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Farefuturo e testamento biologico
Di Lorenzo Schoepflin - 16/10/2009 - Eutanasia - 1111 visite - 0 commenti

Ecco cosa pensano, cosa dicono e cosa fanno i finiani di Farefuturo in tema di testamento biologico (da Avvenire del 15 ottobre 2009) La fondazione Farefuturo, il think thank nato per impulso del presidente della Camera Gianfranco Fini, assieme alla Konrad Adenauer Stiftung, la fondazione tedesca di matrice popolare che si ispira alle idee del grande cancelliere tedesco, ha promosso il 9 ottobre un seminario – assai atteso, vista la discussione della legge in corso proprio a Montecitorio – su «Bioetica e biopolitica».

La giornata di studi è stata l’occasione per discutere di testamento biologico, grazie ai contributi, tra gli altri, di Adolfo Urso e Benedetto Dalla Vedova, esponenti del Pdl, e di Laura Palazzani e Lorenzo D’Avack, filosofi del diritto e vicepresidenti del Comitato nazionale di bioetica. Come riportato sul sito di Farefuturo, l’obiettivo era trovare una strada comune sui temi del fine vita. «Contro l’eutanasia, contro il suicidio assistito, ma anche contro l’accanimento terapeutico»: questi gli indirizzi esposti dal viceministro Adolfo Urso, mentre Dalla Vedova – già radicale, dell’area 'liberal' del Pdl – ha invocato una limitazione degli interventi normativi in materia, sottolineando che bioetica e biodiritto non coincidono.

Anche la Palazzani, in un’intervista sul sito di Farefuturo, ha parlato di un ritardo della biolegislazione rispetto alla bioetica, ricordando che il Comitato nazionale di bioetica già nel 2003 e nel 2005 aveva affrontato i nodi relativi alle dichiarazioni anticipate di trattamento e alla nutrizione assistita. Adesso la difficoltà, secondo la Palazzani, è di «conciliare pluralismo etico nel diritto».

Al «vuoto normativo» ha fatto riferimento anche il D’Avack – anch’egli intervistato dal sito di Farefuturo – dichiarandosi convinto della necessità di «reperire degli equilibri veritieri» che servano per formulare una legislazione che renda l’eventuale intervento del giudice «più controllato rispetto a ciò che accade oggi». Non è certo un caso che Farefuturo abbia affrontato in modo così deciso il tema del testamento biologico, e neppure lo è il connubio con la tedesca Adenauer Stiftung.

Più volte il web magazine di Farefuturo ha segnalato e ospitato interventi in tema di fine vita, con frequenti riferimenti alla legge tedesca che ha seguito un iter scandito da sei anni di discussioni, conclusosi il 18 giugno 2009 con l’approvazione al Bundestag. La legge tedesca che oggi regola il testamento biologico completa una norma del Codice civile in base alla quale ogni persona in grado di decidere autonomamente ha il diritto di rifiutare medicine e terapie anche se decisive per mantenerlo in vita. Nel nuovo testo si afferma che i medici devono obbligatoriamente attenersi alle indicazioni scritte nel Patientenverfugung (le «Disposizioni del paziente»), senza alcuna distinzione sullo stato del paziente stesso. Proprio riferendosi a questa legge, assunta a modello, Benedetto Dalla Vedova ( web magazine di Farefuturo, 4 febbraio 2009) illustrava il contrasto tra il caso tedesco e quello italiano, denunciando la «tetragona chiusura su posizioni conservatrici e confessionali» del ddl Calabrò.

Il 15 luglio ancora Dalla Vedova, sul Secolo d’Italia, sempre riferendosi alla legge tedesca, auspicava il ricorso a una «soft law» i cui cardini fossero il no all’eutanasia attiva e il no all’accanimento terapeutico. Il resto – sosteneva – può essere regolamentato di volta in volta da princìpi costituzionali, deontologia medica e responsabilità di parenti e fiduciari nei casi di pazienti incoscienti. Nell’articolo si chiedeva un «disarmo bilaterale», argomento poi ripreso in una lettera che alcuni deputati del Pdl hanno inviato a Berlusconi. Nella lettera, firmata anche da Adolfo Urso, segretario generale di Farefuturo, si chiedeva di «non fare una legge che costringa i parlamentari e gli italiani a scontrarsi» ma di varare un «testo più semplice, comprensibile e difendibile sul piano giuridico-costituzionale rispetto a quello approvato dal Senato» (il ddl Calabrò, ndr ). Anche il direttore scientifico di Farefuturo, Alessandro Campi, sul Mattino del 25 febbraio scorso, si schierò per la necessità di una sintesi: la libertà di morire – secondo Campi – non è un diritto ma una decisione individuale alla quale «non si può imporre un limite di legge [...] sulla base peraltro di una convinzione di natura religiosa spacciata per verità scientifica».

 
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