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Segni dei tempi
Di Marco Luscia - 29/01/2010 - Attualità - 1380 visite - 0 commenti

Conversazione “rubata” in una libreria cattolica. Protagonisti: un sacerdote progressista, cioè adulto e dubbioso, un sacrestano aspirante progressista in cerca di conferme, una perpetua perplessa ma timorosa di scostarsi dal pensiero dominante. Il sacrestano osserva che oramai in chiesa va poco più del 10 per cento dei supposti credenti. Per parte mia penso la cifra sia sottostimata ma quello che realmente mi colpisce non è il numero bensì il tono con cui l’argomento viene trattato; il registro linguistico è quello della leggerezza: alle parole si alternano infatti, ammiccamenti, risolini, divagazioni varie.

Poi, il colpo di scena: con un’evoluzione logica interessantissima la perpetua, sostenuta dal sagrestano, pronuncia una frase profetica, una sorta di lapsus freudiano : “ Ma nonostante tutto una cosa bisogna pur dirla: quando c’è bisogno di qualche cosa, di aiuto, nel nostro paese tutti aiutano, e non importa se si tratta di credenti o meno. Anzi, rincara la dose l’avveduta e temeraria perpetua: “ Molto spesso i “rossi” sono più presenti e attenti che non gli altri”. Al sacerdote e al sagrestano non par vero di poter raccogliere il meraviglioso assist offerto dalla timorata perpetua: “ Eh sì…rincarano, molto spesso sono proprio i lontani a farsi vicini e quelli che tanto si riempiono la bocca di chiesa, di papa e di vescovi e di croci e di identità, son peggio degli altri”.

Chi siano questi altri è difficile da comprendere tanto è ampia la categoria sociologica dei non praticanti in Italia; certo, appare fin troppo chiaro invece chi siano i baciapile clericali oggetto della critica. L’equazione è semplice e manifesta egregiamente la vulgata progressista incarnata dal sacerdote, dalla perpetua, e dal sacrestano: in primis i cattivi del caso non sono loro, nonostante frequentino la chiesa, lucidino le candele e si occupino del desinare del prete. I tre conversanti, in breve, attribuiscono ai rossi e ai lontani genericamente intesi, una sorta di virtù infusa, frutto di una non esplicitata religione naturale fondata sulla compassione e sulla giustizia, religione naturale che parrebbe estranea ai “devoti del papa”.

Anzi, il partecipare alla vita ecclesiastica e alle celebrazioni domenicali sarebbe in tal senso agli occhi dei nostri censori un motivo di critica anziché di merito; è forse per questo che ridono della percentuale del 10 per cento di cui dicevamo sopra? A loro interessa evidentemente poco che la gente acceda al sacramento principe, fonte di vita e di amore ogni domenica. In tal modo, senza rendersene conto, questa originale specie di cattolico emersa dalla conversazione in libreria ha negato, o comunque fortemente relativizzato, in oridine: chiesa, sacramenti, giudizio universale, colpa, peccato, espiazione, sacrificio redentore, sostituendo a questo ben di Dio una generica buona volontà. Volontà posseduta in particolare dai rossi e dai lontani, cioè da coloro che si occupano poco o per niente di cose di chiesa.

Per paradosso i cattolici praticanti vengono ricordati solo per le loro incoerenze rispetto all’esigenza d’amore prefigurata da Cristo, mentre i non praticanti vengono esaltati, in quanto, nonostante molti di loro non credano, agiscono secondo virtù non essendo a loro richiesta alcuna perfezione cristiana. Da ciò dovremmo dunque dedurre- supposto che Dio esista- che è più accessibile la salvezza al non praticante che al credente tradizionale. In tutto questo ciò che maggiormente ci deve preoccupare è il fatto che moltissimi cattolici praticanti la pensano esattamente così, capeggiati da uno stuolo di preti progressisti. La chiesa e il cattolicesimo sono in tal modo liquidati, possibile che non si comprenda questo? In tal modo, una verità ovvia e formulata assai bene da Tommaso nel 13 secolo ovverosia che anche chi non crede può agendo secondo coscienza salvarsi, si è fatto un assoluto, che libera il credente da ogni senso di appartenenza e di adesione alla chiesa e ai sacramenti.

Davanti a tutto questo non ci deve stupire che le prediche dei preti di oggi si preoccupino quasi esclusivamente i esaltare la misericordia di Dio per tutti. Ma allora, coerentemente, chiediamoci: perché andare a messa, perché far parte di una chiesa se Dio ha predestinato tutti alla salvezza indipendentemente dalla volontà di ciascuno? Strano paradosso- ennesimo-: la dottrina dei “cattolici adulti”, cioè emancipati dalla chiesa, sembra rifiutare il libero arbitrio. E questo accade mentre laici avveduti e di grande cultura come il professor Salvatore Natoli, in un recente convegno, auspicano che la chiesa anziché inseguire il sociale, l’economico e il politico torni a predicare i nuovissimi, ovvero la dottrina relativi all’aldilà. Come notano molti sociologi della religione, quando una fede tradizionale e la sua struttura burocratica dimenticano il soprannaturale diventando sempre più mondane, i fedeli privati della dimensione propria della fede cercano conforto in nuove religioni che rispondano meglio al bisogno di oltre insito in ogni uomo.

 
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