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La vera vita di Karl Marx
Di Francesco Agnoli - 15/01/2007 - Storia contemporanea - 1562 visite - 0 commenti
Rileggere la vita di Karl Marx è assai più utile, per comprendere il comunismo marxista, di tutti i trattati del filosofo tedesco. Sulla pagina asettica, di carta stampata, infatti, l'impressione che ha affascinato milioni di lettori è quella di assaporare i pensieri di un nuovo Mosè, pronto a portare il suo popolo verso la terra promessa; di un uomo affamato di giustizia, disposto a perseguirla con intransigenza, come un monaco guerriero. Se si analizza la sua biografia, invece, risulta difficile non dar ragione a quanto scriveva Giovanni Papini, all'inizio del Novecento: “Io non so trovare una definizione del socialismo meno inesatta e più profonda di questa: un movimento ultraborghese con caratteri religiosi…Uno dei caratteri salienti del borghese, quale ce lo rappresentano ogni giorno gli stessi popolari, è la preoccupazione del benessere materiale. Il tipo, ormai classico, del grasso borghese, quale appare in tutte le figure democratiche, è un uomo che pensa soprattutto a empire il ventre e la borsa. I socialisti accettano completamente questa veduta: anch’essi desiderano, soprattutto e avanti tutto, l’aumento del benessere materiale, e i loro sociologi fanno della questione del ventre il fondamento della storia sotto il nome significativo di ‘materialismo storico’. Essi non ce l’hanno coi borghesi perché stanno materialmente bene, ma semplicemente perché non possono stare bene come loro…Il socialista, se ben si guarda, non tende, in fondo, ad essere qualcosa di diverso dal suo nemico, ma semplicemente a divenire a sua volta un piccolo borghese…”. Lo stesso Marx era proprio un "borghese". Alla morte di Mary Burns, l'amante dell'amico Engels, ebbe a scrivere, nella lettera di condoglianze: "non avrebbe potuto, in luogo della Mary, morire mia madre che è ormai piena di acciacchi e che ha vissuto quanto doveva?" (Francis Wheen, Marx, Mondadori). I rapporti di Marx con la madre, infatti, erano legati solo alla speranza dell'eredità, mentre la devozione al padre era tale che alla sua morte Karl non partecipò neppure al funerale, "spiegando che il viaggio da Berlino sarebbe stato troppo lungo e lui aveva cose più importanti da fare". Marx viveva tra i debiti, le richieste di denaro ad Engels, e le invettive feroci contro chiunque non fosse con lui. Forse per questo, al suo funerale, nel 1883, ci saranno solo undici persone. Da buon borghese, inoltre, riteneva suo diritto avere un segretario privato, la balia, e "concedersi periodiche vacanze al mare, lezioni di piano per i bambini e tutti gli altri costosi annessi e connessi della rispettabilità". Andava fiero delle origini nobiliari della moglie, e voleva per le figlie, due delle quali sarebbero purtroppo morte suicide, una vita come quello del giovin signore del Parini, con costosi guardaroba, lezioni private di francese, italiano, disegno e musica. Bussare per soldi alla porta degli amici, era il suo impiego preferito, oltre che attendere salvifiche eredità: "A very happy event, la morte del novantenne zio di mia moglie, ci è stato comunicato ieri": così scriveva, in occasione di un decesso che significava soldi, mentre era affaccendato a speculare su obbligazioni statali americane ed inglesi. Ecco, a rileggere questi aneddoti, mi sembra di capire la "genialità" del marxismo, il perché ancor oggi, per stare a sinistra, occorra non di rado una certa ricchezza, una qualche posizione nella società, e un po' puzza sotto il naso: ci si sente "più buoni", a poco prezzo, giusti, in una società ingiusta. Non importa poi se in nome della giustizia futura si trascura la carità presente, e se in nome della astratta filantropia, si dimentica persino l'etimologia del termine "prossimo". Il tipo umano comunista è spesso così: ama il lontano, l'africano, l'emigrato, il barbone che ha visto in cartolina, cui dedica articoli e trasmissioni, ma assai meno i vicini. La sua frequente intolleranza si nutre della convinzione di possedere la Verità, non come dono, che viene da un Altro, ma per averla personalmente ingabbiata in un agile ed onnivoro schemino triadico e tirannico. Sino a ieri, per lui, tutto era dello Stato, salvo ridurre, come scriveva Engels, il "rapporto tra i due sessi (ad) un semplice rapporto privato che riguarderà solo le persone che vi partecipano, e nel quale la società non ha da ingerirsi". Non c'era bisogno, insomma, come si diceva, di nessuna carta, né cerimonia, per "volersi bene". Oggi è cambiato: necessitano i Pacs, firme e registri, e a breve l'adozione di bambini, per legge, a chi non li può avere per natura. La dittatura del capriccio al posto di quella del proletariato...
 
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