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Libertà va cercando, ch'è sì cara...In memoria di Zapata.
Di Francesco Agnoli - 27/02/2010 - Politica - 1197 visite - 0 commenti

Lo sciopero della fame, in Italia, è un modo violento per ottenere ciò che non si riesce ad avere per altre vie, pure percorribili in un paese libero. E’ una prerogativa dei radicali e della loro capacità di conquistare così, ogni volta che vogliono, la ribalta mediatica.

Scioperando, a loro dire, circa 300 giorni all’anno, riescono così ad essere più o meno sempre sui giornali e le tv, nonostante siano da secoli sempre gli stessi quattro gatti.

Ma lo sciopero della fame è anche cosa seria, benché, quando arriva all’eccesso, certamente da disapprovare. Mi vengono in mente due scioperi della fame davvero per la libertà.

Il primo è quello di cui si è avuta notizia qualche giorno fa, benché i giornali vi abbiano dato ben scarso risalto:

L'Avana, 24 feb - E' morto ieri in ospedale, dopo 85 giorni di sciopero della fame, il dissidente cubano Orlando Zapata: era stato incarcerato nel 2003 insieme ad altri dissidenti. Lo ha reso noto un portavoce dell'Ospedale Hermanos Ameijeiras dell'Avana, a Cuba. Il prigioniero politico 42enne, che era un'ex muratore di Santiago di Cuba, era stato dichiarato da Amnesty International prigioniero ''di coscienza'' e l'organizzazione in questi anni ne aveva richiesto piu' volte la liberazione. Zapata, che era stato arrestato per la prima volta nel 2002 ''per vilipendio al Comandante Fidel Castro'', e' stato arrestato l'anno successivo nel corso di una retata contro i dissidenti, ed era stato condannato a 36 anni di detenzione…" (ASCA-AFP, 24 febbraio)

Il secondo è quello di Bobby Sands e dei ragazzi irlandesi che protestarono contro le violenze del governo inglese:Nel 1978 questi ragazzi iniziarono scioperi della fame, organizzati in modo che ogni quindici giorni ne morisse uno: il primo fu il giovane Bobby Sands. Durante lo sciopero l’unico alimento concesso era la particola benedetta che ogni mattina il cappellano portava ai ragazzi dell’IRA, mentre il resto della giornata era spesso dedicato allo studio del gaelico.

Bobby Sands era un ragazzo di famiglia cattolica, che aveva vissuto in un quartiere protestante ma ne era stato scacciato dagli oranges; da giovane amava spendere i suoi pochi soldi “in sale da ballo, ragazze e abiti nuovi. A quel tempo i soldi erano tutto per me”.

Poi, col tempo, si convinse della necessità di lottare perché al suo popolo fossero concessi maggiori diritti e libertà, e finì per impugnare le armi. Ecco cosa scrive nei suoi diari prima di morire: “Ogni protesta sembra fallire, ma non mi sento sconfitto. Oggi è Domenica 1 marzo 1981. Ho rifiutato la colazione. Continuerò a rifiutare ogni pasto, ogni boccone, immolandomi per il bene del mio paese…Mia nonna una volta mi disse che la prigionia dell’allodola è un crimine altamente crudele, perché l’allodola è simbolo della libertà felice. Io ho qualcosa in comune con quel povero uccello. Io sono stato privato dei miei indumenti, rinchiuso in una sordida cella vuota dove sono stato affamato, picchiato e torturato.

Ma io, come l’allodola, conservo lo spirito della libertà, nessuno può soffocarlo…In uno dei miei sogni ho visto le facce della mia famiglia: soltanto ora so quanto li amo tutti e quanto avrei desiderato vivere con loro questa breve esistenza, e soprattutto con mia madre. A Messa scorgo odio negli occhi dei miei camerati. Anche a Messa. Un giorno quegli uomini saranno padri e passeranno ai figli i loro sentimenti. Questo è il raccolto che l’Inghilterra ha seminato…Ma io sono qui nell’inferno della mia cella, digiuno, in preda a sofferenze atroci…Da lontano sento però voci familiari che mi aiutano a sopportare i dolori: ‘Siamo con te, figlio, non lasciarti battere dai torturatori’. Il freddo è intenso, credo di essere già nella tomba. Ma altri continueranno a vivere, dovranno poter vivere”.

Infine la storia di Orlando Zapata mi ricorda un’altra vicenda terribile, quella di Jan Palach: nel 1968, i russi seminano ancora una volta il terrore in uno dei loro paesi satelliti entrando in Cecoslovacchia: qui anche il leader comunista locale Alexander Dubcek cercava di avviare un processo di destalinizzazione, ma fu bloccato dall’intervento massiccio dell’esercito sovietico, che pose così fine alla Primavera di Praga (finita nella primavera del 1969), dove giunsero un primo scaglione di 165.000 uomini e 4600 carri armati ed un secondo contingente composto da 27 divisioni, 6300 carri, 800 aerei, 2000 cannoni e circa 400.000 soldati

Proprio a Praga un giovane studente di filosofia di 21 anni, Jan Palach, inaugurò una serie di suicidi di protesta (le "torce umane") dandosi fuoco con la benzina nel mese di gennaio del 1969: arriva in piazza Venceslao, si toglie il cappotto si versa la benzina e si dà fuoco, senza un grido; quasi un milione di praghesi seguiranno i suoi funerali, il 25 gennaio 1969. Due anni dopo il cantautore comunista Francesco Guccini canterà, ne La primavera di Praga: “Di antichi fasti la piazza vestita, grigia gurdava la nuova sua vita…Come ogni giorno la notte arrivava, frasi consuete sui muri di Praga. Ma poi la piazza fermò la sua vita/ ed ebbe un grido la folla smarrita/quando la fiamma violenta ed atroce spezzò gridando ogni suono di voce…Son come falchi quei carri appostati, corron parole sui visi arrossati…Dimmi chi era che il corpo portava, la città intera che lo accompagnava, la città intera che muta lanciava/ una speranza nel cielo di Praga, una speranza nel cielo di Praga.”

 
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