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Il caso Galileo: controstoria. III puntata
Di Francesco Agnoli - 22/07/2007 - Scienza - 1990 visite - 0 commenti

La tattica adottata, in extremis, dal Dalle Colombe e dai suoi alleati, perdenti sino a questo momento grazie al ruolo dei Gesuiti, si rivela immediatamente efficace. La polemica sulla presunta inconciliabilità tra copernicanesimo e Scritture esplode per una serie di motivi che non è facile comprendere del tutto.            

Certo non è un caso che a prestarsi al gioco, non senza violente polemiche con alcuni confratelli, siano due dominicani: siamo nell'epoca in cui altri due domenicani, Giordano Bruno e Tommaso Campanella, sostengono l'eliocentrismo "copernicano", ma in nome delle loro convinzioni magiche ed astrologiche, al di fuori di qualsiasi prospettiva scientifica. Si dimentica troppo spesso che la nascita della scienza moderna è contemporanea ad un grande scontro epocale, quello tra Chiesa e visione magica del mondo, che avrebbe potuto cambiare il corso della nostra cultura. Neoplatonismo, neopitagorismo ed ermetismo rinascimentali, infatti, non hanno portato solo un interesse verso visioni matematiche, per il vero molto simboliche e astratte, ma anche per interpretazioni del mondo in chiave animista e panteista, e quindi magica.

La "città del Sole" di Campanella è costruita in modo da captare gli influssi astrali, e il sole vi appare quindi come una vera divinità. Come ha notato Paolo Rossi in origine "i primi sostenitori della verità copernicana non sono certo facilmente inseribili tra i moderni o tra gli assertori di un nuovo metodo scientifico", per cui "parlare di 'arretratezza scientifica' di fronte alle incertezze manifestate in quegli anni è un non senso".                         Infatti Giordano Bruno nel 1585 difende la teoria di Copernico "sullo sfondo della magia astrale e dei culti solari", legandola alla filosofia di Marsilio Ficino, che non disdegnava presentarsi come un sacerdote del culto solare e che considerava i pianeti come "stelle viventi" e "grandi animali". Nel 1592 Francesco Patrizi era stato condannato per aver sostenuto sì la rotazione della Terra, ma all'interno di una visione secondo la quale gli astri hanno vita spirituale e intelligenza. Robert Recorde, John Dee e Thomas Digges, tutti personaggi che si richiamano a Copernico sono accesi sostenitori dell'ermetismo e dell'astrologia. Anche nei testi di Wiliam Gilbert, "anch'egli in qualche modo copernicano, non mancano temi vitalistici né richiami a Ermete, Zoroastro, Orfeo" (P.Rossi, "La nascita della scienza moderna in Europa", Laterza, pp.88-89). La centralità del sole è per loro di tipo sacrale, non astronomica e fisica.

Lo stesso Copernico, che come medico "praticò la medicina per mezzo della teoria degli influssi astrali", era stato in parte condizionato dal neoplatonismo e dal neopitagorismo rinascimentali, dando alla centralità del sole, in certi momenti, quasi un significato mistico, religioso (Antiseri, Koyrè, Yates). Non c'è da stupirsi allora se tra gli uomini di Chiesa, gli unici che combattono il revival magico e la rinascente eliolatria pagana, in nome della ragione, e quindi della scienza, alcuni finiscano per interpretare Copernico negativamente, a causa delle strumentalizzazioni che tanti ne avevano fatto.

In questo clima Galilei decide di difendersi sul piano dell'esegesi, con l'aiuto di due sacerdoti suoi allievi, padre Benedetto Castelli, grande scienziato, e un barnabita. Il succo delle "lettere copernicane" è perfettamente ortodosso: la Sacra Scrittura e la natura scaturiscono entrambe dal "Verbo Divino", "quella come dettatura dello Spirito Santo, e questa come osservantissima esecutrice de gli ordini di Dio". Inoltre la Scrittura non deve essere sempre interpretata alla lettera, sia perché si rivolge al volgo, per essere da lui compresa, sia perché, come aveva detto il cardinal Baronio, il suo intento non è quello di dire "come vadia il cielo" ma "come si vadia in cielo". Trovandosi però ad analizzare il miracolo narrato in Giosuè 10, 11-13, in cui Dio ferma il sole al fine di prolungare il giorno, Galilei ritiene di poter adottare una posizione concordista, ritorcendo contro i suoi avversari l'interpretazione letteralista. Spiega cioè che il passo in questione è molto più compatibile con la teoria copernicana che con quella tolemaica.

Si tratta di una posizione che era già stata sostenuta, che veniva affermata nello stesso periodo anche da un frate, Antonio Foscarini, e che trova sostenitori accreditati ancor oggi. Le prime lettere di Galilei, lungi dal placare le polemiche, le ampliano, sino alla richiesta da parte dei cardinali Barberini e del Monte, suoi amici, di non eccedere "i limiti fisici o mathematici, perché il dichiarar le Scritture pretendono i theologi che tocchi a loro", e di trattar quindi del sistema copernicano "senza entrare nelle Scritture".

Di fronte a questi inviti, che se accolti avrebbero sicuramente scongiurato qualsiasi futuro contrasto, Galilei risponde con altre due lettere, all'amico Mons. Pietro Dini, in cui ritorna sul rapporto tra astronomia copernicana ed esegesi biblica. Così facendo, però, si espone, per invasione di campo, all'invasione di campo della Chiesa. Roberto Bellarmino rivolge allora a lui e al Foscarini l'invito (12 aprile 1615) esplicito a considerare il sistema copernicano solo in termini ipotetici, ex suppositione. Molto prudentemente però aggiunge che nel caso in cui si dimostri la validità delle tesi copernicane "allhora bisogneria andar con molta consideratione in esplicare le Scritture che paiono contrarie, e più tosto dire che non le intendiamo, che dire che sia falso quello che si dimostra". E concludeva: "io non crederò che ci sia tal dimostratione, finchè non mi sia mostrata".   Siamo di fronte ad una posizione perfettamente corretta: Bellarmino non si dichiara assolutamente contrario al sistema copernicano, bensì afferma di non voler che altri intervenga nella interpretazione delle Scritture prima che esso sia una certezza dimostrata e non solo una ipotesi, come è ancora allora e come ammetterà proprio Galilei in seguito alla lettera di Bellarmino.

Siamo così al 1616, l'anno della convocazione di Galilei a Roma e della condanna da parte del Santo Uffizio, diviso al suo interno, della "dottrina pitagorica" della mobilità della terra e della immobilità del sole. Tale dottrina non viene però dichiarata "eretica"; a Galilei non viene imputata nessuna colpa personale, nè richiesta alcuna abiura. In realtà il decreto del 1616, per quanto sicuramente sbagliato, col senno di poi, dimostra che se la questione non fosse stata portata sul terreno delle Scritture, la Chiesa non se ne sarebbe occupata: infatti la pubblicazione di Copernico è sospesa donec corrigantur, cioè finché non verrà corretta eliminando solo i dieci versi della prefazione a Paolo III dove si accenna alle Sacre Scritture; l'altro testo proibito è la lettera del Foscarini, perché "esplicitamente votata ad una difesa concordista [e quindi scritturale] della cosmologia Pithagorica" (l'utilizzo di questo aggettivo, al posto dell'aggettivo "copernicana", può essere compreso solo alla luce dei ragionamenti precedenti, sulle implicazioni animiste e magiche del neopitagorismo eliocentrico rinascimentale).

 
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