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Tettamanzi e i divorziati.
Di Francesco Agnoli - 23/01/2008 - Religione - 1173 visite - 0 commenti

Ci scrive Tommaso Pevarello: "Mi ha fatto sorridere l'articolo del Corriere della Sera nel quale si interpreta il contenuto della lettera che il cardinale Tettamanzi ha scritto ai divorziati, come se fosse una novità clamorosa.

Mi ha fatto sorridere perchè il porporato, pur se a volte si è reso protagonista di alcune uscite che hanno suscitato qualche imbarazzo o perplessità, non ha fatto altro che ripetere quello che la Chiesa ha sempre sostenuto. E' lui stesso che afferma: “La Chiesa non vi ha dimenticati! Tanto meno vi rifiuta o vi considera indegni”. Dunque la Chiesa (non il solo cardinale Tettamanzi!) è vicina a tutti coloro che soffrono a causa della fine del loro rapporto nuziale. E prosegue: “Nell’eucaristia abbiamo il segno dell’amore sponsale indissolubile di Cristo per noi; un amore, questo, che viene oggettivamente contraddetto dal “segno infranto” di sposi che hanno chiuso una esperienza matrimoniale e vivono un secondo legame”. Nessuna novità: non è altro che il catechismo della Chiesa cattolica. La notizia è stata volutamente manipolata dal sopra citato quotidiano nel tentativo, assai disonesto, di porre in contrapposizione una concezione “buona e aperta” del cattolicesimo, contro una presunta deriva “autoritaria e chiusa” che la Chiesa avrebbe imboccato con Benedetto XVI.

Onestamente è un tentativo così patetico che si lascerebbe commentare da solo se non fosse che alla radice ci sta un progetto ben preciso: cercare di convincere l'opinione pubblica, credenti e non, che il Papa è una persona che nuoce gravemente alla salute della società, incapace di donare un sorriso, come se tutto il suo magistero si riducesse all'emissione di condanne.

Riporto qui a tal proposito, parte della risposta che il Santo Padre aveva dato ad un sacerdote in val d`Aosta che gli poneva la domanda sui divorziati risposati esclusi dall`Eucaristia. “Non oso dare adesso una risposta, in ogni caso mi sembrano molto importanti due aspetti. Il primo: anche se non possono andare alla comunione sacramentale non sono esclusi dall’amore della Chiesa e dall'amore di Cristo. Una Eucaristia senza la comunione sacramentale immediata non è certamente completa, manca una cosa essenziale. Tuttavia è anche vero che partecipare all’Eucaristia senza comunione eucaristica non è uguale a niente, è sempre essere coinvolti nel mistero della Croce e della risurrezione di Cristo. È sempre partecipazione al grande Sacramento nella dimensione spirituale e pneumatica; nella dimensione anche ecclesiale se non strettamente sacramentale. E dato che è il Sacramento della Passione di Cristo, il Cristo sofferente abbraccia in un modo particolare queste persone e comunica con loro in un altro modo e possono quindi sentirsi abbracciate dal Signore crocifisso che cade in terra e muore e soffre per loro, con loro. Occorre, dunque, fare capire che anche se purtroppo manca una dimensione fondamentale tuttavia essi non sono esclusi dal grande mistero dell’Eucaristia, dall’amore di Cristo qui presente. Questo mi sembra importante, come è importante che il parroco e la comunità parrocchiale facciano sentire a queste persone che, da una parte, dobbiamo rispettare l’inscindibilità del Sacramento e, dall’altra parte, che amiamo queste persone che soffrono anche per noi. E dobbiamo anche soffrire con loro, perché danno una testimonianza importante, perché sappiamo che nel momento in cui si cede per amore si fa torto al Sacramento stesso e l’indissolubilità appare sempre meno vera. Da una parte, dunque, c’è il bene della comunità e il bene del Sacramento che dobbiamo rispettare e dall’altra la sofferenza delle persone che dobbiamo aiutare.”

Mi sembrano parole che nulla hanno da invidiare a Tettamanzi il Buono. Il fatto è che i paladini del laicismo integrale, che non hanno mai letto né i suoi scritti da cardinale, né quelli da pontefice, nello scontro frontale ne sono usciti a pezzi."

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