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Pisapia e il regno dell'uomo
Di Francesco Agnoli - 26/05/2011 - Politica - 1684 visite - 0 commenti

Giuliano Pisapia, ha scritto un giornalista di Tempi, Rodolfo Casadei, è, “metaforicamente parlando, un Anticristo. Che le Scritture descrivono come personaggio suadente. I modi gentili e l’eloquio suadente non ingannino”. Vediamo…

Pisapia, di formazione comunista, appoggiato dai radicali, è favorevole alle stanze del buco, ai “matrimoni gay”, all’ideologia del gender, all’aborto, all’eutanasia ecc…

Si colloca cioè nel solco delle ideologie ottocentesche e novecentesche, il cui minimo comune denominatore è il tentativo, perfettamente anticristico, di realizzare il “regno dell’uomo”, attraverso un processo mondano di auto-salvazione e di autonomia da Dio, negato come Creatore, come Redentore, come Origine e Fine dell’uomo.

Per comprendere meglio questo concetto, torna utile il pensiero di un grande filosofo cattolico del Novecento, Marcel de Corte, autore di una acuta lettura della modernità, intitolata “L’intelligenza in pericolo di morte”.

Cosa sosteneva de Corte? Che le grandi civiltà, quella greca, quella romana e quella cristiana, sono state caratterizzate dalla “sottomissione dell’intelligenza alla realtà e dal rifiuto della soggettività in ogni campo”. L’uomo antico e l’uomo cristiano, cioè, sapeva “sin dalla nascita, di essere inserito in un universo fisico e metafisico che egli non ha fatto, in un ordine che non è alla sua mercè”.

 In quest’ottica l’intelligenza umana è il dono di Dio, che insegna all’uomo “a divenire ciò che è, a fare bene l’uomo”. “Obbedire alla natura delle cose”, significava dunque obbedire a Dio; obbedire alla realtà significava trovare se stessi, perché “il nostro essere è fondamentalmente in rapporto con l’essere universale e la conoscenza non è, in un certo modo, se non la scoperta di questo rapporto”.

Che fosse proprio di Aristotele, di san Paolo, o dei primi scienziati che si ponevano davanti alla natura con ammirazione e stupore, questo atteggiamento presuppone il desiderio dell’uomo di aderire, umilmente, ad una Verità a lui superiore; ad un Bene oggettivo; ad una realtà di cui il padrone, in ultima analisi, è Dio, e non l’uomo.

La rivoluzione illuminista, positivista, marxista e, in ultima analisi, idealista, ha avuto invece come presupposto la divinizzazione dell’uomo, chiamato a salvarsi da solo. Non è più Cristo, vero Dio e vero uomo, che redime. Da qui l’uomo moderno, che rifiuta di “misurarsi sulle cose, per dirsi invece la loro misura”, con lo stesso atteggiamento che era stato di Lucifero, che non aveva più voluto “girare intorno” a Dio, ma aveva preteso che Dio, che la realtà tutta, girasse intorno a lui.

Dopo il XVIII secolo, scrive de Corte, uno stuolo di filosofi e di pensatori, caratterizzati dalla superbia e dal predominio dell’astrazione sull’esperienza, ha preteso di fare dell’intelligenza non lo strumento per leggere la realtà, ma per dominarla, manipolarla, ricrearla. “Ormai tocca alla realtà adattarsi alle astrazioni fabbricate dall’intelligenza”, con il risultato, però, che “il mondo non è più capito: ma preso, fissato, rinserrato in costruzioni e forme che lo prendono dall’esterno, lo accerchiano, lo inquadrano, gli impongono la configurazione, l’essenza, il suo essere stesso”.

Così il “mondo non è più la creazione di Dio, ma la creazione dell’uomo”, che si pone di fronte alla realtà come un demiurgo che la plasma e la riplasma a suo piacimento. Nazionalsocialismo e comunismo, ideologie massimamente anticristiche, sono stati esattamente questo: immense operazioni di ingegneria sociale, per ri-creare la realtà, l’economia, l’uomo stesso.

La filosofia vincente della modernità, insiste de Corte, non è il materialismo, almeno non nel senso che la materia è presa, almeno essa, con serietà: è l’idealismo, il primato della intelligenza umana sulla realtà. “Il mondo è così trasformabile a volontà. Non ha più nulla di misterioso, di sacro. Caeli et terra non enarrant gloriam Dei…Tutto è fatto dall’uomo per l’uomo…Il mondo diviene ciò che l’uomo vuole farlo divenire. L’uomo regna su di lui”, sostituendosi al Creatore, di cui non ha più bisogno alcuno.

Pisapia ha sempre creduto questo. Quando affidava alla fede comunista la Redenzione dell’umanità; oggi, ritenendo che tutto ciò che l’uomo fa, dall’uccidere un innocente, all’ usufruire di sostanze che creino un’altra “realtà”, sia in fondo una espressione di libertà; sino alla teoria del gender, cioè all’idea che l’uomo non ha una natura maschile o femminile, da compiere, ma è ciò che decide di essere (transessuale, bisessuale ecc…).

