Diventa socio
Sostieni la nostra attività Contatti

 

Cerca per parola chiave
 

 

Autori

 

Ci sono 752 persone collegate

 

\\ Home Page articoli : Articolo
La Controriforma, il peccato, il perdono...
Di Francesco Agnoli - 06/05/2007 - Religione - 1328 visite - 0 commenti
Il cattolicesimo della Controriforma, lo si dice spesso, è una religiosità triste e cupa, perché pone l'accento sul concetto di peccato. Eppure, all'epoca, i cupi per eccellenza non sono certo i cattolici. Ben più di loro lo sono i protestanti, con la convinzione che l'uomo sia assolutamente incapace di compiere il bene e che Dio non sia pronto, in ogni momento, a perdonarlo, con il sacramento della Confessione. Se l'uomo è soltanto peccatore, i santi vanno ripudiati e le loro statue abbattute: così le chiese protestanti divengono luoghi tristi, spogli, e senza gioia, esattamente il contrario delle chiese cattoliche barocche. Per Lutero, inoltre, nel suo "Servo arbitrio", ogni creatura è semplicemente schiava di Dio o del demonio, senza libera scelta, come un cavallo conteso, suo malgrado, tra due cavalieri. L'esito politico immediato della Riforma luterana è la rivolta dei contadini. Dopo averli in qualche modo illusi, l'ex monaco agostiniano invita i principi ad ucciderli: "verso i contadini testardi…nessuno abbia un po' di compassione, ma percuota, ferisca, sgozzi, uccida come se fossero cani arrabbiati" ("Scritti politici", Utet, 1978). Così il 15 maggio 1525 più di centomila contadini vengono sterminati. Cupo, dunque, Lutero, ma ancora di più Calvino. Secondo la sua posizione, infatti, si è già salvi o dannati ab aeterno, indipendentemente dalla propria vita, dalle proprie opere e dalla propria libertà. Dio infatti non crea tutti gli uomini nella "medesima condizione, ma ordina gli uni alla vita eterna, gli altri all'eterna condanna", e tutti non desiderano, non intraprendono se non "cose malvagie, perverse, inique e sozze". Uno spirito analogo caratterizzerà anche i giansenisti: il loro Cristo in croce non unisce la verticalità del cielo con l'orizzontalità della terra, non sta con le braccia aperte, ad abbracciare il mondo, ma le tiene alte e strette, a significare il piccolissimo numero dei salvati. In tempi non lontani dal Concilio di Trento, anche due "laici" come Machiavelli e Hobbes partono dalla constatazione dell'esistenza del male, per affermare poi che l'uomo è naturalmente cattivo, "lupo per l'altro uomo". Non si parla più di peccato, in senso cristiano, ma di una malvagità congenita e non redimibile. Scrive infatti il filosofo fiorentino: "è necessario a chi dispone una repubblica ed ordina leggi in quella, presupporre tutti gli uomini rei, e che li abbiano sempre a usare la malignità dello animo loro qualunque volta ne abbiano libera occasione" ("Discorsi"). Non c'è spazio quindi, come ha notato Eugenio Garin, per l'azione della libertà, per l'ideale, per la tensione al dover essere. La legge perde così ogni umanità, ogni funzione di guida ed aiuto alla debolezza umana, per divenire rigido e freddo volere di un sovrano o di uno Stato. L'uomo naturalmente cattivo, che non sa neppure aspirare al bene, va bastonato e ingannato, se necessario, dal Principe o dal Leviatano di turno. Siamo solo uno zoo, in cui vi è bisogno di un guardiano; occorrono perciò le gabbie, le galere, non la conversione ed il pentimento. Così tutto è ridotto ad un potere che metta un po' d'ordine, almeno formale, nella "foresta di belve". Secoli più tardi, dopo questo pessimismo antropologico, arriverà la concezione ottimistica di Rousseau: l'uomo senza peccato originale. Egli non deve crescere, essere educato, correggersi: il bene è divenuto banale, la bontà scontata, la libertà, nello stato di natura, già data, sin dall'inizio. L'uomo non è più peccatore, ma i codici e i tribunali rimangono, eccome. Anzi, i primi si formano ed i secondi diventano sanguinari con la Rivoluzione giacobina, e poi con le dittature comuniste. Anch'esse infatti partono dal dogma della naturale bontà umana, come ha ben compreso André Frossard, figlio del fondatore del partito comunista francese: "Il socialismo era una fede: l'uomo era buono, benchè gli uomini non lo fossero sempre, ed aveva preso in mano proprio lui il problema della salvezza… Karl Marx…ci avrebbe irresistibilmente portati verso il mondo della riconciliazione di cui aveva predetto l'avvento… L'avidità, la volontà d'accaparramento e di dominio sarebbero periti d'inazione; scomparsi gli antagonismi economici e sociali con le cause che li rendevano inevitabili, la guerra non avrebbe avuto più motivo d'essere e sarebbe scomparsa dalla superficie della terra". Eppure, continua, "una delle sorprese della mia infanzia sarà quella di venire a sapere che la Russia sovietica aveva la sua armata", i suoi tribunali e la sua polizia segreta! Non sono dunque cupi i cattolici controriformisti, perché constatano l’esistenza del male. Non lo sono perché ritengono che Qualcuno abbia redento l'uomo. Per loro il peccato ha qualcosa di dolce, di “tenero”, paradossalmente di grande, perché implica la Redenzione: la rinascita, il perdono, il battesimo e la confessione. E' sempre un nuovo inizio, una nuova alba: felix culpa! Lo possono dire, senza elevare il peccato ad unica realtà, come Lutero e Calvino; senza limitarsi a constatare la malvagità, e a cercare gli scaltri mezzi per eluderla "furbescamente", come Machiavelli e Hobbes; senza cadere nel ridicolo o nella ferocia, misconoscendo l'evidenza del male, come Rousseau e i suoi epigoni.
 
Nessun commento trovato.

I commenti sono disabilitati.