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Paritaria: perchè dico NO al referendum
Di Mario Malossini - 24/07/2007 - Scuola educazione - 1551 visite - 0 commenti
Vorrei chiarire il senso della posizione contraria assunta da Forza Italia del Trentino di fronte al prossimo referendum abrogativo delle norme che, nella legge provinciale 3 del 2006 sul nostro sistema educativo, sanciscono anche la partecipazione delle scuole paritarie all’offerta formativa e il diritto delle famiglie e degli studenti iscritti a queste strutture di non essere in alcun modo discriminati rispetto a chi ha scelto gli istituti direttamente gestiti, invece, dall’ente pubblico. Noi riteniamo infatti che oggi sia assolutamente necessario collocare al centro delle politiche scolastiche e formative la persona. Persona intesa non astrattamente, ma nel suo diritto di realizzare fino in fondo e liberamente se stessa attraverso la famiglia e nella comunità sociale. Ora, coerentemente con l’articolo 30 della Costituzione (“È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio”), siamo convinti che il primo dato da tener presente affrontando questo tema – dato ignorato dai promotori del referendum – è che i soggetti del rapporto educativa non sono soltanto due: da una parte gli studenti con il loro bisogno di istruzione e formazione, e dall’altra la società civile erogatrice attraverso le sue istituzioni dei servizi scolastici indispensabili per rispondere a questa istanza. No: tra i soggetti del rapporto educativo c’è anche, e anzi in primo luogo, la famiglia con il suo diritto-dovere, previsto appunto dalla Costituzione, di esercitare una precisa responsabilità nei confronti dei figli. Responsabilità che consiste nel garantire loro l’educazione, vale a dire un percorso introduttivo al reale nella sua complessità e alla maturazione della personalità dei bambini e dei ragazzi, per compiere il quale la famiglia interviene sia direttamente, soprattutto nei primi anni di vita, sia – laddove non ha la possibilità di assumersi da sola questo onere – attraverso la scuola. In quest’ottica la famiglia non è dunque solo un attore passivo, che si limita a sottoporre alla società civile una domanda, un bisogno di natura educativa. La famiglia rappresenta anche e soprattutto un soggetto attivo, chiamato a farsi carico anche della risposta da dare al bisogno educativo dei bambini e dei ragazzi. Il secondo punto nodale di questo ragionamento riguarda la comunità che con le sue istituzioni e iniziative non può sottrarsi al dovere di coadiuvare le famiglie impegnate ad esercitare la loro responsabilità educativa. Attraverso la scuola la società civile è cioè tenuta a proporsi e ad affiancarsi alla famiglia – non ad imporsi ad essa – per permetterle di svolgere fino in fondo la sua primaria responsabilità educativa. Questo approccio particolarmente vicino, sensibile e attento alla persona e alla famiglia appartiene da sempre, in primo luogo, alle formazioni sociali ad essa più “prossime”, vale a dire a quei soggetti del Terzo Settore impegnati a promuovere iniziative e servizi scolastici corrispondenti alla responsabilità educativa delle famiglie e al tempo stesso ai bisogni educativi dei bambini e dei ragazzi. Non a caso storicamente, anche nella tradizione trentina, le scuole, a partire dalle “materne”, per proseguire con quelle dell’obbligo e la formazione professionale sono nate dall’iniziativa autonoma della stessa società civile, dalle comunità locali, dagli ordini religiosi, dalle associazioni di genitori e insegnanti e non, quindi, innanzitutto dall’ente pubblico, intervenuto piuttosto ad integrare e completare l’offerta laddove questa risultava carente. Oppure a sostenerla finanziariamente, come oggi è previsto appunto dalla legge provinciale varata l’anno scorso. Cosa significa questo? Significa che quella che potremmo chiamare la “scuola della società civile”, precede il servizio educativo erogato dai pubblici poteri sia sul piano dei principi che nei fatti. Ecco la prima ragione di fondo per cui le istituzioni scolastiche e formative create e gestite dalla società civile attraverso vari enti e associazioni no profit, hanno indiscutibilmente diritto di cittadinanza e titolo per beneficiare dello stesso trattamento riservato a quelle che dipendono direttamente dalla Provincia o dallo Stato. A ciò bisogna aggiungere che in Trentino le scuole paritarie godono di un largo e convinto apprezzamento da parte della popolazione, proprio per la funzione di pubblica utilità svolta da sempre e in virtù del servizio educativo di qualità prestato alle famiglie. Ed è appunto questo diritto di cittadinanza nel