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Una ipotesi sulla morte della piccola Maddie McCann
Di Francesco Agnoli - 10/11/2007 - Bioetica - 1280 visite - 0 commenti

La sua storia sta interessando il mondo, sempre più diviso, come in tutte queste faccende, tra colpevolisti e innocentisti. Mi riferisco alla vicenda di Kate McCann, la donna che ha commosso tutti con la vicenda della sua piccola Maddie, dichiarata rapita e cercata in ogni modo e con ogni mezzo. Poi la notizia shock: forse Maddie è stata uccisa, dai suoi stessi genitori. In tutta questa vicenda, a quanto ho capito, ci si divide tra coloro che non riescono ad immaginare una signora così bella, colta e raffinata, che elimina il suo cucciolo, e coloro, invece, che vedono in lei una pazza, una assassina.

Forse, dico forse, la vicenda è più complessa. Su Repubblica del 19 settembre, in un trafiletto molto piccolo si legge che Kate, medico cattolico, ha avuto Maddie dopo cinque anni di tentativi a vuoto, con la fecondazione artificiale. Dopo di lei ha avuto due gemelli, a quanto si capisce in maniera naturale. Siamo già dinanzi ad una vicenda classica: una donna che può avere figli, costretta al calvario della fiv, finito il quale nascono, naturalmente, altri figli.

Ma l'aspetto che mi sembra assurdo ignorare è questo: si può dimenticare, nell'analisi dell'accaduto, il modo con cui Kate ha concepito sua figlia? Leggendo la storia di tante donne che sono ricorse alla fiv si scopre quanto dolore e quante difficoltà siano insite in questa scelta. Daniela Pazienza, nel suo "Io e la fecondazione assistita" (Armando), racconta così la sua esperienza: "Ogni risultato negativo del test di gravidanza mi arrivava come una tempesta, perché sino all'ultimo momento della terapia mi illudevo che fosse positivo….alla delusione subentrava la rabbia e alla rabbia subentrava la voglia di riprovare al più presto…l'unica volta che sono rimasta incinta, il momento in cui ho saputo il risultato positivo è stato per me molto strano. Ero contenta della notizia, ma al tempo stesso venivo presa da mille paure, tanto da non riuscire ad assaporare la gioia".

E' un classico anche questo: sono innumerevoli le donne che cercano, provano, riprovano, vengono bombardate, ogni volta, di ormoni, abortiscono ripetutamente, e che poi, all'improvviso, quando la notizia sembra buona, crollano, distrutte, spaventate, insicure. Non è facile sottoporsi a quella iperstimolazione ovarica che è il preliminare della fiv e che riduce l'ovaio della donna, per usare una espressione di Carlo Flamigni, ad un "grosso melone". Non è facile e non è naturale.

Chiara Valentini, nella sua inchiesta sulla fiv in Italia, "La fecondazione proibita" (Feltrinelli) racconta numerosi casi di donne rovinate, che hanno contratto tumori al seno, o che hanno subito sul loro corpo i tentativi più disparati: "Il corpo di quelle donne veniva usato come una cosa inanimata e senza volontà, come se la situazione di medico che può far partorire un figlio gli desse un diritto speciale". E riferisce la storia di donne con vicissitudini come questa: "Non sapevo che stavano cominciando anni di tortura. Alla prima stimolazione ormonale ero rimasta incinta, ma i medici non s'erano accorti e avevo perso il bambino. Poi avevo avuto una gravidanza extrauterina e avevo dovuto abortire….". La Valentini cita anche "catastrofi a sfondo psicologico che riportava nei suoi saggi qualche specialista: un uomo che si spara un colpo in testa il giorno stesso dell'impianto dell'embrione ala moglie, una donna di Lione che andando in macchina a riprendere i suoi tre gemelli nati prematuri dalla provetta chiede al suo compagno di fermare la macchina su un ponte e si getta nel vuoto".

Anche Manuela Ceccotti, psicologa, psicoterapeuta e pedagogista, nel suo "Procreazione medicalmente assistita" (Armando), si occupa del dramma delle sterilità e racconta lo "stato di frustrazione che segue esperienze così coinvolgenti, sia dal punto di vista della salute fisica che mentale": "depressione, isolamento sociale ed, in generale, una percezione di non positiva qualità della vita emergono come caratteristiche rilevanti, anche a distanza di anni dall'interruzione dei trattamenti". Citando studi scientifici, la Ceccotti prosegue: "Galli (2002) afferma che spesso, nella Pma, medico e cura prendono il posto del figlio. Il protrarsi nel tempo della circolarità-fallimento-illusione-aspettativa, incentiva il ripetersi del fare e può determinare una patologia del trauma ripetuto, con pesanti ripercussioni sull'intero equilibrio psicologico…Diversi autori sono concordi nell'affermare che il peso psicologico delle cure supera quello fisico (Van Balen, 1966)". Il libro della Ceccotti si conclude con un caso di cui è stata testimone: la storia di una donna che ha abortito, poi è ricorsa alla fecondazione artificiale. La donna ha avuto due figli, dopo svariati tentativi, ma in breve la fatica è divenuta "insostenibile": "quando il marito la vede scrollare il bambino che sta piangendo, si spaventa e la manda da uno psichiatra che le dà dei sedativi".

E se la povera Kate, fosse anche lei vittima, come tante altre donne, di questa devastante potenzialità negativa insita nei vari procedimenti della fecondazione artificiale?

 
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