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1919, Keynes e la «finta» pace
Di Rassegna Stampa - 02/09/2007 - Storia del Novecento - 1380 visite - 0 commenti

Lo studioso era convinto che il mondo avrebbe avuto un altro futuro se i vincitori del primo conflitto avessero capito che i problemi più gravi non erano territoriali o politici, bensì economici

Di Dario Antiseri (Avvenire, 2/9/2007)

È nel dicembre del 1919 che esce il libro Le conseguenze economiche della pace di John Maynard Keynes (1883-1950), opera destinata ad una immediata e immensa fortuna: il libro venne tradotto in 11 lingue e in Inghilterra se ne vendettero, in poco tempo 140.000 copie. Il saggio venne scritto a seguito della partecipazione di Keynes, quale membro della delegazione del Tesoro inglese, ai negoziati di Versailles sul Trattato di Pace tra le potenze vincitrici e la Germania.

Esso contiene un impietoso e documentatissimo atto di accusa contro la decisione dei vincitori di imporre le più pesanti riparazioni per i danni di guerra a carico degli sconfitti. Decisione e scelte che immancabilmente - secondo la «Cassandra» Keynes - avrebbero avuto come unico esito il ritorno di una Germania umiliata e impoverita e, di conseguenza, lo scatenamento di una nuova guerra: «Se punteremo deliberatamente all'impoverimento dell'Europa Centrale, la vendetta, io mi azzardo a prevedere, non potrà mancare». Ci sarà una nuova guerra, «davanti alla quale appariranno trascurabili gli orrori della recente guerra tedesca» - scoppierà, una guerra, insomma «che distruggerà, chiunque ne sarà il vincitore, la civiltà e il progresso della nostra generazione».

Il 13 maggio del 1919 il conte Brockdorff-Rantzau comunicò alla Conferenza di pace delle Potenze Alleate il rapporto della Commissione economica tedesca incaricata di studiare gli effetti delle condizioni di pace sulla situazione della popolazione tedesca. In questa comunicazione, Brockdorff-Rantzau, tra l'altro, diceva: «Tra brevissimo tempo la Germania non sarà in condizione di dare pane e lavoro ai suoi milioni e milioni di abitanti, cui viene impedito di guadagnarsi da vivere con la navigazione e il commercio». E concludeva con le seguenti parole: «Chi firma questo Trattato firmerà la condanna a morte di molti milioni di uomini, donne e bambini tedeschi». Ed ecco il commento di Keynes: «Non mi risulta che queste parole abbiano avuto risposta adeguata (…) Questo è il problema fondamentale che abbiamo di fronte, rispetto al quale le questioni delle modifiche territoriali e sull'equilibrio europeo sono insignificanti». Ciò, per la ragione, proseguiva Keynes, che «alcune delle catastrofi della storia, ritardatrici per secoli dal progresso umano, sono scaturite dalle reazioni all'improvvisa scomparsa, per eventi naturali o per opera dell'uomo, di condizioni temporaneamente favorevoli che avevano permesso la crescita della popolazione oltre il numero sostentabile quando le condizioni favorevoli ebbero fine».

 La preoccupazione di fondo di Keynes era, insomma, che l'Europa avrebbe potuto sperare in un «ben diverso futuro», se i vincitori «avessero capito che i problemi più gravi reclamanti la loro attenzione non erano politici o territoriali ma finanziari ed economici, e che i pericoli del futuro non stavano in frontiere e sovranità, ma in cibo, carbone e trasporti». Ma così non fu. Clemenceau «aveva una sola illusione, la Francia; e una sola delusione, l'umanità, inclusi i francesi e non ultimi i suoi colleghi» per lui «il tedesco era in grado di capire soltanto l'intimidazione»; dunque, arrogante e miope Clemenceau , arrendevoli Wilson e Lloyd George, sostanzialmente inconsistente Vittorio Emanuele Orlando. Da qui un Trattato di pace che, se mandato ad effetto, non può che danneggiare ulteriormente l'opera rovinosa cominciata dalla Germania. Fu proprio la consapevolezza delle disastrose conseguenze economiche della pace per il destino dell'Europa e della civiltà occidentale a motivare le dimissioni di Keynes dall'incarico di rappresentante del Tesoro inglese alla Conferenza di Versailles.

Il 7 giugno del 1919 egli scriveva al Premier Lloyd George: «Anche in queste ultime, angosciose settimane ho continuato a sperare che avreste trovato un qualsiasi modo per fare del Trattato un documento giusto e realistico. Ma ora, evidentemente, è troppo tardi. La battaglia è perduta». Keynes lascia Parigi e si ritira nel Sussex, dove scrive in un paio di mesi il suo profetico atto di accusa. Una lezione di onestà, coraggio e lungimiranza. E di umana sensibilità:« I problemi finanziari che incombevano sull'Europa non potevano essere risolti dall'avidità. Per essi la possibilità di cura stava nella magnanimità».

 

 
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