su ciò che sta avvenendo dentro di lei. Dobbiamo sentirci tutti responsabili per evitare che una donna sia lasciata nella solitudine di fronte a questa scelta, che comunque è per lei un autentico dramma. È importante l’impegno di tutti noi, per riuscire a scuotere anche solo una coscienza». (Pubblicato sul Giornale di Reggio il 1 marzo 2008)
 
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