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Per amare la vita ci vuole coraggio
Di Umberto Folena - 03/02/2007 - Religione - 1152 visite - 0 commenti
Più è secca, più una domanda è vera. Come questa: «Il nostro tempo, la nostra cultura, la nostra nazione amano davvero la vita?». La domanda sbuca improvvisa in mezzo al Messaggio per la Giornata per la vita, il cui nocciolo quest’anno è l’amore. È il coraggio di farcela, quella domanda; e di darle una risposta sincera. Non è una domanda campata per aria. È la cronaca a riproporla senza sosta. I dati recenti sulla denatalità in Italia parlano chiaro. Ci vuole coraggio, molto coraggio ad amare la vita fino a mettere al mondo un secondo (un terzo, un quarto…) figlio, quando le solerti cronache informano che mantenerne uno costa 800 euro al mese, e quando due coniugi sono confinati nel loro bilocale che gli succhia metà stipendio. E allora ci vuole un bel “coraggio”, tra virgolette, a ignorare i problemi di chi vorrebbe metter su famiglia, sposandosi, assumendosi seri impegni di fronte alla società e si trova letteralmente taglieggiato, ignorato, perfino deriso. Promosso? Sostenuto? Mai. Se proprio hai bisogno, ci sono i suoceri, i nonni. E così la stessa rete familiare, che si sta indebolendo nella sostanziale indifferenza di chi dovrebbe avere a cuore il bene della nazione, in questo caso fa comodo. Sì, ci vuole “coraggio” a far credere all’opinione pubblica che “il” problema sia quello delle unioni di fatto o delle coppie omosessuali. Che là stia la discriminazione, quando ben più discriminato è oggi chi vorrebbe sposarsi e non ci riesce, chi si sente chiamato a non fermarsi al figlio unico ma non ha alternative, e attorno a sé trova indifferenza, se non ostilità. La cronaca ci sbatte in faccia anche la gigantesca operazione che ha rinchiuso in galera centinaia di moderni schiavisti. Le loro schiave, però, non stavano recluse in chissà quale lager. Erano tutte le notti sui nostri marciapiedi. Amare la vita significa dunque liberarle, ma anche dare ascolto, ad esempio, a un prete con la tonaca lisa che per i suoi modi naif viene guardato anch’egli con un sorriso di commiserazione dai paladini della modernità: don Oreste Benzi da anni combatte quell’ignobile rete di schiavitù. Amare la vita significa dire, con lui, che vigliacchi sono gli schiavisti ma vigliacchi sono pure i tantissimi italiani che quel vile commercio hanno contribuito ad alimentare; che con quelle schiave si divertivano senza domandarsi chi fossero, da dove venissero, che ne sarebbe stato di loro; non ragazze, ma carne umana; non persone, ma oggetti da consumare. No. Il nostro tempo, la nostra cultura, la nostra nazione non amano la vita, non abbastanza. Se davvero la amassero, investirebbero energie nel salvare i rapporti di coppia in crisi almeno quante ne investono per romperli più velocemente e asetticamente possibile. E questi non sono discorsi soltanto “da cattolici”. La domanda se la stanno ponendo in tanti. Uno a caso: Gabriele Muccino, il regista della Ricerca della felicità: «Nei nuclei famigliari c’è oggi una buona dose di vigliaccheria. Per molti – ha detto a Erica Bianchi dell’Espresso – è più facile mandare all’aria un rapporto con la scusa che la famiglia non ha ragione d’essere, piuttosto che mettersi in gioco e rimboccarsi le maniche». Chi ama la vita, appunto, ha il coraggio di rimboccarsi le maniche. (Da "Toscana oggi", 4 febbraio 2007).
 
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