Ma si tratta di un inganno: per quanto stuprata, la realtà non si piega che al suo Creatore. Lo ricordava recentemente, in modo implicito, Paolo Mieli, raccontando il caso del dottor Money, cioè di colui che, in ossequio alle dottrine femministe e del gender, per dimostrare che l’uomo può creare, lui, la sua realtà, impose ad un bimbo maschio, cui era stato per sbaglio danneggiato il pene, di vestirsi da donna e di divenire, appunto, donna (Brenda Reimer). Gli amputò i genitali, gli costruì un organo genitale femminile, lo spinse a comportarsi da donna, convinto che lo sarebbe diventato. Ma con un unico risultato: che il poveretto si suicidò. Il Foglio, 26 maggio 2011

 

Da Tempi:

 

Che cos’ha in comune la sessantottina fondatrice di “Soggettività lesbica” e dell’Università delle donne, Anita Sonego, che si riempie di «orgoglio per l’esistenza di coppie lesbiche con figli» e vuole abolire il concetto stesso di famiglia, troppo legato alla «supremazia maschile e alla subordinazione delle donne e dei figli», con la giovane donna sposata e madre di quattro figli Maria Anna De Censi?

Che cos’ha da spartire il duro e puro Basilio Rizzo, proletario tutto falce e martello che in un’intervista ha dichiarato di «non volere un governo moderato», con il borghesissimo architetto Stefano Boeri? Che cosa condivide una delle promotrici del movimento femminile “Se non ora quando”, la nichivendoliana Ines Qaurtieri che si batte per i diritti dei rom e degli islamici, con Maria Carmela Rozza, che si è candidata in una zona che va da Cascina Gobba a via Idro e da via Rizzoli a viale Padova esponendo cartelli con scritto «Campo Rom Di via Idro, Moschea, Fermata Bus dal Nord Africa, Mercato dell’Est Europa, abbandono e degrado del Parco Lambro, bande di latinos al Trotter, caseggiato ghetto di Cavezzali. La nostra zona non è la discarica sociale di Milano»?

Semplice, sono tutti consiglieri eletti a Milano nella coalizione di Giuliano Pisapia, che, se quest’ultimo uscirà vincitore dal ballottaggio con Letizia Moratti, occuperà Palazzo Marino con una giunta municipale e una maggioranza in Consiglio comunale dalle mille anime diverse e contrapposte.

Non sarà una passeggiata tenere insieme il Partito democratico di Bersani, l’Italia dei Valori di Di Pietro, i Verdi, Sinistra ecologia e libertà di Vendola, i Radicali del duo Bonino-Pannella, più altri comunisti e cattolici vari. Ci si potrebbe fidare dell’ultracomunista Rizzo, fedelissimo di Dario Fo, l’uomo di Rifondazione comunista più premiato (2.300 preferenze), che passato il primo turno, dopo essersi lamentato e scontrato per settimane con Boeri, il capofila del Pd, ha dichiarato: «Più uniti di così è impossibile. La chiave di volta della vittoria è che nessuno si è dovuto autocensurare nei suoi valori, ma tutti abbiamo capito che andava cercata tenacemente una sintesi. Noi non litigheremo, questo è certo».

Qualche dubbio, però, sorge legittimo. Che cosa dirà Anna Scavuzzo, scout, cattolica, amante della legalità e dell’onestà, a Mirko Mazzali, conosciuto come “l’avvocato dei centri sociali”, il penalista che ha difeso a spada tratta i manifestanti del G8 di Genova, che ama il Leoncavallo e odia il concetto di autorità? Come farà, ad esempio, il “doncolmegnano” Marco Granelli, praticamente l’unico a parlare di sussidiarietà tra i 29 consiglieri che in caso di vittoria di Pisapia saliranno al Comune, a mettersi d’accordo in generale con lo statalismo dilagante della sua coalizione e in particolare con Daniela Benelli o Elisabetta Strada, che arriva a proporre gli oratori laici del Comune per aggregare i giovani? La cattolica del Pd Maria Grazia Guida, direttrice della Casa della Carità e presidente dell’associazione Ceas, Centro ambrosiano di solidarietà, se la vedrà con una coalizione che in maggioranza concepisce il “pubblico” come unico estensore di servizi, educativi e non, per i cittadini; o con Maria Elisa D’Amico, allieva di Zagrebelsky e ordinario di Diritto costituzionale all’Università Statale, fiera sostenitrice del registro delle unioni civili, che nel suo curriculum vanta di aver fatto «annullare le linee guida della Regione Lombardia che volevano modificare la legge 194 (tutelando così madre e feto, ndr) e dichiarare incostituzionale uno dei limiti irragionevoli della legge 40 in tema di procreazione assistita».

Infine, l’introduzione del registro del testamento biologico proposta da Paola Boccia e i cartelloni a favore dell’eutanasia esposti in corso Buenos Aires dall’associazione Luca Coscioni e difesi a spada tratta dal radicale Marco Cappato, un altro consigliere di Pisapia, lasciano tranquilli gli ex Margherita confluiti nel Pd, candidati assieme alla “forza gentile” che farà cambiare il vento nel capoluogo lombardo? Nell’incertezza di questo ballottaggio, una cosa è sicura.

Se a Milano «il vento cambierà davvero», come recita lo slogan elettorale di Pisapia, porterà alle orecchie dei suoi cittadini anche l’eco delle urla, degli strepiti e delle baruffe continue che riempiranno le stanze di Palazzo Marino.

 
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