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Un giovane parroco riflette sulla lettera di un anziano Papa
Di don Massimo Vacchetti - 09/07/2007 - Religione - 1416 visite - 0 commenti
Sono un giovane parroco di campagna. Sono nato nel 1972, ordinato sacerdote nel 2001. Non ho mai celebrato nel rito di PioV, né salvo qualche circostanza, l’ho mai visto celebrare. Ho sempre considerato il Rito che celebro ogni domenica con la mia gente, l’unico rito con cui l’umanità affidatami possa, consapevolmente, adorare l’unico Dio, nell’offerta del Sacrifico di Gesù Cristo. Devo anche dire che in Seminario, nei lunghi anni di studio, non mi pare mai che qualche professore abbia mai rivolto l’attenzione al precedente rito liturgico se non per sottolinearne la discontinuità del nuovo. Non appartiene a me alcun sentimento nostalgico. Rimango, da sacerdote cattolico, sorpreso e preoccupato dalla lettera di Papa Benedetto XVI con cui Egli accompagna il Motu Proprio “Summorum Pontificum”. Confesso la mia ignoranza. Non avevo mai seriamente affrontato la questione liturgica né durante i miei studi, né duranti questi miei primi anni di sacerdozio. Non era un problema. C’è da dire che, specie nella mia Bologna, patria dell’attuale impianto liturgico per il lavoro assiduo del Card.Lercaro e di Mons. Lodi, non è mai stato posto alcun dubbio in merito. La riforma liturgica conseguita dal Concilio Vaticano II, concretizzatasi nel Messale del 1970 di Paolo VI; è – mi è sempre stato detto così – ciò che ha salvato la Chiesa. La liturgia antica avrebbe portato la Chiesa fuori dalla storia; con la sempre maggiore incomprensione del latino avrebbe determinato il totale abbandono delle giovani generazioni; avrebbe reso impossibile accostarsi al mistero della fede, ossia all’incontro con il Signore Crocifisso e Risorto o meglio il nuovo rito avrebbe consentito al popolo di Dio di partecipare attivamente alla Santa Cena. Ritengo di avere avuto una buona educazione liturgica. Ho avuto maestri di liturgia e soprattutto ho vissuto liturgie molto intense e degnamente celebrate. Sono stato educato alla massima disciplina liturgica e alla sua bellezza. Certo, in qualche occasione, pesanti e lunghe, a volte ingessate, ma ora che mi ritrovo a celebrare nella mia chiesina di campagna, ogni domenica, con non più di cinquanta fedeli, mi accorgo della bellezza che ho ricevuto. Ho sempre avuta una particolare devozione eucaristica per cui ho sempre cercato di osservare abbastanza compostamente la liturgia cattolica, anche se non nascondo che, in diverse situazioni, ho deragliato dal consentito. Lo trovo normale. Ho sempre visto fare così. Qualche domenica fa, ho avuto il piacere di concelebrare la S.Messa Crismale,con il Card.Giacomo Biffi. Al momento dello scambio della pace, l’organista è partita con un canto “Pace a voi”, molto bello e coinvolgente che dà a tutti la possibilità di scambiarsi con gioia il segno della pace. Il canto si è, oggettivamente, prolungato eccessivamente. Al termine, è partito il canto dell’agnello di Dio. Durante lo scambio della pace, il Cardinale mi si è avvicinato e mi ha detto “questo canto non c’entra nulla. Il Signore è presente. Non possiamo darci la mano e ignorare che Lui è qui”. Ieri, la lettera del Santo Padre. L’ho letta e riletta. E mi son chiesto? Perché questa scelta? Cosa ci sta sotto? E’ chiaro che il Papa ha uno sguardo cattolico, ben più ampio della nostra coscienza e conoscenza ecclesiale. Una prima risposta è - palese – quella della ricerca dell’unità con la comunità di Mons.Lefevre che sempre ha rivendicato la possibilità di celebrare la S.Messa, nel rito di Pio V. Fin qui, la sorpresa mi si genera dall’indifferenza con cui questa riconciliazione è accolta. E specie da quelli che agitano l’ecumenismo e il dialogo come bandiera. Come se dialogo e ecumenismo fossero categorie da applicare con tutti - luterani, ortodossi, anglicani, persino musulmani, buddisti, induisti - ma non con i cattolici che, non solo nel rito esteriore, ma nella sostanza, è la medesima fede da cui siamo stati generati noi. L’attenzione ecumenica di Benedetto XVI come il suo tratto più caratteristico finora espresso dal suo magistero. Eppure mi sembra non bastare. Questa preoccupazione è chiara, evidente. Ma c’è di più, mi pare. Qualcosa che mi sorprende e mi preoccupa. Qualcosa che mi sgomenta e mi fa male. Mi spiego. Questa lettera susciterà molti contrasti. La sua dilazione è indice di una certa resistenza da parte di diversi e interi