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Quell'angelo rimasto senza giustizia
Di Rassegna Stampa - 14/11/2007 - Attualitą - 1050 visite - 0 commenti
Nei Fratelli Karamazov, a una donna che piange la scomparsa del suo bimbo di non ancora tre anni , lo starec Zosima racconta che i piccoli morti si presentano a Dio chiedendo conto del perché li avesse messi al mondo per concedergli poi una vita così breve. Dio risponde che proprio loro, gli Innocenti per definizione, diventano subito angeli, e dal cielo possono confortare la mamma e il papà che sono rimasti giù, prigionieri del tempo e dello spazio, a piangerli. Ma noi, noi poveri mortali pieni di dubbi e di domande cui non riusciamo a trovare risposta, che cosa possiamo pensare del destino della piccola Matilda, la bimba di ventidue mesi uccisa due anni fa nel Vercellese? Guardatela, in questa foto: è l’icona suprema della felicità. Si capisce che attorno a sé vede, perfino tocca solo amore. È il volto radioso di chi si affaccia alla vita e percepisce una promessa di gioia infinita. E invece. A questa piccola bellissima bambina è stato riservato - ahimè tanto presto - non solo il male del mondo, ma tutto il possibile male del mondo. La morte, così precoce. Di più: la morte per mano d’uomo. Di più: la morte impunita. La storia di Matilda sembra la concentrazione di ogni schifezza che il mondo dei «grandi», quella schifezza che i bambini neppure immaginano, può produrre. L’altro ieri sua mamma, una bella ex hostess dell’Alitalia, è stata assolta dall’accusa di averla uccisa. I giudici non ci hanno dato la certezza dell’innocenza: hanno applicato quella norma che vuol dire più o meno «insufficienza di prove», come si diceva una volta. Però una certezza l’abbiamo: a uccidere Matilda o è stata la mamma, o è stato il fidanzato della mamma. Anch’egli fu infatti indagato, e poi prosciolto. Perché diciamo che questa - o lei o lui - è la nostra unica certezza? Perché al momento del delitto nella villetta di Roasio c’erano solo loro tre: Matilda con sua mamma e il nuovo compagno. Da allora, da quel 2 luglio 2005, Elena Romani e Antonio Cangialosi si accusano a vicenda. «È stato lui». «È stata lei». Uno dei due mente. Uno dei due ha ucciso. Ma chi? I giudici non hanno saputo capire. Però non è una sconfitta della magistratura, né della polizia o dei carabinieri: il tragico destino riservato a questa bambina è semplicemente il segno della nostra miseria. Matilda è venuta al mondo per l’amore tra sua mamma e un uomo sfortunato, finito nella spirale della droga. Poi mamma e papà si sono separati, e lei ha trovato come nuovo compagno un uomo che aveva anch’egli, alle spalle, una brutta storia: la moglie uccisa, lui indagato e poi assolto. Hanno raccontato, Elena e Antonio, che quel 2 luglio si erano visti a casa di lui, la piccola dormiva, loro avevano fatto l’amore. Ma poi è successo qualcosa, la piccola si è svegliata, qualcuno le ha sferrato un calcio alla schiena e l’amore è diventato odio: «è stata lei», no «è stato lui». Cara Matilda, te ne sei dovuta andare presto, da questo letamaio: ma hai fatto in tempo a vedere tutto il male di cui siamo capaci. Se il mondo è questo, davvero nell’aldilà è «meglio venirci ansante, roseo, molle di sudor, come dopo una gioconda corsa di gara per salire un colle! Meglio venirci con la testa bionda». E se davvero esiste quel Dio di cui parla lo starec Zosima, non c’è dubbio che accolga i bambini come angeli, perché solo di essi - o di chi come essi diventa - può essere un Regno dei Cieli. Chissà. Intanto noi riguardiamo la foto di Matilda felice e ignara, e vogliamo ricordarla com’era, pensare che ancora vive, e come allora sorride. Michele Brambilla – Il Giornale, 14 novembre 2007
 
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