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Campane come le stelle
Di don Massimo Vacchetti - 06/01/2008 - Religione - 1302 visite - 0 commenti
Sono stato qualche giorno sul Corno alle Scale con alcuni giovani della parrocchia. Una classica uscita come sempre meno forse se ne combinano nelle nostre parrocchie. Il che è un guaio perché il cristianesimo è generato, soprattutto, da un’amicizia. Quella di Dio verso l’uomo e quella di Cristo verso alcuni specifici volti: Pietro, Giacomo, Giovanni, Andrea, Tommaso, Simone, Filippo, Giuda… Il nostro stare insieme nasce dalla scelta di Gesù che non ha, primariamente, fatto degli annunci, non ha insegnato una morale, non ha guarito i malati del suo paese, né tantomeno ha provveduto a denunciare le povertà nel mondo…Ciò che, subitamente, Cristo ha generato è un’affezione, un’amicizia, un rapporto. I dodici sono il primo gruppo parrocchiale. I nostri ne sono dei riverberi…perché il cristianesimo è un’amicizia. Una famosa canzone che si cantava da ragazzi diceva “ho un amico grande, grande, di più grande non ce n’è…”. La Chiesa è questa immensa compagnia di amici legati tra loro perché afferrati dall’amicizia con Cristo. E’ questa che la rende missionaria perché “da come vi volete bene, cioè da come sarete amici tra di voi, riconosceranno che siete miei”. L’amicizia è missionaria di sua natura. Mentre l’amore è, in un certo qual modo, esclusivo, l’amicizia è, per sua natura, un’apertura, richiama ad una compagnia più ampia. L’amicizia è, cioè, un segno. Rimanda a Gesù. Guardando questo segno, vi riconosceranno. Dal segno che siete, giungeranno a me. A desiderare ciò che vi unisce in quella maniera. L’amicizia intesa come appartenenza ad un comune ideale e non semplicemente come compagnia di bagordi, è segno dell’ideale. Ciò che ci unisce non è la simpatia, né la comunanza sociale, ma l’ideale. E l’ideale, per un cristiano, è Cristo. A proposito di segni, vorrei raccontarvi un fatto accaduto proprio stamattina. Ho chiesto loro di aiutarmi a preprare l’omelia che varei dovuto tenere nella Messa dell’Epifania. Il Vangelo è quello dei Magi. Quello in cui alcuni uomini da Oriente dopo un lungo peregrinare, inseguendo la stella, giungono alla grotta di Betlemme. Ho chiesto loro di fare alcuni minuti di silenzio e di condividere alcune reazioni cui la lettura li aveva provocati. I più di loro si son soffermati sulla questione del segno della stella. “Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo (…) Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia”. I Magi hanno seguito un segno e al vedere il segno – la stella - hanno provato una grandissima gioia. Provano gioia al vedere la stella. Il punto successivo del Vangelo racconta l’ingresso nel luogo, la prostrazione, l’adorazione, la consegna dei doni. Ma la gioia è per il segno, per la stella. In alcune loro osservazioni, mi pareva di sentire, silenziosamente amara, il rammarico di non avere segni chiari come la stella. Sentivo questo discreto rimprovero come una responsabilità perché, in fondo, io sono, per Grazia, un segno dato a loro. Sono mandato tra loro perché attraverso di me, con tutti limiti del segno umano, possano giungere a Cristo. A questo punto mi è venuto in mente un fatto che mi è accaduto in questi giorni, per me, tumultuosi. Bisogna che però premetta qualche nota di comprensione. La Chiesa parrocchiale dove sono appena giunto come parroco, è stata chiusa per diverso tempo in attesa di alcuni lavori di restauro. Ma già da alcuni anni, le campane della Chiesa non suonavano l’inizio delle celebrazioni o il mezzogiorno. Insomma, l’edificio sacro era chiuso, il campanile muto. Per il mio ingresso il Cardinale ha disposto la riapertura del tempio, mentre – come primo desiderio - ho chiesto che i campanari suonassero a festa per il mio arrivo. Ho pensato a quell’episodio dei Promessi Sposi in cui l’Innominato, dopo la notte travagliata, sente il suono delle campane e vede, dalla finestra, il camminare lieto di chi vuole raggiungere in fretta un luogo. Si domanda per chi o cosa si faccia festa. Quando gli viene riferito che è per il sopraggiungere del Cardinal Borromeo, ha un sussulto e ripete turbato: “Per un uomo, per uomo”. Come andarono poi le cose su quelle pagine lo sappiamo. Nel mio piccolo speravo che il segno delle campane potesse convocare qualcuno al mio ingresso. Qualche giorno dopo ricevo due telefonate dal tono commosso e pieno di gratitudine. Mi ringraziano per aver sentito le campane della Chiesa. Non si tratta di un fatto nostalgico. Sarebbe ben poca cosa. Semplicemente avevano udito il segno della Presenza di Dio. La conferma l’ho avuta qualche giorno dopo da una persona che fermandomi per strada mi ha detto: “Padre, è una grande inizio aver riaperto la Chiesa. Vede, Lei in Chiesa non mi vedrà spesso. Anzi. Non vengo volentieri, glielo dico subito. Ma sapere la Chiesa chiusa mi faceva un gran tristezza. Anche se non ci entro, glielo assicuro, io la Chiesa voglio aperta”. Ripensando alla “grandissima gioia” provata dai Magi, ho pensato a loro. Hanno udito il suono delle campane e hanno visto la Chiesa aperta. Non è molto, ma il segno, molte volte basta. Gesù ce ne ha dati sette di segni. I sacramenti sono i segni della Sua Presenza. Son convinto che per alcune anime, anche le campane vibrano della Presenza di uno che mi salva così come sono fatto. Non so se il mio Vescovo mi rimuoverà dopo questa eresia, ma sarebbe bello che uno dicesse, un giorno, che le campane sono l’ottavo sacramento. Ascoltarle e commuoversi, non deve esser stato troppo diverso dalla gioia dei Magi, dallo stupore dei pastori o dal trasalimento di quelli che un giorno si sentirono chiamare da Gesù, il Figlio di Dio, “amici”. Ai miei giovani non basta forse sentir le campane, forse bisognerà che le suonino. Io ho provato e vi assicuro che ci vuole della grinta.
 
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