Diventa socio
Sostieni la nostra attivitą Contatti

 

Cerca per parola chiave
 

 

Autori

 

Ci sono 74 persone collegate

 

\\ Home Page articoli : Articolo
Carlo Casini scriveva: sul fine vita non serve alcuna legge
Di Rassegna Stampa - 10/05/2011 - Eutanasia - 1375 visite - 0 commenti

E’ evidente il pericolo di un più vasto e duraturo indebolimento del principio di indisponibilità della vita umana a seguito di una legge che in qualche modo ne riduca la portata nei confronti dei malati, dei disabili. Per il momento il veicolo è quello del rifiuto delle cure (attuale o anticipato) ma la strada imboccata può portare molto oltre.  

Estate 2008: la rivista “Medicina e Morale” pubblica un articolo di Carlo Casini ed altri studiosi, con cui si assume una posizione molto netta: una legge sul fine vita non è necessaria (C. Casini, M. Casini, E. Traisci, M. L. Di Pietro, Il decreto della corte di Appello di Milano sul caso Englaro e la richiesta di una legge sul c.d. testamento biologico, In Medicina e Morale, 2008/4, 723:745).

La vicenda giudiziaria sul caso Englaro era ormai praticamente finita: Eluana Englaro sarà fatta morire proprio in forza di quel decreto della Corte d’Appello di Milano che l’articolo commentava; la sua morte sarebbe stata solo ritardata dalla sentenza della Cassazione che avrebbe dichiarato inammissibile il ricorso del Procuratore Generale di Milano. Ecco cosa si sosteneva: a) non esiste nessun vuoto legislativo; b) una legge è una soluzione peggiore del male, perché una sentenza su un caso singolo ha pur sempre un effetto limitato; c) sono sufficienti le norme sull'omicidio e sull'omicidio del consenziente.

Riportiamo i passaggi centrali dell’articolo.  Sul presunto vuoto legislativo: “Si sente ripetere spesso che in materia vi è un “vuoto legislativo. L’affermazione è falsa se vuol significare che nessuna norma giuridica regola i comportamenti collegati con la fine della vita. Su questo punto, non solo esistono già alcune leggi di riferimento, come quella sull’accertamento della morte (1993), sul trapianto di organi (1999), sull’amministrazione di sostegno (2004), ma la norma – di legge – c’è ed è chiara: è il divieto di cagionare (cosa, ovviamente diversa dall’accettare) la morte anche quando questa è richiesta e a prescindere dalle condizioni del richiedente (art. 579 del Codice Penale), perché la vita umana è un bene indisponibile”.

Sull’effetto maggiormente nefasto di una legge: “… bisogna sottolineare che il ruolo e la portata della giurisprudenza sono diversi da quelli della legge. Infatti, da un lato abbiamo una decisione che: a) per chi è veramente interessato (e solo per costui) presuppone l’attivazione talvolta faticosa e dispendiosa della “macchina giudiziaria”; b) vale concretamente per il singolo caso per il quale è richiesta; c) non incide sull’organizzazione sociale e di conseguenza non incide in modo determinante sulle relazioni giuridiche tra i consociati. Dall’altro, invece, abbiamo una disciplina che: a) presuppone un dibattito parlamentare – un dibattito cioè che si svolge tra tutti i rappresentanti del popolo – la cui conclusione, pertanto, ha un’autorevolezza di gran lunga maggiore di quella di una decisione giudiziaria; b) vale per tutti: infatti la legge per sua natura è generale e astratta; c) incide sul tessuto sociale e relazionale in modo consistente. Non solo, ma se è vero che il giudice è soggetto solo alla legge, allora la legge incide in modo significativo anche sull’orientamento giurisprudenziale”.

Sulla centralità e sufficienza degli articoli del codice penale: “Nella prospettiva di chi ritiene ingiusta la decisione di far morire Eluana di fame e di sete, è sicuramente necessaria una legge che tuteli in modo incondizionato il principio di indisponibilità della vita umana non solo dell’altrui, ma anche della propria se è ad altri che si chiede di porvi fine. Ebbene, questa legge c’è già: gli articoli 575, 579 e 580 del Codice Penale sanzionano rispettivamente l’omicidio, l’omicidio del consenziente e l’istigazione e l’aiuto al suicidio.”

Il giudizio restava lo stesso anche rispetto ad una legge sulle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento, non vincolanti: “…non si può ignorare che eutanasica non è solo la tecnica, ma anche la logica che accompagna i comportamenti (….) l’istanza di legalizzazione del testamento biologico nasconde l’intenzione eutanasica non solo quando se ne preveda il carattere vincolante per il medico, ma anche quando lo si intende come espressione di un desiderio manifestato al di fuori della concreta situazione in cui deve decidersi ed attuarsi la cura e di un contesto di alleanza terapeutica in corso tra medico e paziente. Dell’eutanasia (…) ci sono tutte le dinamiche e gli elementi culturali …”. Ecco, perciò, “l’opposizione a una legge che introduca il “testamento biologico” (o, come altrimenti definito, “direttive anticipate” o “dichiarazioni anticipate di trattamento)”.

L’unica legge da approvare era un’altra:Una legge sulla tutela della vita in condizione di malattia inguaribile o di grande disabilità (…) dovrebbe -piuttosto- stabilire i principi e le regole atte a salvare e salvaguardare la vita di Eluana e delle molte altre persone che si trovano o si troveranno in condizioni similari”.

Dunque, fino al 2008, e precisamente fino al discorso del cardinale Angelo Bagnasco del settembre di quell’anno, i pro-life sostenevano le stesse cose oggi sostenute dal Comitato Verità e Vita. Di più: gli argomenti utilizzati da Casini non sono in alcun modo superati dagli eventi accaduti in questi tre anni. E allora: che cosa ha spinto il presidente del Movimento per la Vita Italiano a cambiare la sua posizione?

Comitato Verità e Vita

 
Nessun commento trovato.

I commenti sono disabilitati.