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Referendum sulla scuola. Perché votare "no" è meglio dell'astensione
Di Antonio Girardi - 09/08/2007 - Scuola educazione - 1364 visite - 0 commenti

Due considerazioni sul referendum in programma domenica 30 settembre contro l’inserimento previsto dalla legge delle scuole paritarie nel sistema educativo e formativo del Trentino.

1. La prima è che, diversamente da quel che si dice, i promotori della consultazione non ce l’hanno affatto con le “scuole private”.

Per loro il punto inaccettabile consiste nella parificazione giuridica di alcune di queste scuole. In altri termini la Provincia non avrebbe dovuto accordare riconoscimento legislativo ad istituti sorti e gestiti da enti diversi dalla pubblica amministrazione.

Il ragionamento dei referendari è questo: i privati sono liberissimi di creare e gestire degli istituti educativi o formativi di qualsiasi tipo (non importa se cattolici, steineriani, profit, no profit o altro) così come di chiedere e di ricevere contributi da enti pubblici. Non è però tollerabile che la Provincia dedichi espressamente alcune norme della legge del settore anche a scuole come queste, delle quali non ha il totale controllo, garantendo conseguentemente ad esse il diritto di ricevere un sostegno pubblico sistematico e non puramente episodico, legato a convenzioni e accordi temporanei.

E ciò per una ragione inequivocabile: una volta che le norme hanno sancito, come è accaduto con la legge provinciale 5 del 2006, la piena partecipazione di questi istituti al sistema educativo e formativo del Trentino, attribuendo in tal senso ad essi il titolo di “paritari”, il governo provinciale, chiunque lo guidi, non può più decidere discrezionalmente, in base al proprio programma, alla propria strategia o al proprio gradimento politico, di ignorarli o di riservare ad essi un trattamento anche finanziariamente in contrasto con la legge.

Il referendum non propone, quindi, di negare alla Provincia la possibilità di concedere risorse alle scuole paritarie. Chiedendo di votare “sì” i promotori della consultazione invitano i cittadini del Trentino a lasciare completamente in balìa del potere politico, vale a dire del “colore” e degli umori dell’esecutivo e della maggioranza di turno, la scelta di aiutare più o meno generosamente, di elargire più o meno benevolmente (ma potremmo usare anche il verbo “comperare”), oppure di ignorare le scuole che non dipendono direttamente dalla Provincia.

Ciò che più ripugna nella posizione dei referendari è dunque il profilo ricattatorio del rapporto fra potere politico provinciale ed enti del privato-sociale (molto interessanti perché più popolari del “privato-privato”), al quale vorrebbero esporre queste scuole e chiunque – famiglie, ragazzi, docenti – ad esse si rivolga. Escludendole dalla legge e quindi dal Sistema educativo e formativo pubblico, sarà infatti molto più agevole, per chi occupa ruoli di governo, aprire o chiudere a piacere i “cordoni della borsa” nei confronti di questi istituti in cambio di consenso politico. Anche se le norme non eliminano del tutto il rischio, di certo lo limitano notevolmente.

2. Anche per impedire questa ulteriore e odiosa forma di soggezione della società alla politica (perché i cosiddetti “privati” altro non sono che la società, cioè noi), le scuole paritarie sono state incluse dalla Provincia nella legge 5 del 2006.

E per la stessa ragione ritengo che il referendum finalizzato a cassare queste importanti norme offra oggi ai trentini un’occasione propizia per rivendicare e riproporre con chiarezza, andando a votare “no”, il primato della società sulla politica.

Chi crede davvero nel valore irrinunciabile di questo primato, con il referendum ha l’opportunità di respingere apertamente, esprimendo nella scheda la propria contrarietà, l’attacco portato da chi vorrebbe invece cancellarlo.

Oggi più che mai occorre, a mio parere, dimostrare visibilmente come la schiacciante maggioranza dei trentini crede davvero nella responsabilità educativa della famiglia e nell’utilità sociale, cioè “pubblica”, dell’iniziativa di associazioni ed enti sociali impegnati a sostenere i genitori nel difficile compito formativo loro affidato dalla Costituzione e dalla natura.

Penso che non recandosi alle urne in seguito a una campagna che raccomandi l’astensione, non si otterrebbe lo stesso risultato. Si permetterebbe invece ai “sì” di affermarsi nettamente. E in questo caso, anche se i voti restassero molto al di sotto del 50% di affluenza degli aventi diritto, quorum necessario perché l’esito del referendum sia considerato valido, emergerebbe soprattutto un dato: la scarsa capacità non solo delle “paritarie” ma soprattutto dei tanti cittadini e delle numerose associazioni, realtà sociali e famiglie che ritengono prezioso il servizio da esse reso al bene comune, di dar ragione del pieno diritto di cittadinanza di queste scuole nella legge provinciale da cui è disciplinato il sistema dell’offerta educativa e formativa pubblica del Trentino.

In definitiva: il non-voto dei più, decreterebbe magari l’insuccesso del referendum ma regalerebbe comunque ai “sì” un certo successo politico. Se invece i “no” prevalessero sui “sì”, vincerebbero - in ogni caso e indiscutibilmente - tanto le paritarie quanto la società e, in essa, soprattutto le famiglie con la loro libertà di scelta in campo educativo e formativo. E la legge provinciale sarebbe considerata un passo irreversibile verso la piena realizzazione di questo obiettivo.

Antonio Girardi

 
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