sistema educativo pubblico del Trentino disegnato dalla legge provinciale 3 del 2006 che i promotori del referendum vorrebbero innanzitutto negare. Essi infatti non negano che possano esistere delle scuole non istituite e gestite dall’ente pubblico, ma pretendono di escludere questi istituti da qualunque forma di riconoscimento normativo. Non si tollera cioè che queste scuole svolgano un servizio di pubblica utilità e per questo il referendum chiede innanzitutto di togliere dal “piano provinciale per il sistema educativo” previsto dalla legge 3 il riferimento alla “rilevazione” sul territorio della presenza di istituzioni paritarie (questo avverrebbe appunto con l’abrogazione del comma 7 dell’articolo 35). L’inserimento degli istituti paritari nel piano provinciale per il sistema educativo implica, infatti, il piano riconoscimento non solo dell’esistenza di queste scuole, ma anche del loro diritto a non essere discriminate giuridicamente e finanziariamente rispetto a quelle direttamente gestite dall’ente pubblico. Di qui anche l’insistenza con cui nella campagna per raccogliere le firme necessarie per ottenere il referendum, i promotori hanno utilizzato l’espressione “scuole private” anziché la formula appropriata di “scuole paritarie”, per definire questi istituti. Operazione, questa, volutamente propagandistica e capziosa, perché chiunque conosca la realtà di queste scuole sa bene quanto siano profondamente diverse dagli istituti attivi sul mercato. Non solo perché, a differenza di questi ultimi, le paritarie sono scuole no profit che non producono alcun utile e i cui bilanci sono assoggettati per legge al controllo della Provincia, ma soprattutto per il carattere popolare di questi istituti, accessibili a tutti, comprese le famiglie che non potrebbero permettersi di pagare una retta elevata. Se dovessero essere estromessi dalla pianificazione provinciale questi istituti, non beneficiando più dei contributi pubblici, avrebbero due sole strade possibili: quella di trasformarsi in scuole d’elite e quindi a pagamento, precludendo l’accesso ai più per motivi economici; oppure quella di chiudere. Non si vede in che modo l’una o l’altra di queste soluzioni potrebbe giovare al sistema educativo del Trentino. Di sicuro si registrerebbe la perdita di molti posti di lavoro del personale che attualmente opera negli istituti paritari, ma soprattutto gli studenti e le famiglie non avrebbero più la possibilità di scegliere liberamente un percorso educativo che finora si è sempre dimostrato sensibile e capace di corrispondere alle esigenze di quanti si sono rivolti ad esso. Un percorso educativo, quello messo a disposizione dalle scuole paritarie, che ha innegabilmente concorso alla crescita di una coscienza civica diffusa e alla maturazione personale e sociale di figure che hanno oggettivamente contribuito allo sviluppo complessivo del Trentino. Ciò prova che a questi istituti non appartiene in alcun modo quel profilo confessionale, ideologicamente chiuso e culturalmente “di parte”, artatamente attribuito ad essi dai promotori di questo referendum. Per questi motivi l’anno scorso il gruppo consiliare di Forza Italia aveva sostenuto con il voto gli articoli, elaborati anche con il nostro contributo, che nella legge 3 sanciscono il coinvolgimento delle scuole paritarie, dei loro studenti e delle loro famiglie nel sistema educativo della Provincia autonoma di Trento. E per gli stessi motivi oggi ribadiamo il valore dell’articolo 76 – l’altra norma che i referendari vorrebbero abrogare – che attua semplicemente gli articoli 30 e 33 della Costituzione, vale a dire il diritto degli studenti delle scuole paritarie ad un trattamento equipollente e il diritto della famiglia ad essere sostenuta nell’adempimento dei suoi compiti educativi quando scelgono questi istituti. Un ultimo rilievo. Il fatto che alcuni componenti dell’attuale maggioranza politica provinciale da cui era stata voluta la legge sulla scuola dell’anno scorso, oggi siano apertamente schierati a fianco dei promotori del referendum per abrogarne queste norme non certo secondarie, rivela quanto profonde e insanabili siano le divaricazioni interne all’attuale coalizione proprio su questioni come questa, della massima rilevanza sociale, culturale e politica per la nostra comunità. Una spaccatura questa che mostra ai cittadini del Trentino non solo la necessità, ma anche l’urgenza di voltare pagina e di accordare fiducia ad una diversa maggioranza, coesa su questo ed altri punti cruciali e decisivi per la qualità della nostra convivenza e lo sviluppo del nostro sistema.
 
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