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Maddalena Marcucci, apostola della santità
Di Arturo Caloro - 05/12/2010 - Religione - 1029 visite - 0 commenti
Maddalena Marcucci nacque il 24 aprile 1888 in un paesino della provincia di Lucca. Durante la sua vita amò e promosse il carisma della contemplazione della passione del Signore, fondando anche due monasteri. E' morta a Madrid il 10 febbraio 1960, poco prima di compiere 72 anni, e oggi è ricordata come l'“Apostola della Santità”.

Riporteremo alcuni passi significativi tratti dai suoi scritti.

L'Amore è l'unica guida dell'anima che ama.

“Il Signore lo guidò da solo” (cf. Dt 32, 12).
Lo Spirito Santo, per bocca di Mosé, per farci capire la cura paterna che ha del suo popolo, usa queste amorevoli e commoventi parole: “Il Signore lo guidò da solo” (cf. Dt 32, 12). Il Signore è la sua guida… lo solleva e lo porta sulle spalle. Lo stesso fa, e anche più, in particolare con ciascuna di quelle anime che si donano a Lui generosamente, senza cercare altro che il Suo Santo Amore. Quando un figlio è portato dal suo caro e amato padre, cessa per lui ogni preoccupazione, ogni affanno, ogni timore. Non lo preoccupa l’asprezza, né la lunghezza del cammino, né la notte, né il freddo, né la tempesta, né la neve, né gli ostacoli che può incontrare. Dice: “Mio padre che mi porta sa tutto questo, non ho quindi nessun motivo di temere. O anime fortunate che amate Dio, che lo volete amare, che cercate solo il suo amore: ecco la vostra fortuna. Sono per voi queste consolanti promesse del Signore, questa sua amorevole cura”. E’ a voi che si riferisce Gesù quando dice: “Nessuno le rapirà dalle mie mani” (cf. Gv10, 28).
Ma non pensate che per godere di questi favori sia necessario essere già giunti alla cima della perfezione, o vivere una vita più da angeli che da uomini. Non è così. Le stesse parole del Signore ce lo fanno capire. Cosa spinge un padre prende sulle spalle suo figlio? Il conoscere l’asprezza del cammino e le poche forze del suo figlioletto, piccolo e debole; il timore che cada, che si fermi, o che s’impaurisca; che torni indietro e lo abbandoni. Se il figlio avesse forze sufficienti per potersi fidare di lui, il padre non lo porterebbe sulle spalle, gli direbbe solamente: “Andiamo insieme. Ti accompagnerò. Non ti lascerò solo”.