episcopati. Nei parroci stessi e nei media la cosa è presentata come un “ritorno al passato”. Papa Benedetto è abbastanza solo. Ha compiuto un atto coraggioso. Nel senso che questo non gli porterà consensi, non gli gioverà in popolarità, non accrescerà l’amore del popolo che, ammaestrato non più dalla fede, ma da Repubblica o dal Corriere della sera, da Santoro o da Floris, lo irriderà come un reazionario della riforma e del progresso. Che cosa muove tanto coraggio? Quale la reale intenzione di BenedettoXVI? Non sono un esperto, né uno studioso. Leggo che da Cardinale, aveva espresso forti perplessità sulla riforma liturgica. “Sono convinto che la crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia, che talvolta viene addirittura concepita ‘etsi Deus non daretur’: come se in essa non importasse più se Dio c’è e se ci parla e ci ascolta. Ma se nella liturgia non appare più la comunione della fede, l’unità universale della Chiesa e della sua storia, il mistero di Cristo vivente, dov’è che la Chiesa appare ancora nella sua sostanza spirituale?” (La mia vita, 1997) Nel suo libro Introduzione allo spirito della liturgia (2001), interamente dedicato a questo argomento. dà questo giudizio della nuova liturgia cattolica: "Il sacerdote - o il "presidente" come si preferisce chiamarlo - diventa il vero e proprio punto di riferimento di tutta la celebrazione. Tutto termina su di lui. È lui che bisogna guardare, è alla sua azione che si prende parte, è a lui che si risponde; è la sua creatività a sostenere l'insieme della celebrazione". "L'attenzione - commentava con una punta di amarezza - è sempre meno rivolta a Dio". Nella lettera il Papa fa riferimento ad abusi che avrebbero indotto molti a cercare e desiderare l’antico rito che potrà manifestare nel nuovo rito – è sempre la lettera del Papa – “in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti all’antico uso”. Se la Liturgia è il modo con cui un popolo esprime la propria adorazione a Dio, l’attuale liturgia cattolica – sembra dirci quest’anziano sacerdote tedesco non certo in ricerca di consensi – non rende evidente la presenza del Mistero. Proprio oggi su Repubblica nella pagine dedicate alla novità liturgica di Papa Benedetto si dice – ma non c’era bisogno che lo dicesse il giornale – che la Messa è noia e le prediche banali. Tutti siamo pienamente d’accordo su questo. Repubblica nel dire questo non si accorge forse di andare incontro alle reali intenzioni del Papa. Quello di dare vita a un nuovo movimento liturgico. A fare, cioè, una vera riforma nella riforma liturgica. Quella, cioè, di tornare a parlare di Dio, del suo Mistero di amore capace nella croce di Cristo di redimere il peccato del mondo e orientare la vita dell’uomo al suo destino di salvezza. Mi preoccupa perché in tanti documenti e tanti provvedimenti della Chiesa non vedo la stessa passione teologica. Sono sgomento perché ho sempre sentito la filastrocca che il vecchio è antiquato e il nuovo è il progresso. Mi fa male perché temo che il Papa, più che ogni altro, mi abbia detto la verità che pure in Seminari nobilissimi, come quello che ho vissuto io, forse incosciamente, non mi è stata spalancata: Dio e non i documenti, il soprannaturale e non la sociologia, la Redenzione di Cristo e non la mia pastorale, salva la mia anima e con essa, il mondo intero. Alcune settimane fa, ad un incontro tra preti giovani, uno tra noi, ha detto: “avete (indicando il superiore davanti) sostituito Dio con la Parrocchia e le sue attività”. Non saprei se condividere fino in fondo questa dura denuncia. Certo che nelle nostre adunanze, in azione cattolica, nei gruppi scouts si parla come se Dio non c’entrasse molto. Dio pare essere la scusa per incontrarci e illuderci di fare qualcosa di buono. Forse la carne al fuoco è troppa. Forse le mie considerazioni sono più che altro domande, un po’amare, un po’ gioiose. In fondo, sono contento. Ho trovato un Padre, non solo un Papa. Benedetto XVI attraverso questa rivoluzione liturgica ci invita forse a ritrovare la sacralità, non tanto e solo, delle nostre celebrazioni. Se la legge della preghiera è la legge della fede, ci sussurra in modo fragoroso a convertirci a Dio, alla Sua Alterità, alla Sua Redenzione nel sacrificio della croce del suo Figlio. Questo forse è l’intento vero del Santo Padre: risvegliare, in una celebrazione più vera e sincera oltre che più disciplinata, la bellezza e la novità dei Santi e Divini misteri.
 
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