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Un'altra Eluana in Germania
Di Lorenzo Schoepflin - 11/06/2010 - Eutanasia - 1033 visite - 0 commenti

Gli ingredienti ci sono tutti: una donna in stato vegetativo; un tubicino dell'alimentazione staccato; un familiare solerte; consulenti legali che spingono per l'eutanasia ma non la chiamano col suo nome; una sentenza che potrebbe rivoluzionare la materia del "fine vita". Da Avvenire del 10 giugno 2010 un articolo sul caso di Erika Kullmer.

In Germania la Corte federale di giustizia è chiamata, entro questo mese, a prendere un’importante decisione a proposito di un caso che sta agitando il dibattito in tema di fine vita. La vicenda risale al 2006 e riguarda Erika Küllmer che, allora settantaseienne, a causa di un’emorragia cerebrale si trovava in stato vegetativo persistente ed era alimentata artificialmente da cinque anni.

La Corte federale dovrà esprimersi in merito all’iniziativa della figlia della donna, che, seguendo i consigli dell’avvocato Wolfgang Putz, recise con delle forbici il tubo attraverso il quale la signora Küllmer veniva alimentata. Il personale medico, accortosi dell’accaduto, sostituì il tubo e avvisò la polizia. La paziente morì la settimana successiva, per cause non completamente riconducibili all’intervento della figlia. Comunque la donna e l’avvocato furono incriminati con l’accusa di omicidio colposo. Il successivo processo si concluse con l’assoluzione della prima e una condanna a nove mesi di libertà vigilata per il secondo. A Putz fu comminata anche una multa di ventimila euro. Secondo quanto affermato dalla figlia della Küllmer, la madre aveva in precedenza espresso il desiderio di non essere sottoposta ad alcun trattamento medico. Per questo a Putz furono riconosciute alcune attenuanti, tra cui quella di aver agito per far rispettare le volontà della paziente.

Adesso la Seconda divisione criminale della Corte federale, con sede a Karlsruhe, deve esaminare il ricorso presentato dai difensori di Putz: il pronunciamento è atteso per il prossimo 25 giugno. Il processo in corso verte intorno alla definizione di idratazione e alimentazione artificiale e alla ricostruzione della volontà del paziente. Secondo gli avvocati di Putz, idratazione e alimentazione sono catalogabili come “trattamenti forzati” e dunque doveva essere riconosciuto il diritto a chiederne la sospensione in base ai desideri precedentemente espressi da Erika Küllmer. Nessuno, sostengono gli avvocati, deve essere sottoposto a trattamenti sanitari contro la propria volontà. Sempre secondo la difesa, l’aver reciso il tubo attraverso cui la donna veniva nutrita sarebbe sì un interferenza attiva, ma in fondo avrebbe semplicemente ristabilito il corso degli eventi e il “processo naturale di morte”. La posta in gioco è altissima. Il quotidiano Der Spiegel ha parlato di possibile “sentenza rivoluzionaria” e di “processo strategico in materia di eutanasia”. Lo stesso Putz si è detto fiducioso sul fatto che finalmente si prenda coscienza che “interrompere un trattamento non è eutanasia”. La Hospice Foundation tedesca ha aspramente criticato il modo di agire di Putz, definendolo non rispettoso delle regole in quanto non ha ritenuto necessario il coinvolgimento del personale medico.

L’avvocato Putz, intervistato nel 2006 dall’Associazione per il diritto a morire con dignità a margine di un convegno della Conferenza degli avvocati tedeschi in cui si parlava di cure per malati terminali, espresse l’auspicio che si arrivasse ad una legge che regolasse le questioni di fine vita. In Germania il dibattito su eutanasia e suicidio assistito è sempre stato molto acceso, dal momento che tocca un nervo scoperto della storia tedesca: risale agli anni ’30, infatti, la cosiddetta Aktion 4, il programma eutanasico varato dal regime nazista. Le discussioni intorno alla legge sul fine vita si sono protratte per anni, fino a quando tra giugno e luglio dello scorso anno è stato approvato un testo che regola la disciplina attorno al testamento biologico. In quella occasione fu modificato il Codice civile, in modo che ogni persona in grado di decidere autonomamente abbia il diritto di rifiutare medicine e terapie anche se decisive per mantenerlo in vita. Inoltre, sempre secondo la legge, il testamento biologico è vincolante per i medici a meno che non siano intervenuti cambiamenti sostanziali nel quadro clinico del paziente.

 
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