Nelle braccia del Padre. Lo stesso fa con noi Colui che è più che padre, nostro Creatore, nostro Salvatore, nostro tutto. Egli sa che, anche nelle anime che lo amano e che si sono consacrate al suo amore, ci sono ancora tante debolezze e fragilità. E precisamente per il fatto che sono deboli, Egli le prende fra le braccia e le porta. Egli sa anche che quelli che senza riserva si sono abbandonati in potere dell’Amore, l’Amore stesso li condurrà per sentieri aspri e difficili. Li porterà in alto mare o in mezzo a un torrente impetuoso dove dovranno lottare con le acque di forti tentazioni che minacceranno di sommergerli. O li porterà nella solitudine di un immenso deserto dove, togliendo dalla loro vista tutte le attrattive e gli appoggi umani, o ciò che sembrava poter dare loro qualche conforto, farà loro sentire penosi abbandoni, palpare dense tenebre e passare oscure notti… Malgrado tutti i fervorosi desideri dell’anima e delle sue ripetute proteste di seguirlo fino alla morte, Egli sa bene quanta è la nostra debolezza e che senza di Lui non possiamo nulla. Sì. Colui che aveva desiderato per trentatré anni che giungesse l’ora della sua immolazione – “Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi” (cf. Lc 22, 15) – vedendo quel momento avvicinarsi, alla vigilia della sua passione, si rattristò, temette e tremò: “Cominciò a provare tristezza e angoscia” (cf. Mt 26, 37). Dio sa quanto grande è la debolezza umana; sa che senza la Sua assistenza, nell’ora della prova, non basterebbe la pura fedeltà per sostenere gli uomini lungo i dolorosi sentieri. E per questo il Signore ci rassicura che Lui stesso ci porterà sulle sue spalle e ci terrà nelle sue mani. E’ perché conosce bene la debolezza che il Signore promette aiuto. Non perché la nostra anima è perfetta, ma al contrario perché è molto difettosa, e più di altre ha bisogno di essere sostenuta dal braccio dell’Onnipotente per non cadere. Chi abbia provato, anche per poco, le angustie in cui pone l’Amore, o gli stretti sentieri per dove questa esperta guida conduce l’anima amante, si persuaderà molto presto che solo la mano divina può sostenere queste anime elette, perché progrediscano generosamente in questo doloroso e glorioso cammino.
Dio non permette che qualcuno o qualcosa possa confortarle le anime al Suo posto, lo fa Lui stesso: “Io, io sono il tuo consolatore” (cf. Is 51, 12). Non sono più sufficienti, per spiegare questo, le parole degli uomini. Sono necessarie quelle di Dio, che sono quelle della Sacra Scrittura, di cui Egli ordinariamente si serve, o direttamente, per sua iniziativa, rievocandole nel nostro intimo, o per mezzo di qualche suo ministro. Le frasi in cui Dio si assume la responsabilità nei confronti della anime sono molteplici nella Bibbia: “Nessuno le rapirà dalle mie mani” (cf. Gv 10, 28); “Ne avrò cura come la pupilla dei miei occhi” (cf. Sal 17, 8 vulgata), “Sono io, non temete” (cf. Mt14, 27)... L’anima ricorderà allora che il divino Amante l’ha prevenuta e riconoscerà Dio. Per questo, anche in mezzo alle afflizioni, l'unica cosa necessaria è Dio, benché magari possa essere nascosto. E gli dice: “Tu solo hai parole di vita eterna” (cf. Gv 6, 69). Non voglio altro conforto se non quelli che tu mi vuoi dare. Se ti piace, parla, di’ una sola parola, e la mia povera anima, malata di amore, sarà guarita. E l’Amore inonderà quella povera anima di gioia celestiale, di un gaudio che non è di questa terra.

Soffrire e godere. Alla mano paterna di Dio è riservato di realizzare questi misteriosi prodigi di amore: far soffrire e godere allo stesso tempo. Questo è anche ciò che dà all’anima una sicurezza tale che niente, né alcuno può toglierle la pace, né farla dubitare minimamente che il Signore stia con lei. Ella capisce, in maniera inesprimibile, che tutto è opera dell’Amore, il quale la spinge al largo, in alto mare, affinché da quelle onde furiose faccia ascoltare al suo divino Amante il cantico di un amore più puro. Così che anche di lei si possa dire: “Le grandi acque non possono spegnere l’amore” (cf. Ct 8, 6). In questa sofferenza le è di conforto il pensiero che la prima ad essere portata dall’Amore in mezzo a quell’oceano di dolori fu Maria Santissima, la creatura più amata da Dio, la più santa, quella che ha più amato Dio e gli uomini.”

Il desiderio di assomigliare ai due Cuori più addolorati di Gesù e di Maria, che l’anima tanto ama, fa ripetere spesso a Maddalena: “O morire o avanzare nel cammino dell’amore”. E l’Amore subito accorre alla sua chiamata, e la conduce allora al deserto di cui si è parlato. La spoglia di tutto, le toglie ogni appoggio, conforto e attrattive umane. L’abbandona in una paurosa solitudine e in fitte tenebre. E’ la solitudine del Calvario, e le tenebre che precedono la sua mistica morte, come precedettero quella del suo Amato. Però è lì che l’Amore si eleva dalla terra, cioè da tutte le piccinerie e dalle meschinità, distaccandosi da tutto. E da quelle altezze madre Marcucci ripete col suo Sposo Crocifisso “Attirerò tutti a me” (cf. Gv 12, 32); non per me, ma per portare anime al mio Amato. E allora l’Amore trionfa glorioso, conquistando cuori e guadagnando anime. Passa al di sopra di tutto fino a giungere all’unione eterna”.
 
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